26 feb 2015

un commento alla nuova analisi di D. Cacopardo sulla responsabilità dei giudici



Benché i dati di fatto siano indiscutibili, ci sono voluti 28 anni perché la volontà degli italiani, espressa nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati dell’8-9 novembre 1987 (80,20% di sì), avesse una forma (parziale) di compiuta attuazione. E questo per l’opposizione feroce della magistratura organizzata, quella stessa che, con incredibile faccia tosta, partecipava alle inaugurazioni degli anni giudiziari con il libretto della Costituzione in mano, per significare che ne era lo strenuo difensore. Dimenticava che la giustizia, cioè l’applicazione della legge, viene data «In nome del popolo italiano», quel medesimo popolo che, interpellato nelle forme richieste, aveva, in stragrande maggioranza, scelto di introdurre la responsabilità.

Un anno dopo il referendum, venne adottata la legge per l’indennizzo riparatorio per ingiusta detenzione, una atroce violenza, l’ingiusta detenzione, praticata dal 1945 a oggi a circa 4 milioni di italiani, tutta gente che, passata attraverso le maglie della giustizia ne è uscita prosciolta prima del giudizio o assolta. Gli italiani che, dopo il 1988, hanno ottenuto l’indennizzo per ingiusta detenzione sono circa 50.000. Nel solo 2014, in base ai dati oggi disponibili, ci sono stati 143 risarcimenti con una spesa di circa 4,2 milioni di euro.

In questi giorni, ha fatto scalpore la liquidazione di 40.000 euro a favore di Vittorio Emanuele di Savoia per l’ingiusta detenzione subita per ordine di Henry John Woodcock e Alberto Iannuzzi, rispettivamente Pm e Gip di Potenza. 

Dopo una interminabile gestazione, dovuta alla determinante presenza di numerosi magistrati nelle file del Pds prima e del Pd poi, e alla minacciosa azione lobbistica delle associazioni sullo stesso partito (da sempre protettore, beneficiario e succubo della categoria), martedì 24, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge che introduce una effettiva responsabilità civile dei magistrati per colpa grave nell’esercizio delle loro funzioni. Il concetto di «colpa grave» è abbastanza definito. Si tratta dell'affermazione di un fatto inesistente o della negazione di un fatto esistente; della violazione manifesta della legge e del diritto comunitario; del travisamento del fatto o delle prove; dell’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale al di fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione.

Il meccanismo dell’indennizzo si metterà in moto su ricorso del cittadino, ma, diversamente da quanto oggi previsto, non ci sarà il filtro preventivo di una valutazione del competente tribunale distrettuale. Lo Stato, verificati i presupposti e le circostanze dell’evento, procederà direttamente alla liquidazione con l’obbligo (ed è questa la grande novità) di rivalersi sul magistrato responsabile della colpa grave. Ci saranno due anni di tempo (dalla sentenza di condanna del responsabile) perché gli organi dello Stato esercitino il diritto di rivalsa, il cui limite è portato alla metà dell’importo sino alla metà dello stipendio annuo. Nel caso di dolo, cioè di abuso esercitato per fini illeciti, la rivalsa è totale e senza limiti.

Nella sostanza, le vergini sacerdotesse della giustizia pura e dura, quelle dell’obbligatorietà teorica dell’azione penale e della pratica discrezionalità, non sono state violentate né lo saranno. La «verifica» dei risultati della nuova legge, annunciata dal «premier» per «premiare» l’Anm che, di fronte alla insostenibilità della posizione, ha rinunciato a proclamare uno sciopero, non darà nessun dato eversivo dell’ordine attuale, anzi, confermerà che, tra il prima e il dopo, l’esercizio effettivo dell’azione di rivalsa avrà un incremento marginale. Anche perché la decisione sarà presa in forma «domestica» e cioè da altri magistrati che, com’è dimostrato dalla storia, avranno poca voglia di infierire. «Cane non mangia cane», dice la saggezza popolare.

L’aspetto più significativo della nuova legge è l’introduzione di un deterrente (la rivalsa). Basterà a impedire che i Pm definiscano un teorema e vadano in cerca di pentiti pronti a confermarlo? È difficile dirlo in questa fase. Ragione vorrebbe che così fosse.

Tuttavia, quando si ha a che fare con le corporazioni autoreferenziali, non vale la ragione, vincono gli interessi di gruppi, sottogruppi e conventicole. E, se questi interessi suggeriranno ritorsioni nei confronti del Pd e del suo «leader» Renzi, il cui coraggio riformista va apprezzato, ne vedremo delle belle. 

Non c’è che da aspettare un anno per capire. Abbiamo atteso così tanto tempo che un anno è proprio poca cosa.
domenico Cacopardo



Una riforma in tal senso andava fatta..bisogna però adesso vederla definita nella sua particolarità per poterla valutare obiettivamente ed in relazione al contesto attuale.
Certo..come afferma Domenico..ci sono voluti 28 anni perché la volontà degli italiani, espressa nel referendum... avesse una forma (parziale) di compiuta attuazione..come è anche certo che sulle sentenze.. l’applicazione della legge, viene data «In nome del popolo italiano» e per questi motivi, ogni sentenza di condanna emessa da un giudice deve sostanzialmente leggersi in senso negativo diretta allo Stato e non al condannato, (cioè deve intendersi come un ordine al potere esecutivo). Se così non fosse , non si potrebbe spiegare la esistenza degli atti di clemenza da parte del Governo (grazia – amnistia – indulto).
Questo non può essere un aspetto da sottovalutare poiché la realizzazione dello Stato di diritto comporta l’obbligo delle istituzioni statali a mantenersi entro i limiti della legge. Questi limiti assumono un carattere di rilievo politico quando il cittadino, titolare delle sue libertà civili, vi si trovi in conflitto, ma anche quando chi opera in relazione con lo Stato ne abusa attraverso la forza di quello che ormai è definito come un “Potere”.
Bisogna innanzitutto considerare che la forma di indipendenza della magistratura. Valutarne attentamente la loro autonomia che è sempre apparsa tanto radicale quanto errata..e cioè.. il frutto di un primitivo concetto della divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli estremismi, ha finito col produrre effetti contrari.

Non è facile dare un giudizio su una riforma sulla responsabilità dei giudici senza prima osservare le ragioni che hanno portato a definire un “potere” giudiziario ( in realtà nato come un “Ordine”), mostrandolo nella sua struttura, radicalmente diverso dagli altri poteri. Un Potere che, come tutti ormai dovremmo aver chiaro, non è esercitato dal complesso dei giudici, ma da ciascuno di essi.
La storia vuole che i padri costituenti italiani, avvezzi nel vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici. A tal fine crearono un organo :il Consiglio Superiore della Magistratura, composto in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere giudiziario, né ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre l’indipendenza del giudizio.

L'inganno.. oggi.. sta nel fatto che, il giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente, ciò che deve rifiutare è proprio un governo senz'altro, tanto che sia in mano all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro Organo.

Ritornando alla riforma odierna... al di là di un chiaro desiderio espresso dai cittadini attraverso un referendum.. bisogna anche considerare la scarsa conoscenza di una buona parte del popolo che si è espressa in una consultazione allo scopo assai generico di una responsabilità su un lavoro così delicato... senza tener conto delle continue evidenti anomalie insite negli altri ordinamenti. Anomalie che, messe in confronto con l'operato di una politica che norma i fondamentali compiti dei poteri stessi, appaiono volute prese di posizioni.: il conflitto di interessi insito nella politica odierna..in realtà pone grossi dubbi sulla possibilità di formulare nel merito leggi in proposito, poichè la stessa politica porta responsabilità assai peggiori verso i cittadini .

Pertanto.. forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere prima, quella di ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici.. facendo il possibile per regolare a mezzo della legge la loro carriera.

Vincenzo cacopardo

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