13 mag 2014

Breve commento al recente articolo di Domenico Cacopardo sull'Expo di Milano

di domenico cacopardo
Nel momento in cui il magistrato Raffaele Cantone sta per assumere il ruolo di supervisore anticorruzione dell’Expo di Milano, ci sembra utile fornirgli un breve pro-memoria.
Le fasi critiche dell’appalto pubblico sono due: l’affidamento e la gestione. L’affidamento avviene dopo una procedura complessa, stabilita dalla legge in attuazione di normative comunitarie. Non si tratta di qualcosa di inattaccabile come si vuol fare credere. Si tratta, invece, di un modo raffinato per consentire accordi tra imprese (turbativa d’asta) con o senza la collaborazione della burocrazia. L’unico rimedio è adottare anche in Italia il sistema in uso nelle gare internazionali: i partecipanti debbono dimostrare prima di tutto la capacità finanziaria prestando cauzione per il valore dell’intera opera. Da noi non si fa così: la garanzia viene prestata su una frazione di opera, calcolata sull’importo di uno stato di avanzamento o su una percentuale modesta dell’intero importo. Questo significa che se io posso garantire complessivamente 100 milioni di euro, col nostro sistema posso concorrere ed assumere, per esempio, 10 appalti da 100 milioni di euro prestando 10 cauzioni da 10 milioni (10% di ogni appalto). È evidente l’interesse a partecipare a più gare assumendo un impegno di garanzia modesto per negoziare con i concorrenti spartizioni illegali di lavori. C’è un modo per impedire la truffa: aggiudicare al massimo ribasso. Si dice: “Ma c’è il pericolo che il vincitore non realizzi i lavori conquistati con un ribasso eccessivo.” La risposta è semplice: il vincitore, appunto, deve garantire tutta l’opera (del resto se a una ferrovia manca un metro, un solo metro, se ne rende impossibile l’utilizzo).
Così l’aborrito (e si capisce il perché) massimo ribasso diventa una scelta prima che amministrativa, morale.
In sede di affidamento dei lavori c’è un'altra via per sfuggire alla legge: aspettare. Aspettare sino a quando l’urgenza diventa tale da impedire una regolare gara d’appalto, costringendo la stazione appaltante alla trattativa privata o a procedure abbreviate, naturalmente opache.
È inutile illudersi: il Parlamento, quando si è occupato di questi problemi, ha subito volentieri le pressioni delle varie categorie industriali coinvolte, tutte terrorizzate dall’idea che il mercato degli appalti pubblici sia effettivamente liberalizzato e preda, quindi, della libera concorrenza.
La gestione dell’esecuzione dei lavori è un percorso pieno di trabocchetti per lo Stato: non per le imprese e per i funzionari pubblici infedeli. Per essi è una miniera di opportunità: varianti in corso d’opera; varianti suppletive; riserve; revisioni dei prezzi; impossibilità sopravvenute (per esempio la cava indicata nel capitolato improvvisamente si esaurisce).
Tutta una casistica raffinata che viene immaginata durante la fase progettuale in modo che i capitolati contengano, a presunta tutela delle amministrazioni, quelle clausole che, poi, diventeranno la sorgente di incrementi di prezzo gestiti dalla burocrazia.
La questione è di sistema: con l’entrata in scena delle regioni e l’abolizione del Genio civile, non ci sono più capacità progettuali dirette nei vari settori pubblici. Ci si dovrebbe rivolgere, perciò, a liberi professionisti, molto costosi. Di fatto, si preferisce rivolgersi all’impresa A che provvede con i suoi tecnici a fornire un progetto su cui il funzionario responsabile appone la propria firma dichiarandolo frutto del proprio ingegno. Come ci si disobbliga? Truccando la gara in modo che la ditta A che ha fornito il progetto (nel quale sono inserite tutte le magagne che diventeranno soldi contanti) si ristori delle spese sostenute.
Qui una soluzione s’era trovata, introducendo, con la legge finanziaria del 1986, il “prezzo chiuso”, che rendeva impossibile ogni variazione di costo.
Ma i pubblici poteri si rifiutarono di adottarlo, ottenendo, addirittura, pareri e decisioni di organi costituzionali sulla sua inapplicabilità.
Il dottor Cantone, che è magistrato e, quindi, sa di legge, avrà dinanzi a sé un compito difficile, ma non impossibile.
A condizione che non soccomba all’urgenza che gli sarà rappresentata in ogni istante.



Con prontezza, professionalità e competenza, Domenico ci dà un quadro esatto sulla materia degli appalti, stimolando il magistrato preposto a non soccombere alle possibili problematiche di urgenza. Il cugino, con altrettanta lucidità, espone le due fasi critiche dell’appalto pubblico…ossia quella dell’affidamento e quella della gestione.
In riferimento alla prima, stabilita dalla legge in attuazione di normative comunitarie, mette in evidenza l’insensata illogicità delle garanzie per le cauzioni da prestare ..le quali, fin troppo basse, contribuiscono anche al gioco delle spartizioni illegali dei lavori. Per quanto riguarda la gestione, è fin troppo evidente che la teoria del ribasso eccessivo, non potrà che continuare ad arrecare problemi per la stessa qualità del lavoro da eseguire, favorendo ugualmente altrettanti pasticci  e turbative .
Non essendo il sottoscritto competente in materia quanto può invece esserlo il cugino Domenico, mi domando però..  perché si sia abbandonata la formula dell’appalto concorso che.. nel merito.. per l’entità e la stessa qualità di alcuni lavori.. potrebbe essere ripresa e riadattata.
In una visione più equilibrata, anche al fine di abolire imbrogli e  turbative molto diffuse, si potrebbe ricorrere all’appalto concorso.. ricercando ulteriori nuove formule in grado di separare la fase tecnica dell’engeenering da quella prettamente esecutiva: Una ditta che vince l’appalto potrà garantire la fase tecnica ingegnerisitica di propria competenza, ma affidare precisi sub appalti a ditte specializzate (elettriche- idrauliche-opere civili..etc)
Separazione di competenze per una maggiore qualità, ma anche gare competitive che potrebbe garantire progetti attraverso una maggiore idoneità e più idee.

vincenzo cacopardo

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