14 apr 2015

un appunto sul nuovo articolo di domenico Cacopardo

Di che si stupisce Domenico Cacopardo?
E' lo stato di abbandono di una società che ha sempre più sottovalutato la cultura del rispetto per una società ed i suoi valori fondamentali che non possono mai essere costruiti sul potere di una economia e del denaro. 
Per quanto riguarda il nostro Paese..non può porsi meraviglia Domenico..che, pur esprimendo una chiara posizione contro l'incedere inopportuno del governo, non pare aver ben percepito il percorso ingannevole del lavoro del sindaco d'Italia.. alquanto sbrigaticcio.. oltre che privo di logica.
Il suo sottolineare :"la politica giudiziaria del governo e del Parlamento invece di occuparsi delle disfunzioni della giustizia, dei ritardi biblici della giustizia civile e di quella amministrativa, si focalizza sulla sottrazione di lavoro ai giudici e ai pubblici ministeri, in modo che possano occuparsi solo di alcuni «grandi» reati". Suona come un giusto richiamo ad una politica governativa che continua a ingannare con le sue azioni di falso rinnovamento ..e poco può importare la voce di un Parlamento.. ormai totalmente soggiogato da una governabilità assoluta che non rispetta per nulla le regole ed i principi fondamentali di una democrazia.
Il richiamo al Parlamento, quindi ..risulta del tutto improprio, giusto per la mancanza di ciò che si dovrebbe ad un Aula.. dove per logica deve anteporsi un dialogo aperto e non continue fiducie... a volte persino ricattatorie.
Tutto prima o poi torna quando non si ha rispetto dei principi cardine di una società che vive in uno Stato democratico. La parola prevenzione non appartiene a questo governo..come non gli attiene ogni logica di politica democratica.
Nel caso della giustizia e della sicurezza, il rischio che l’autonomia del singolo debordi sino all’anarchia del tutto...è ormai di tutta evidenza. Si continua dilatare il problema attraverso regole di prescrizione e depenalizzazioni. Siamo oggi ad un punto critico..ed ancora non si vuole capire che il metodo renziano della semplificazione e della fretta, (che appare erroneamente il più sbrigativo ed utile) nel suo esprimersi in modo sommario, non potrà mai sortire un successo nel futuro..anzi ci tornerà indietro come un boomerang, portando al pettine gli ulteriori nodi irrisolti alla base.
Il problema è solo di natura culturale politica..ed il rischio è maggiore di quello che si crede!

vincenzo cacopardo 


Lo Stato in ritirata
così potrebbe intitolarsi il capitolo di storia patria che sarà dedicato al 2015, l’anno in cui è stata introdotta nell’ordinamento italiano la depenalizzazione di 112 reati, tra i quali ne ricordiamo solo alcuni: abbandono o violenza di persone minori o incapaci; invasione e occupazione di aziende agricole o industriali; appropriazione indebita; attentato alla sicurezza dei trasporti; evasione; furto; istigazione a delinquere; minacce; omicidio colposo; percosse; violazione di domicilio.
Le condizioni sono due: tenuità e non abitualità, elementi questi che saranno valutati discrezionalmente dal giudice.
Nella sostanza, si tratta della gran parte del carico giudiziario, che spesso rimane abbandonato per la priorità accordata ad altre fattispecie, ma che pesa come un macigno sulla società civile.
Basti pensare all’omicidio colposo, quello che più frequentemente si manifesta nelle strade (spesso aggravato dall’uso di alcol e di droghe, compresi gli spinelli che accoppiati all’alcol e ai tabacchi costituiscono un micidiale cocktail, ma in questo caso «aggravato» e non riducibile per tenuità) e che colpisce migliaia di famiglie, sempre alla ricerca di una aleatoria riparazione morale e materiale, sempre gelate dall’insensibilità degli inquirenti. Basti pensare al furto e alla violazione di domicilio, lesioni della personalità, prima che delle cose, spesso causa di irreparabili traumi psicologici.
Va ricordato che la criminologia insegna che nel curriculum di un grande criminale c’è quasi sempre un inizio di «piccoli» crimini. E che, questa depenalizzazione accentuerà la sensazione di abbandono da parte dell’autorità giudiziaria (da cui dipende quella delle forze dell’ordine, ormai quasi sempre inerti di fronte al furto d’auto o in appartamento), e l’insicurezza generale.
Insomma, la politica giudiziaria del governo e del Parlamento invece di occuparsi delle disfunzioni della giustizia, dei ritardi biblici della giustizia civile e di quella amministrativa, si focalizza sulla sottrazione di lavoro ai giudici e ai pubblici ministeri, in modo che possano occuparsi solo di alcuni «grandi» reati. Ma questo non è garanzia di procedimenti celeri ed efficaci, visto che, contemporaneamente, vengono incrementate le pene, allungate le prescrizioni e introdotti tanti nuovi reati, peraltro già previsti in varie forme dall’ordinamento. Il medesimo reato di tortura è già perseguibile nelle forme previste dal codice penale.
Perché, dunque, si procede in questa direzione? Perché così si manda un messaggio di subalternità alla corporazione degli operatori di giustizia e di speranza alla cittadinanza, illusa, invece, da una irrealistica prospettiva di efficienza. Irrealistica: non ci sono gli strumenti organizzativi e disciplinari per mettere in moto la macchina, premiando i solerti e punendo gli incapaci o gli ignavi. Non c’è un’organizzazione economica e sociale che possa efficacemente funzionare senza un reale potere gerarchico di direzione e di controllo. Questo manca del tutto nel sistema italiano, nel quale l’autonomia del singolo deborda sino all’anarchia del tutto.
Con la riforma della custodia cautelare (sarà più difficile e dovrà essere più motivata) si completerà questo rischioso pezzo di riforma. È facile immaginarne l’insuccesso, il tragico insuccesso.
Domenico Cacopardo





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