8 apr 2014

Una nota all’editoriale di Michele Ainis dal corriere della sera del 8 Aprile


I virtuosismi che non servono
di Michele Ainis
s
La nave delle riforme veleggia in mare aperto. Ma il Capo delle Tempeste è al largo del Senato, dove soffiano venti da destra e da sinistra. Da un lato, l’altolà di Forza Italia: meglio abolirlo che farne un ente inutile. Dall’altro, lo stop dei professori: attenti alla deriva autoritaria. Può darsi che queste riserve siano figlie dei calcoli politici, degli egoismi di parte o di partito. Non sarebbe il primo caso. Tuttavia chi tratta gli argomenti altrui partendo dalla malafede del proprio interlocutore, dimostra d’essere a sua volta in malafede. E anche questo è ormai un vizio nazionale. 
Domanda: c’è modo di rispettare le obiezioni senza sfregiare le intenzioni? Quelle del governo, ma altresì degli italiani, che non ne possono più di veti incrociati. E c’è modo di tradurre le riserve in una riserva di consensi, senza abbattere i quattro paletti issati da Renzi? Nell’ordine: no alla fiducia, no al voto sul bilancio, no all’elezione diretta, no all’indennità dei senatori. Risposta: gli strumenti esistono, se i musicisti avranno voglia di suonarli. Se per una volta eseguiranno il medesimo spartito, smentendo l’apologo filmato nel 1979 da Fellini (Prova d’orchestra ). E se ciascuno saprà ascoltare le note degli altri orchestrali, senza eccedere in virtuosismi da solista. 

Ecco, l’ascolto. Non è vero che il nuovo Senato sia poco più d’un soprammobile, come sostiene Forza Italia. È vero tuttavia che fin qui rimane povero di competenze e di funzioni. Partecipa al processo normativo dell’Unione Europea, valuta l’impatto delle politiche pubbliche sul territorio. E vota le leggi costituzionali, soltanto quelle. Sulle altre conserva unicamente i poteri della suocera: consiglia, rimbrotta, sermoneggia. Al contempo perde la titolarità del rapporto fiduciario, e perde quindi il sindacato ispettivo sul governo. Curioso: questa riforma abolisce il Cnel, organo consultivo mai consultato da nessuno; però rischia di sostituirlo con un Senato di superconsulenti.

E la minaccia autoritaria, evocata sulla sponda sinistra del fiume? Esagerata anch’essa. Dopotutto, non c’è alcun intervento sui poteri del premier, che resta un primus inter pares rispetto ai ministri. E se con una mano l’esecutivo incassa il voto a data fissa sui propri disegni di legge, con l’altra rinunzia al dominio illimitato sui decreti legge. È vero, però, che il bicameralismo paritario offre una garanzia, nel bene e nel male. Anche se l’eccesso di garanzie uccide il garantito. Ma quante leggi scellerate avremmo avuto in circolo senza il disco rosso del Senato? A una garanzia in meno, pertanto, ne va affiancata una di più. Da Pericle in poi, la democrazia funziona in questo modo. 

La via d’uscita? Rafforzare il ruolo del Senato come organo di garanzia. Innanzitutto attribuendogli il voto sulle leggi elettorali, che d’altronde sono leggi materialmente costituzionali, nel senso che innervano la Costituzione materiale di un Paese: se decidi sulle seconde, puoi ben decidere pure sulle prime. E inoltre conferendo al Senato un monopolio su tutte le materie che trovano i deputati in conflitto d’interesse, al pari della legge elettorale. Nemo iudex in causa propria , nessuno può giudicare se stesso; meglio perciò rimettere al Senato ogni decisione sulle immunità, sulle cause d’ineleggibilità e d’incompatibilità, sulla verifica dei poteri, sulla misura dell’indennità dovuta ai membri della Camera, o più in generale sul finanziamento alla politica.

Dopo di che non è vietato immaginare ulteriori contrappesi. Per esempio allargando l’accesso alla Consulta anche da parte delle minoranze parlamentari, come succede in Francia. O potenziando il controllo del capo dello Stato sulle leggi: con un secondo rinvio, superabile a maggioranza assoluta. Ma in ultimo i guardiani della legalità costituzionale sono gli stessi cittadini. Siamo noi italiani, che negli anni Venti applaudimmo Mussolini, che negli anni Quaranta andammo sulle montagne per combatterlo. Nessuna norma scritta, nessun marchingegno costituzionale, può sostituirsi al sentimento civile. Ma certo può aiutarlo, può allevarlo. Su questo punto, viceversa, la riforma ospita silenzi imbarazzanti. Niente recall , né referendum propositivo, né corsia preferenziale per le leggi popolari. Dunque una buona riforma per quanto c’è scritto, un po’ meno per quanto non c’è scritto. Si tratta d’aggiungervi ancora qualche parolina.



“Nessuna norma scritta, nessun marchingegno costituzionale, può sostituirsi al sentimento civile” 
E' proprio muovendo da questa frase del professore Ainis che vorrei trarre spunto per una osservazione a questo editoriale. Non credo neanche possano essere poche le paroline da aggiungere per una proposta di riforma che sembra vedere le figure del nuovo Senato non elette dal popolo.
Il professore Ainis, attraverso le note capacità di costituzionalista, per una sua innata competenza, sembra spingersi verso nuove proposte, proponendo di definire meglio l’opera incompleta di una riforma che potrebbe offrire maggior sostanza alle istituzioni politiche. 
Ainis propone l’accesso alla Consulta anche da parte delle minoranze parlamentari… propone di rafforzare il ruolo del Senato come organo di garanzia attribuendogli il voto sulle leggi elettorali, indica un potenziamento del controllo del Capo dello Stato sulle leggi etc....Così dimostrando ulteriormente  quanto incompleta appare la nuova riforma voluta da Renzi che, per un principio essenziale di democrazia e di funzionamento, dovrebbe vedere i componenti di questa Camera come figure elette dal popolo.
Ma le teorie in questo campo potrebbero essere anche altre, come ad esempio... in riferimento al conflitto d’interessi a cui lo stesso Ainis fa riferimento.. e cioè a quel richiamo "nemo iudex" ... che potrebbe valere proprio in riferimento ai compiti spettanti a chi opera per le leggi in perenne conflitto con chi deve poter governare in favore di un utile equilibrio democratico. Perché dunque non dare al Senato un preciso ruolo in campo amministrativo senza che questo venga esercitato dall’altra Camera politica?..E perché non legarlo ad una elezione separata che non veda l’impegno dei Partiti, ma solo quello di figure valutate per precisi meriti e curricula? Separare i due ruoli (Camera politica e Camera amministrativa) con due differenti elezioni, potrebbe essere un passo importante per il funzionamento di un nuovo sistema istituzionale per un cammino più costruttivo in favore di una nuova politica... rendendo più democratico e sicuro lo stesso percorso. 
Tagliare non è tanto necessario.. quanto il saper far funzionare!
vincenzo cacopardo

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