27 mar 2015

nuovo articolo di Domenico Cacopardo sull'amministrazione della città di Messina


Sembra un thriller. Elezioni amministrative del 2013, 9/10 giugno 2013: Felice Calabrò, il candidato dell’onorevole Francatonio Genovese, ora nelle patrie galere, manca l’elezione al primo turno per 59 voti. Va al ballottaggio contro Renato Accorinti, un pittoresco personaggio del sottobosco antagonista cittadino e qui viene battuto 52 a 48%.
Così, Accorinti, il sindaco clochard, un po’ Masianello un po’ macchietta, si presenta in municipio in maglietta stinta e scalzo per «stare con i piedi per terra».
Il suo arrivo, del tutto inatteso, ha un significato preciso: basta con la classe dirigente che da 67 anni sgoverna la città nel modo più clientelare che si possa immaginare, senza nessuna voglia di garantire un futuro in qualche modo degno del prestigioso passato di uno dei tre porti più importanti del Mediterraneo.
Una scelta che sbaraglia il controllo territoriale sull’hinterland (i villaggi) di Genovese (un pacchetto di 20.000 tessere Pd) e cambia gli stilemi tipici d’una democrazia «alla siciliana»: voto di scambio e promesse di «posti». Per esorcizzare una specie di «Sindrome di Stoccolma» che ha spinto i messinesi a votare i propri affossatori (politici), si mette in atto un’altra specie di «Sindrome di Stoccolma», votando colui che s’è messo a capo del Movimento Noponte, l’espressione locale del nihilismo nazionale, quello che ama la decrescita felice e odia inceneritori e termovalorizzatori.
A distanza di due anni (quasi) si può trarre qualche bilancio parziale dell’esperienza del sindaco clochard. Un bilancio in chiaroscuro, naturalmente.
La prima riguarda il recupero di un pezzo di società civile, mediante l’impegno di alcune sicure professionalità in giunta. L’assessore al bilancio Signorino, ordinario di economia politica, ha preso in mano una situazione economico-finanziaria già collassata, ha deciso di non dichiarare il default (la Corte dei conti lo riporta al 2009), ha imposto trasparenza e tagli dei costi impropri, iniziando un percorso di ricostruzione delle finanze comunali. 
Nuovi vertici della società di trasporti (che nel 2013 contava poco più di 10 autobus e ora supera i 60 per la donazione dei mezzi dismessi del comune di Torino), del servizio di nettezza urbana e un assessorato prima inesistente alle «politiche del mare e protezione civile» danno il senso di un miglioramento dei pubblici servizi di cui soprattutto i villaggi possono beneficiare.

Rimane in grigio la situazione dello Stretto.
La recente richiesta di «continuità territoriale» con Reggio Calabria e il suo hinterland è uno dei problemi critici. La questione è questa: le Ferrovie dello Stato (gli ultimi traghetti costruiti per lo Stretto risalgono al 1977-’78) non intendono più sostenere gli extracosti per il traghettamento dei treni e immaginano un futuro (per ora rinviato di qualche mese) nel quale i treni cesseranno di far up and down tra Villa San Giovanni e Messina e promettono un sistema di tapis roulant di collegamento tra le stazioni ferroviarie e i porti. I messinesi (che non hanno voluto un ponte nel quale era compresa una linea metropolitana) pretendono dalla comunità nazionale il pagamento di quegli extracosti. Una evidente follia in tempi di ristrettezze finanziarie.
Per converso, l’altra idea, tutta di Accorinti, di una «Metropolitana del mare» sembra arenata di fronte alla impossibilità di far quadrare i conti.
Dal passato viene e rimane il tombinamento generalizzato delle fiumare, talché un evento di livello genovese (nel senso della città) potrebbe fare esplodere un tessuto urbano adagiato intorno ai torrenti sotterranei.
C’è poi la questione dell’approdo di Tremestieri.
Dovuto all’impegno lungimirante del ministro Nicola Capria che riuscì a ottenere, nella finanziaria 1986, un significativo stanziamento per la creazione di un approdo a Tremestieri, una frazione sulla costa ionica. In questo modo, i camion provenienti da Catania non sarebbero entrati in città, risparmiandole inquinamento e rischiosi incidenti. Combattuto ferocemente dalla società privata che gestisce i traghetti non ferroviari (di cui è socio non secondario proprio il «Finanziere» Francantonio Genovese –interessato anche all’annullamento del progetto di ponte), questo approdo è entrato in funzione un paio di anni fa, ma è spesso chiuso per l’interramento provocato da robuste correnti ioniche. Lo Stato, patrigno indifferente, interviene con ritardi ben graditi ai privati traghettatori.
Meno drammatica, ma pur sempre grave, è la permanente indifferenza per i tesori pittorici (Antonello, fiamminghi, Caravaggio, Minniti) custoditi nel Museo regionale, la cui presenza non viene pubblicizzata nemmeno tra i messinesi.
La novità più significativa di queste settimane è la proposta di chiedere la proclamazione dello Stretto Patrimonio dell’umanità: è lecito sperarci, ma non contarci troppo, visto che le due sponde sono state investite massicciamente dall’abusivismo edilizio (proprio gli abusivisti sono stati tra i maggiori Noponte).
Comunque, un qualche risveglio culturale si stia manifestando: il vuoto dei partiti, il disastro del Pd, ancora controllato dagli uomini di Genovese, lasciano spazi alla società. La Biblioteca regionale (che comprende il patrimonio librario dell’università) è un sicuro punto di riferimento e propone momenti di attenzione e mostre singolari, premiate da un’insolita affluenza.
Animati da un ennesimo gesuita siciliano, padre Felice Scalia, si aggregano forze cattoliche e laiche intorno all’esigenza di non restituire Messina agli amministratori di un tempo, all’insegna dello slogan «Indietro non si torna» e di evitare che l’area dei Democratici Riformisti (un’ennesima espressione del trasformismo siciliano, molto forte con l’ectoplasma Crocetta), capeggiata da Giuseppe Picciolo e Marcello Greco (deputati regionali) colga come un frutto maturo il comune di Messina alla scadenza di Accorinti, o anche prima, se riuscirà a coagulare il numero di consiglieri comunali necessari per sfiduciarlo.
C’è una complessità ineludibile nella realtà messinese e Accorinti non è la persona più attrezzata per affrontarla. Però, un «sentiment» di non ritorno al passato s’è diffuso e ha buone probabilità di costituire una diga efficace contro clientelismo e degrado politico e morale.
I Masaniello passano. Restano le persone normali che hanno visto affondare nel profondo mare dello Stretto le vecchie clientele e le mezze figure che le gestivano.
Domenico Cacopardo

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