7 apr 2015

Una nota critica sul nuovo articolo del consigliere Cacopardo sulla preghiera di Papa Francesco

Non si può chiedere ad un Papa....
In questo articolo Domenico Cacopardo sembra esprimersi in toni un po' troppo duri nei confronti di Papa Francesco.
Qui non si tratta di dover chiamare le cose col proprio nome.. come afferma Domenico.. in quanto il Pontefice esercita la sua funzione ecclesiale attraverso la preghiera e non un ruolo politico. Potrebbe il Papa non pregare in favore di una pace?..Potrebbe non scongiurare altri conflitti sia che si tratti della Siria, dell' Iraq.. o di un qualunque altro paese occidentale?
Malgrado la puntuale.. e per certi punti giusta.. analisi di Domenico nei confronti di una politica occidentale sprovveduta, o ancora peggio...le disastrose «performances» di Obama condotte in Medio Oriente, quello che non posso comprendere è l'indicare questo Pontefice come un capo di una Chiesa che non ha la forza di spendere parole di sostegno nei confronti del proprio popolo cristiano..nè quella visione ristretta delle stragi e delle guerre, legata prevalentemente a chi traffica in armi.
La critica diretta a chi vende armi deve perciò intendersi come un appunto di Francesco rivolto verso quegli uomini(occidentali ed orientali insieme) e la loro mentalità con la quale pensano ancora che vi debba sempre essere un nemico da combattere. Non si può mai biasimare chi combatte con le dovute parole una certa cultura guerrafondaia...come non si potrà mai chiedere ad un Pastore di una Chiesa cattolica cristiana di assumere un ruolo che appartiene solo alla politica. Un Papa non potrà mai porsi al di sopra della politica, sebbene Francesco abbia già dimostrato abbondantemente.. attraverso il suo verbo.. quanto la politica debba imparare dalle sue stesse parole.
Perciò..quello che non mi riesce condividere è proprio l'indicare come “perdenti” o peggio “rassegnate” le sue parole che... al contrario... (non potendosi mai porre con un differente dialogo che appartiene alla politica)...sono dimostrazione giornaliera di una evangelizzazione costruita sull'amore verso il prossimo. Questo è l'unico segno che il Papa può e sa esprimere..ed e' la migliore predicazione espressiva di un sentimento che di certo gli appartiene.
Il Pontefice, al contrario di un certo Clero fin oggi ancora rinchiuso e ristretto, dà continua prova, attraverso parole semplici ed umili, di quanto il messaggio d'amore cristiano possa fare breccia persino in seno alla popolazione ed alla cultura orientale... Certamente non può che far male assistere ai continui efferati omicidi condotti con brutalità nei paesi oggi più poveri contro degli innocenti cristiani, ma se un “Papa cristiano” dovesse oggi intervenire sul piano politico, additando colpevoli e non colpevoli.. il mondo intero ne uscirebbe di sicuro peggio.
Francesco non abbandona per niente i valori cristiani dell'Occidente.. anzi.. si muove costantemente in favore di questi con quella particolare umanità e l'umiltà necessaria che rappresentano oggi ciò che.. al contrario.. gran parte della stessa società occidentale..pare aver perso. ..La sua può quindi definirsi una comunicazione rivoluzionaria tendente a unire le culture religiose e non a separarle o contrapporle.
vincenzo cacopardo




«Preghiamo per la Siria e l'Iraq», ha detto papa Francesco, parlando ai fedeli stipati in piazza San Pietro, «imploriamo la pace per tutti gli abitanti della Terra Santa e per Libia, Nigeria, Sud-Sudan e per varie regioni del Sudan e della Repubblica Democratica del Congo, per lo Yemen e per l'Ucraina. Una preghiera incessante salga da tutti gli uomini di buona volontà per coloro che hanno perso la vita, penso in particolare ai giovani uccisi giovedì a Garissa, in Kenya, per i rapiti e i profughi. E pace chiediamo - ha continuato il Papa - per questo mondo sottomesso ai trafficanti di armi, che guadagnano con il sangue degli uomini e delle donne.»

Nella visione del papa, quindi, le stragi, le guerre, le infamie che portano lutto in tutto il mondo, ma in specie nel mondo cristiano in Medio Oriente, sono il frutto della sottomissione generale ai trafficanti di armi. Una visione primitiva e non meditata, che getta una gelida luce su tutto il pensiero di Francesco votato alla condanna di un nemico oscuro e sfuggente, mentre –e tutti lo sappiamo- il nemico è evidente e visibile.
C’è da chiedersi perché, il papa non chiama le cose con il loro nome e preferisce seguire un’idea delle drammatiche vicende contemporanee rassegnata e perdente, nella quale il destino di agnelli sacrificali cui sono immolati centinaia e, alla fine, migliaia di cristiani, è manifestazione della volontà di un Signore che non concede ai suoi innocenti fedeli il diritto alla vita.
Che religione è questa, il cui capo non ha la forza di spendere parole di sostegno nei confronti delle proprie vittime, rendendo loro il diritto di difendersi e, difendendosi, di impedire lo stupro delle proprie donne, la decapitazione di figli e mariti, il rapimento e l’abiura dei propri bambini con la riduzione in schiavitù delle proprie bambine?
Probabilmente, il pontefice si rende conto che l’attacco è rivolto anche all’Occidente e alla sua civiltà, fondata sul capitalismo, nei confronti del quale, nei suoi discorsi, esprime un’irriducibile ed erronea avversione. Un’avversione che affonda le proprie origini nella sua sudamericanità, nella teologia delle liberazione e nel complesso di convinzioni che ha condotto il subcontinente americano sulla disastrosa via del giustizialismo e del chavismo.
Allora, avevano ragione Malachia e Nostradamus: Francesco è il papa nero, quello della fine del mondo?  Il papa gesuita, il primo dalla fondazione della Chiesa, il pastore che viene da lontano per incontrare tribolazione, morte e vivrà l'ultima e definitiva persecuzione della santa romana Chiesa.
Non a caso, il giorno di Pasqua, il papa s’è anche riferito agli accordi di Losanna sul nucleare iraniano: «Che l'intesa raggiunta sia un passo definitivo verso un mondo più sicuro e fraterno».
Non una parola sui pericoli incombenti, sempre di più, nella riorganizzazione del potere islamico, per Israele, un altro agnello pronto al sacrificio, benché l’arma nucleare di cui dispone potrebbe dare il via all’Olocausto generale.
C’è una sorta di unità sostanziale tra il rassegnato sconfittismo di papa Francesco e la visione obamiana della politica estera. L’aspetto su cui, però, occorre soffermarsi, a proposito dell’intesa Usa-Iran, è quello delle disastrose «performances» di Barak Obama nella politica estera: ovunque la sua iniziativa, fortemente demagogica, ha avuto modo di esprimersi, ha prodotto solo disastri. Benché ci fosse alla segreteria di Stato Hillary Clinton che ha cercato di contenerne eccessi ed errori. Ora, con l’inconsistente Kerry, la situazione è precipitata, sviluppando una sorta di schizofrenia che aggravato la tensione con la Russia (l’unico possibile partner dell’Occidente nella lotta al terrorismo e nella creazione di accettabili equilibri in Medio Oriente, con la difesa e il rafforzamento dell’Islam moderato), ha abbandonato al loro destino popoli non musulmani o di minoritarie frazioni, ed eletto al ruolo di affidabile interlocutore l’Iran teocratico e sciita. Un modo sicuro per gettare benzina sul fuoco mediorientale con imprevedibili effetti su alleati storici come l’Arabia Saudita e l’Egitto.
Papa Francesco, quindi –e ci dispiace constatarlo- contribuisce, per parte sua, alla confusione generale, all’abbandono e alla demonizzazione dei valori dell’Occidente, quei valori che, vincendo la guerra fredda, hanno avviato un periodo di sviluppo mondiale mai visto, con l’uscita dalla fame di miliardi di uomini.
Se fossimo religiosi, con rassegnazione ripeteremmo: «Deus amentat quos perdere vult» (Dio acceca coloro che vuol perdere).
Ma non lo siamo. Quindi, nessuna rassegnazione, in attesa che le «leadership» prendano consapevolezza di rischi e opportunità e decidano di fare ciò che occorre fare.
Rimane nella Storia recente l’esempio di forza e rigore morale donato al suo Paese e alla civiltà occidentale da Margareth Thatcher: nonostante l’insignificanza del piccolo arcipelago delle Falkland ingaggiò una costosissima guerra a migliaia di chilometri di distanza per riconquistarlo e rifiutare sopraffazione e dispregio delle regole.
Washington e alleati sapranno difendersi e difenderci?
C’è da dubitarne, almeno sinché «regnerà» Obama con il suo bagaglio di insanabile demagogia.
domenico cacopardo



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