11 set 2014

Un esame critico di domenico Cacopardo sulla nuova riforma delle P.A.


di domenico Cacopardo
Prima di concludere l’esame della cosiddetta riforma della pubblica Amministrazione, torno brevemente indietro per approfondire alcuni temi emersi dal dibattito sul web.

Partiamo dall’art. 9 quello che, dopo una originaria (decreto-legge) riduzione al 10% dei compensi da attività legali (di avvocati pubblici) l’ha riportati al 50%. C‘è da dire che gli avvocati “pubblici”, al netto degli imbucati, svolgono un ruolo prezioso e costano molto meno del libero Foro. 

Ma tant’è, l’idea era quella di incidere pesantemente sulle retribuzioni di questi professionisti nella convinzione che determinassero una macroscopica disparità di trattamento a loro favore. Del resto, in altra parte della riforma, anche i compensi-incentivi alle progettazioni da parte dei tecnici dipendenti da pubblica Amministrazioni sono stati drasticamente tagliati.

Quanto all’avvocatura, la Madia ha compiuto l’ennesimo errore, mettendo in un unico calderone i legali degli enti locali, anche di quelli con 10.000 abitanti, per esempio, assunti con procedure quasi sempre «libere», gli avvocati di INPS e INAIL e gli avvocati dello Stato che accedono al servizio dopo un concorso selettivo confrontabile soltanto a quello d'acceso alla magistratura. 

Nello specifico, occorre ammettere che gli avvocati dello Stato sono stati gli unici effettivamente pregiudicati nel loro trattamento economico complessivo: la vera lobby che ha funzionato sul serio è quella degli altri avvocati pubblici che sono usciti praticamente indenni dalla conversione in legge. A loro rimangono tutti gli onorari delle spese compensate, agli avvocati dello Stato sono del tutto tolti. 

Ai comunali (e assimilati) rimangono tutti gli onorari liquidati a carico delle controparti (e dunque gravanti sulla spesa pubblica).

Verso i legali dello Stato italiano, incredibilmente esclusi dal patrocinio dei due marò, Latorre e Girone, è stato usato un misterioso (per le motivazioni) criterio punitivo, attribuendo loro il 50%, mentre il restante 50% va per metà ai praticanti dell'Avvocatura e per metà ad un fondo dello Stato per alleggerire la pressione fiscale.

La vittoria è, quindi, della lobby degli avvocati comunali. E non poteva essere altrimenti, se si pensa che il manovratore di Palazzo Chigi, colui che occupa la posizione di segretario generale, in passato ricoperta da gente del livello di Andrea Manzella e Paolo De Joanna, è l’ex-city manager di Reggio Emilia, Mauro Bonaretti condotto a Roma dall’onorevole Graziano Del Rio, che del medesimo comune fu sindaco. 

C’è un codicillo da non accantonare, sulla questione: il tetto di cui all’art. 9 si applica, per gli avvocati dello Stato, su tutte le somme percepite a qualunque titolo (onorari, incarichi, emolumenti per lezioni​; le commissioni di collaudo da tempo proibite). Per le regole non scritte del potere interno che riservano gli incarichi lucrosi ai vertici, l’Avvocatura di via dei Portoghesi non assegna da tempo un arbitrato a uno dei giovani quarantenni della nouvelle vague. ​E non va ​​dimenticato che ci sono incarichi di collaudo in essere da tempo, non rinunciati, come sarebbe deontologicamente doveroso. Compreso, a quanto pare, il Mose.

Insomma, nel delicato mondo dell’avvocatura pubblica, riemerge il medesimo spirito discriminatorio (quello spirito che, ho già scritto, tende a privilegiare i geometri sugli ingegneri, i ragionieri sugli economisti, con tutto il rispetto per geometri e ragionieri), che ha indotto Renzi e il suo governo a spazzare via dalla diretta collaborazione i magistrati (ordinari e amministrativi) e e gli stessi avvocati dello Stato a favore di altre non ben individuate professionalità, non garantite da idonei curricula.

Tra l’azzeramento e un uso equilibrato, sarebbero state possibili varie ragionevoli soluzioni, nell’interesse del Paese, cioè del governo e delle magistratura. 

​I​nfine, un accenno all’art. 10. Con esso vengono aboliti i diritti di rogito per i segretari comunali e la ripartizione dei diritti di segreteria. Le doglianze che ho ricevuto da varie parti, secondo me, hanno fondamento giuridico (del che la Corte costituzionale darà di sicuro conto quanto deciderà sull’immancabile ricorso) ma scarso senso politico. Nel mondo che è cambiato (solo l’Italia non cambia) questi residui di istituti medievali, vere e proprie gabelle senza altra ragione che arrotondare gli stipendi, debbono venire meno. 








Nessun commento:

Posta un commento