17 giu 2015

Un commento su una interessante nota di Domenico Cacopardo

Questa nota di Domenico Cacopardo è chiara e condivisibile ed esprime il chiaro dramma di un esodo che sembrerebbe impossibile frenare.

Per dare maggior forza a ciò che ha messo in evidenza il cugino Domenico ripropongo la lettura di una parte di un mio argomento tratto da “Studio e Analisi” postato in questo blog già da tre anni.. dal titolo:
LO STATO, GLI EFFETTI SOCIALI DELLA MODERNIZZAZIONE E LA SICUREZZA

"Una giusta politica europea avrebbe dovuto tener conto dell’aspetto etnico culturale e delle diversità dei Paesi entrati in Comunità. Sembra scontato che solo in questi termini una vera Europa avrebbe potuto avere migliori opportunità di crescita più armonica e sicura.
Gli argomenti politici internazionali di grande attualità nel prossimo futuro saranno quelli legati all’ambiente ed al sovrabbondante numero di immigrati extracomunitari che tenderanno ad invadere con maggior forza i territori dei Paesi economicamente avanzati. Ovviamente i due problemi sono fortemente collegati tra di loro ed al tema di una sicurezza. Tutti sappiamo ormai che il nostro pianeta, oltre a subire un mutamento atmosferico condizionato dal progresso delle civiltà più evolute, deve affrontare questo forzato processo di coabitazione.  Sono problemi ormai conosciuti dei quali si discute abbondantemente e che coinvolgono da vicino il nostro Paese, ma anche in questo caso, ogni soluzione rimarrà ancorata a scelte di natura politica. Non valutati con attenzione nel passato ed adesso moltiplicati e sempre più difficili da risolvere, questi problemi, oggi quasi insormontabili, vedranno un mondo politico doversi esprimere in termini sempre più severi.
Può, come già avvenuto, una singola comunità più dell’altra impegnarsi ad accogliere una moltitudine di immigrati per lo più clandestini, senza avere le capacità recettive ed una adeguata assistenza igienica sanitaria? Può, questo evento, coinvolgere una singola parte del nostro territorio e non impegnare globalmente la nostra politica internazionale?
In qualunque caso, al nostro Paese è venuta a mancare un’azione preventiva che avrebbe dovuto tenere in considerazione già da tempo questo fenomeno in espansione ponendovi rimedi  attraverso atti prodromici mirati, sia in direzione di una politica di sicurezza territoriale, coinvolgendo anche l’Europa, che in direzione di un’utile politica di assistenza sanitaria
Chiari esempi di come sia venuta a mancare un’azione preventiva di studio politico e di come si sono voluti chiudere gli occhi di fronte ai difficili problemi della sicurezza che ne sarebbero scaturiti."

 di vincenzo cacopardo
settembre 2012

C’è un elemento che corrode alle fondamenta la posizione italiana sul tema immigrazione. Si tratta della colossale omissione di atti d’ufficio posta in essere dal ministro Alfano e dai suoi uffici.
Mi spiego. Le leggi in vigore, le leggi di questo Stato, non di altri paesi europei, fanno obbligo alle autorità doganali, di frontiera, di pubblica sicurezza di impedire l’accesso nel territorio nazionale a chi non ha diritto di entrarvi, essendo privo cioè di un valido passaporto, di un visto di ingresso quando necessario, o di un permesso di lavoro rilasciato, secondo le norme, da un’autorità diplomatica italiana all’estero, o, infine, di una ragione riconosciuta come l’asilo politico.
Partiamo dal fondo: per decidere se un tizio ha diritto o meno all’asilo, l’amministrazione dell’interno ci mette un anno e mezzo. L’analoga autorità tedesca due mesi.
Nell’attesa della decisione, di fatto, i richiedenti l’asilo politico sono liberi di muoversi nel territorio italiano, e visto che sono identificati, in quello comunitario.
Ovviamente, quasi tutti si disperdono e non se ne ha più notizia.
Dopo un anno e mezzo, se l’asilo politico viene concesso non c’è alcun problema tranne quello che avremmo un’altra bocca da sfamare e, visto che il lavoro è ancora merce rara, da assistere.
Se la decisione è negativa i casi sono due: se il richiedente viene «trovato» gli viene consegnato un provvedimento che gli impone di lasciare il territorio italiano entro sessanta giorni. Fine della pratica. Quasi. Se la persona è nel giro giusto, gli viene dato il nominativo di un avvocato che presenterà un ricorso al Tar. Questo si comporterà non come il tribunale di una nazione europea, ma come il tribunale dell’«isola che non c’è» e ci metterà non meno di due anni per assumere una decisione. Ovviamente inutile. Visto che un anno e mezzo di attesa del responso del ministero dell’interno e due anni di Tar fanno tre anni e mezzo, quando basta per fare perdere definitivamente le proprie tracce.
Quindi, in caso di bocciatura dall’asilo politico, il tizio scompare e, senza alcun titolo per rimanere in Europa, vaga al suo interno allargando l’area del lavoro nero o di quello illegale (legato cioè ad attività criminali).
In tutti gli altri casi, l’Italia ha l’obbligo, derivante dal diritto interno e da quello europeo, sancito varie volte a Dublino, di prendere gli illegali e «buttarli fuori dal territorio».
È, quindi, evidente che l’Italia opera in violazione di legge e non c’è una ragione che è una perché un qualsiasi «partner» spenda i soldi dei suoi contribuenti per sopperire alle incapacità, alle inefficienze e, diciamolo, alle ruberie italiane.
Sulla cruda realtà dei fatti e del diritto che li disciplina, è stato steso un largo velo di disinformazione. Non si chiarisce mai nelle cronache televisive anche Rai, la distinzione tra immigrati illegali e (aspiranti) rifugiati, in modo da indurre gli italiani a ritenere che le decine di migliaia di ingressi siano riferibili a situazioni di guerra o di persecuzione politica.
Certo, ripugna a un cittadino medio l’idea di non poter soccorrere persone che fuggono dalla fame. Ma, certamente, ognuno pensa che sarebbe meglio mandare cibo laddove manca, nei paesi dell’esodo, piuttosto che elargire un completo mantenimento da noi. Un mantenimento all’interno del quale ci sarebbe una sorta di diritto al lavoro, teorizzato anche da papa Francesco, che non indica, però, chi ha il dovere di fornirlo, il lavoro.
Peraltro, ripugna altrettanto questa non pacifica invasione del proprio Paese, alle prese con un problema dalle dimensioni bibliche. Le cronache di ogni giorno raccontano che gli immigrati (illegali o richiedenti asilo politico) hanno un’idea sbagliata dei loro presunti diritti. Mi correggo: hanno un’idea giusta del lassismo italiano, delle forze di polizia con le mani legate, incapaci di intervenire in qualche modo (vedi caso Ventimiglia). E questo, a dire il vero, non è imputabile al ministro dell’interno, ma a un sistema giudiziario pregiudizialmente avverso alle forze dell’ordine, normalmente sul banco degli imputati per ogni intervento «forzoso».
Ora, detto ciò che è da imputarsi al governo, occorre ricordare ciò di cui non abbiamo colpe dirette: mi riferisco alla Libia, alla Siria e alla nascita dell’Isis. Un complesso di disastri direttamente attribuibili a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Rispetto a essi, è mancata a livello internazionale l’azione politica del nostro Paese, intimidito e succubo nel suo imberbe «leader» e, perciò, incapace di utilizzare tutti gli argomenti (legali) di cui disponeva e dispone.
Certo, siamo giunti al limite, alla soglia che non si può varcare. Le recenti elezioni hanno dato un chiaro segnale al Pd e al suo leader.
Il momento è duro e ci vorrebbero uomini forti, capaci di paralizzare a tempo indeterminato l’attività dell’Unione sui tanti dossier in corso.
Il pessimismo è, però, d’obbligo e non tanto per l’inesistenza del personale politico scelto da Renzi e inviato in giro per i ministeri e per l’Europa, quanto perché scegliendo degli ectoplasmi, il premier ha dimostrato platealmente di non comprendere la natura e la complessità delle questioni loro affidate.
Poiché si tratta di un giovane supponente, sarà difficile che riconosca l’errore e che vi ponga riparo.
Domenico Cacopardo







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