16 lug 2015

nuovo articolo di Domenico Cacopardo

L’America saluta e se ne va.

È questo il succo di ciò che è accaduto martedì a Vienna, al termine  del negoziato 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Iran) sul nucleare iraniano e sull’embargo stabilito 30 anni fa. I termini noti dell’accordo prevedono la permanenza del divieto di produrre bombe atomiche per 10 anni (cioè il disco verde a costruirle tra dieci anni), la continuazione dell’embargo sulle armi per 5 anni, la rimozione del divieto di costruire missili tra 8 anni (2 anni prima della possibile disponibilità di armi nucleari) e poi alcune misure immediate e transitorie, come la riduzione dell’uranio arricchito dalle 10 tonnellate attuali a tre quintali, la possibilità di ispezionare siti militari oltre agli impianti nucleari, il procedimento da porre in essere in caso di violazioni da parte iraniana.
Insomma, le preoccupazioni che si sono diffuse dopo l’annuncio hanno un serio fondamento, visti i caratteri molto opzionali di molte clausole e, soprattutto, il via libera all’armamento atomico tra 10 anni.
La retorica e la mistificazione si sono scatenate intorno all’accordo. Giornali di grande informazione scrivono di «Iran senza atomica», un rovesciamento completo della realtà.
L’America lascia nei guai il mondo sunnita e precisamente: l’Arabia Saudita, gli Emirati, lo Yemen, l’Egitto, la Libia e la Tunisia, oltre ai paesi dell’Africa subsahariana. Compie una scelta che aggraverà il disimpegno turco nei confronti della Nato e del mondo occidentale, ricacciando il Paese nel Medioevo islamista.
Regala agli ayatollah il consenso generale alla costruzione di bombe nucleari a far data dal 2025, senza ottenere, in cambio, alcun significativo impegno di prospettiva.
Consegna, quindi, la primazia dell’area all’Iran, che ha già le forze armate più numerose, equipaggiate e agguerrite e governa migliaia di miliziani, impegnati in Iraq, in Siria e in Libano.
Se non crolleranno prima, le nazioni sunnite saranno costrette a cercare un accomodamento con il Paese degli ayatollah.
Anche perché, con il pieno ritorno sul mercato del petrolio e del gas iraniani, i prezzi subiranno un ulteriore taglio accentuando le difficoltà dei produttori sunniti.
Con l’accordo sottoscritto a Vienna, infine, Obama completa la propria disastrosa politica estera che ha prodotto danni irreparabili al mondo occidentale, devastando il Medio Oriente amico dell’Occidente, dall’Egitto alla Tunisia.
Se pensiamo, però, all’Iraq, ci rendiamo conto che l’opzione sciita si consolida e consolida altresì lo schieramento filo-Isis, nemico totale dell’Iran.
Sarà compito del successore di Obama ritrovare il ruolo che aveva caratterizzato gli Stati Uniti dal 1945 e che aveva permesso di costruire il più lungo periodo di pace della storia d’Europa. Ma sarà molto più difficile di quanto non fosse nel 2008, anno della sua prima elezione.
Ora, mancando l’America, il livello degli attuali conflitti infraislamici subirà una rapida «escalation», con immediati incontrollabili contraccolpi per l’Unione europea, un colosso economico, un nano politico.
Non c’è una possibilità che è una che l’Unione possa supplire al vuoto di potere creato a Vienna e assumersi la «leadership» cessata.
Intanto, i presidi antiterrorismo, cioè Egitto e Tunisia, saranno assorbiti dai gorghi dello scontro sciiti-sunniti e finiranno per subire l’iniziativa dei movimenti più radicali e terroristici.
La lunga pace europea (a parte il caso Serbia) sarà messa rapidamente in discussione, giacché, se vorrà sopravvivere l’Unione e le nazioni che la compongono saranno costrette ad assumere iniziative di difesa passiva e, molto più difficili, attiva.
Una vera e propria iattura, che, allo stato, non è possibile scongiurare.
La medesima sentinella d’Occidente, Israele, entra in una fitta zona d’ombra. Certo, colpirà di nuovo direttamente o per via informatica il sistema iraniano, ma la partita rapidamente mostrerà lo squilibrio di forze che già oggi è incolmabile.
Gli scenari nuovi che gli strateghi debbono disegnare sono oscuri e pieni di variabili di difficile calcolo.
La Russia, che potrebbe essere l’alleato risolutore dei timori occidentali, è ancora a sua volta in stato di «embargo» e non si vede luce nel tunnel oscuro dello scontro, per ora diplomatico
(intanto, la Germania, che è falco a 359 gradi, lasciando a se stessa lo spiraglio che le serve, chiude il rubinetto Sud del gas russo e spalanca quello Nord -North Stream- a dispetto di ogni sanzione, applicata, a questo punto, solo dai fessi).

C’è un’osservazione che merita attenzione: che, dopo l’accordo, la situazione è migliore di quanto fosse prima. L’ha detto, in sostanza, Emma Bonino, politica di valore, purtroppo allontanata dal governo dall’arrivo naif di Matteo Renzi. Tuttavia, occorre ricordare che l’Occidente, con l’embargo, aveva una forte presa sull’economia iraniana e che, forse, era possibile ottenere di più, cioè la rinuncia, per sempre, all’arma atomica e ai missili che la trasporteranno. È questo il punto critico inaccettabile dell’intesa di Vienna e nessuno ci potrà dimostrare il contrario.
In questa atmosfera, dei rischi che si correranno d’ora in poi, la povera signora Mogherini che non ha capito niente, anche se ha presenziato, e dichiara: «Giornata storica, il mondo è più sicuro». Stupide parole in linea con il personaggio e con la sua assenza di visione politica.

Domenico Cacopardo

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