27 ago 2014

Una interessante e condivisibile nota sulla nuova riforma della P.A. di Domenico Cacopardo



Nel clima moralistico (non morale) che s’è impadronito dei legislatori, sia del governo che del Parlamento, c’è una categoria di dipendenti pubblici che riesce a sfuggire a ogni tagliola. Pensiamo agli avvocati dello Stato che, all’art. 9 della riforma della pubblica Amministrazione, si vedono riportati (comma 4) al 50% delle somme recuperate nell’ipotesi di sentenza favorevole. A dire il vero la previsione del decreto-legge 90 era più drastica, il 10%, ma la «lobby» di via dei Portoghesi (sede dell’Avvocatura generale) ha funzionato a meraviglia, ottenendo un riconoscimento francamente scandaloso. Che si aggiunge agli altri compensi che si aggiungono allo stipendio base: arbitrati e collaudi, compreso quello, incredibile, del Mose. 

Non solo, nei confronti dei privilegiati di cui sopra il limite dei 240.000 euro di retribuzione non si applica: infatti (comma 7) i compensi da sentenze favorevoli possono raggiungere una somma non superiore al trattamento tabellare complessivo. In questo modo, quindi, un avvocato dello Stato raggiunge abbastanza facilmente i 480.000 euro di compensi annuali. 

In teoria e nella pratica il limite dei 240.000 euro è una stupidaggine: se lo Stato vuole giovarsi di spiccate professionalità deve poter corrispondere retribuzioni concorrenziali con quelle private, in un quadro normativo che renda l’incarico dirigenziale o professionale precario com’è precario il dirigente delle aziende private. 

Tuttavia, la crisi ha esaltato il donmilanismo serpeggiante negli exdemocristiani pauperisti e negli excomunisti egualitari: come nella scuola ci si deve adeguare alla velocità di apprendimento del più lento degli scolari, così nel pubblico impiego anche per funzioni dirigenziali strategiche (la direzione generale del Tesoro, per esempio) il valore di mercato del titolare non conta, dato che si deve rispettare la «pruderie» in voga.

Rimane incomprensibile il perché personaggi di lungo corso come Luigi Zanda, che tante valide esperienze hanno fatto nella pubblica Amministrazione allargata, si siano lasciati andare a un andazzo in cui viene privilegiato il conformismo renziano, rispetto alla razionalità legislativa. 

La riforma allarga le possibilità che sindaci e presidenti di regioni possano nominare consiglieri di fiducia: rispetto al passato viene eliminata la necessità di un adeguato «curriculum», in coerenza con la tendenza –attuata- alle dequalificazione degli «staff» e del personale di governo.

C’è poi quello che, ai tempi di Cirino Pomicino, si sarebbe chiamato un marchettone. All’art. 12, infatti, viene istituito un Fondo destinato all’Inail per la copertura degli obblighi assicurativi dei soggetti coinvolti in attività di volontariato a fini di pubblica utilità sociale e delle relative organizzazioni. 

Nel calderone immaginato dal governo e accettato dal Parlamento, ricadono le Onlus e gli Ong, un immenso mondo (1.ooo.ooo di sigle registrate, sembra) nel quale prosperano profitti defiscalizzati per soggetti spregiudicati che speculano sullo sforzo generoso di molti giovani e sul loro spirito di avventura. L’estensione delle coperture sarebbe accettabile solo nel caso che fosse accompagnata da una norma di revisione delle situazioni in essere e dal depennamento di chi usa le attività umanitarie per scopi personali. 

Vengono poi aboliti gli incentivi alle progettazioni (in-house) e viene istituito un fondo per la progettazione e l’innovazione pari al 2% degli importi a base di gare di un’opera (qui il legislatore dimostra la totale non-conoscenza della materia aggiungendo «o di un lavoro». Lavoro e opera nel diritto amministrativo sono usati come sinonimi). 

Le due norme sono stupide e contraddittorie, rispetto alla Weltanschauung (la visione del mondo) renziana: l’abolizione degli incentivi alle progettazioni dequalificherà ulteriormente i dipendenti pubblici dotati di professionalità ingegneristiche e architettoniche, spingendoli a non assumersi la responsabilità di nessun elaborato. Il 2% della base d’asta per progettazioni e innovazione è una cifra inferiore alle tabelle in uso e costringerà a giovarsi di professionisti disposti a «giocare al ribasso.»

Insomma, la saga dell’incompetenza continua.








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