5 apr 2015

Un commento alla analisi di Domenico Cacopardo sulle infrastrutture


Una logica interpretazione su un argomento che Domenico Cacopardo scandisce attraverso una scrittura chiara. Ammodernare l’assetto territoriale del Paese.. che è in deficit di infrastrutture, non può significare però agire prettamente al nord del territorio. Si è abbandonata l'infrastruttura più importante per il collegamento tra la Sicilia e la penisola nell'indifferenza totale di una mediocre politica progettuale ad esclusivo beneficio delle opere del territorio del Nord che oggi vedono oltre all'Expo, il Mose, l'alta velocità, ed altri cantieri autostradali persino superflui. 

Sappiamo tutti quanto sarebbe primario operare a difesa del territorio nazionale che anno per anno pare sbriciolarsi sotto il peso di continue inondazioni e frane...e quando si accenna alle preminenti infrastrutture, non si vuole percepire alcun bisogno di operare prima a difesa del suolo, sostenendo l'importanza necessaria di un Expo ..e di contro.. sottovalutando un bisogno primario di un collegamento che riguarda il territorio meridionale. Due pesi.. due misure..e continue anomalie ...che mettono in evidenza l'assenza totale nei riguardi di un Sud ormai dimenticato dalla politica nazionale!

Quello che meraviglia, ma che nel contempo sembra lasciare ogni governo nell'indifferenza, è proprio l'abbandono di un territorio come quello meridionale ricco di cultura, agricoltura e arte..e quindi..anche oggetto di un particolare turismo, per il quale non si esprime alcuna capacità di intervento attraverso la dovuta ricerca delle infrastrutture. In questo mediocre quadro di una politica che avanza con la ricchezza di una comunicazione subdola espressa con saccenza da un sindaco d'Italia (che mira prettamente alla esaltazione artistica della sua regione), la politica meridionale necessita più che mai di una figura capace di interpretare i bisogni e le esigenze di un Sud più coeso.. offrendo idee per la crescita del proprio territorio. Ma questa figura oggi manca e quelle deboli che si propongono finiscono sempre con l'usare il pretesto del mezzogiorno per operazioni politiche dirette al preciso beneficio di un consenso.

Un territorio meridionale che, al di là di ogni pretesa declamata a favore dell'Expo, potrebbe offrire un volano di crescita per la Nazione. Quello che manca, oltre alla visione più lungimirante di uno sviluppo qualitativo dell'intero Paese, è proprio il non saper leggere l'importanza che oggi potrebbe esercitare la crescita infrastrutturale del mezzogiorno. 
vincenzo cacopardo


Se, per il potere interno del governo, pesa di più il sottosegretario alla presidenza-segretario del consiglio dei ministri, nella realtà del Paese e della politica «politicata», il ministero delle infrastrutture, che assomma lavori pubblici e trasporti, pesa molto meglio. È il principale motore della ripresa, l’unico reale strumento in mano a qualsiasi governo che voglia pigiare il piede sull’acceleratore dell’economia, con effetti moltiplicatori, visto che incide su un’area «work intensive» e, quindi, può regalare numeri importanti nella lotta alla disoccupazione. Per fare un esempio, il ponte sullo Stretto di Messina avrebbe dato lavoro a circa 10.000 operai per un periodo di 5/7 anni. E non solo. Opere strategiche come l’Alta velocità nella tratta Torino-Salerno hanno dato e danno un importante contributo al Pil nazionale e lo daranno se quanto in programma avrà attuazione.
Graziano Delrio rileva comunque una delicata eredità, nella cui gestione le bucce di banana sono all’ordine del giorno.
Ha iniziato pronunciando una banale sciocchezza: «Le opere pubbliche si dividono tra utili alla collettività e inutili.»
È difficile immaginare che, nel sistema istituzionale attuale, qualcuno, Stato, regioni, comuni, metta in cantiere un lavoro la cui utilità non sia evidente. Certo, anche di fronte all’evidenza, la strumentalizzazione dei piccoli gruppi di potere si scatena con i vari movimenti del «No». In parte per il lucro concreto, in numerario, che ne trae qualche capo degli agitatori pronto a correggere il tiro se adeguatamente «interessato». In parte per il lucro politico di una certa popolarità che potrebbe condurre qualche altro capo in consiglio comunale, regionale o in Parlamento. Il metodo è agevolato dalla Costituzione esistente (e in via di modificazione proprio sul punto) che regala a regioni e comuni una specie di diritto di veto su qualsiasi iniziativa interessi il loro territorio. Del metodo, per esempio, proprio la Reggio Emilia di Delrio e la Modena del gruppo storico del Pci hanno usufruito ampiamente in occasione della costruzione del tratto padano dell’Alta velocità. Reggio Emilia ottenendo una stazione (eccentrica rispetto al punto mediano geografico), Modena costringendo le ferrovie a spendere circa o più di 2000 miliardi di vecchie lire per cambiamenti di tracciato di linea ferroviaria e di autostrada. Una sorta di diritto di gabella esercitato come lo esercitava l’originale Ghino di Tacco da Radicofani o il succedaneo Bettino Craxi nel suo periodo di fulgore.
Ora l’exsindaco di Reggio Emilia Delrio, di suo endocrinologo, entrando negli antichi uffici di Porta Pia ha due principali appuntamenti da onorare. Il primo riguarda il suo imprescindibile contributo alla modifica del codice degli appalti, sulla strada della semplificazione estrema. In modo che elementari, banali procedure rendano il sistema trasparente e del tutto «visibile» dal cittadino. In questo capitolo, si inserisce l’attivazione della piattaforma elettronica di cui siamo già, noi italiani, titolari, migliore –a detta degli esperti- di quelle eccellenti attivate da Regno Unito, Germania e Francia. Attraverso di essa, non solo il controllo sociale sarà attivo, ma sarà facilitato il lavoro dell’anticorruzione e del suo presidente Raffaele Cantone, che potrà far esaminare alla propria struttura tutte le evidenze incrociando i nomi di ditte e operatori con quelli di coloro che sono implicati in vicende all’attenzione dell’autorità giudiziaria.
Il secondo appuntamento è con il sistema delle imprese. Nessun occhietto, nessuna condiscendenza, nessuna disponibilità agli interessi di conventicole e di piccole corporazioni. Linguaggio e orizzonte aperto, in modo che la concorrenza sia reale e che gruppi e sottogruppi di pressione (e i consulenti-affaristi che affollano i corridoi del suo ministero) perdano il ruolo che oggi esercitano. Tra essi, in primo piano, il movimento cooperativo, che ha ormai perduto l’«imprinting» etico che un tempo possedeva e che si presenta con ampi margini di opacità.
Entri a piedi uniti in alcuni degli scandali nazionali, primo fra tutti il Mose: disponga subito una «due diligence» che consenta agli italiani di conoscere l’entità degli extracosti pagati. E la affidi a un soggetto di caratura internazionale. E una «due diligence» occorre anche sulle concessioni autostradali. E sbaracchi le strutture, le commissari e le rinnovi. Lei, Delrio, non saprà perché il signor Rossi merita di essere trasferito. Ma lui, Rossi lo sa benissimo. E approfondisca il «dossier» Anas.
Sulle opere, al di là della banale sciocchezza di apertura, il nuovo ministro scoprirà (acqua calda) che ne esistono di più o meno strategiche. Punti sulle prime, su quelle che possono realmente ammodernare l’assetto territoriale del Paese che è in deficit di infrastrutture. Lasci perdere il resto, in coerenza con il modo di vedere la politica del suo «capo», Renzi.
Avrà da scontrarsi con la palude, ma «hic et nunc» è uno scontro che è necessario e che potrà conferirgli l’«allure» che sino a oggi non ha mostrato.
Domenico Cacopardo

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