27 lug 2015

Nuovo articolo di Domenico Cacopardo

Matteo Renzi e il suo governo, peraltro come i governi che li hanno preceduti, stanno gravemente sottovalutando il fenomeno in corso della trasmigrazione di decine di migliaia di uomini e donne dal Sud del mondo all’Italia. Una trasmigrazione che comprende due categorie di persone, abilmente indicate come «migranti» per confondere le idee della pubblica opinione: coloro che abbandonano situazioni di guerra o regimi dittatoriali e coloro che fuggono dalla fame.
Ora, gli obblighi internazionale liberamente sottoscritti dallo Stato italiano ci impongono di identificare tutti coloro che entrano nel territorio nazionale non avendone diritto. Coloro che si dichiarano rifugiati politici debbono essere sottoposti a uno specifico procedimento per la verifica di tale qualità (rifugiati politici) alla fine del quale coloro che saranno riconosciuti «rifugiati politici» saranno ammessi nel territorio italiano e, quindi, europeo.
Tutti gli altri, cioè migranti non politici, debbono essere «respinti»: anche perché esiste, per loro, un altro specifico procedimento che passa attraverso le sedi consolari italiane, che consente l’emissione di un visto (di lavoro) per coloro che presentano un valido contratto. Non c’è nessun’altra possibilità legale.
Questo è lo stato della legge. Certo, le dimensioni degli arrivi sono tali da rendere difficile la sua applicazione, ma questo non giustifica la scelta compiuta dal governo: chiudere gli occhi, non identificare la maggioranza degli arrivati, ospitarli nei centri di raccolta e, infine, stimolarli disperdersi nel territorio nazionale e, sperabilmente, in quello europeo.
Sostiene l’amministrazione dell’interno, a propria giustificazione, che è difficile l’identificazione di questi poveri esseri umani. L’affermazione è deviante. Infatti, se il migrante rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false, occorre renderlo identificabile mediante le impronte digitali, possibilmente il Dna, le foto segnaletiche e da ultimo il conferimento di una sigla alfanumerica.
Quindi, l’identificazione che si deve effettuare è rivolta al presente e al futuro in Italia e in Europa e non riguarda un non accertabile passato.
Perciò l’Unione europea è fortemente restia a darci una mano nella gestione di questa povera gente ed è tutta colpa nostra, dei nostri governanti, dei funzionari del ministero degli interni e delle sedicenti (non tutte, ma molte, sempre troppe) organizzazioni umanitarie che spendono le risorse di cui dispongono soprattutto per se stesse e per i propri operatori.
Questo atteggiamento «mite», in realtà corrivo, irresponsabile e fellone, spinge i nuovi arrivati ad avanzare pretese inaccettabili e a manifestare clamorosamente, come è accaduto a Lampedusa, a bruciare i materassi del centro di accoglienza. Operazioni, queste, attivate e coordinate da connazionali particolarmente noti alle autorità di pubblica sicurezza, impedite a intervenire dal timore di ritorsioni giudiziarie e politiche.
Se ci riflettiamo, chi arriva senza averne diritto compie una illegale e non ammessa invasione del territorio nazionale. Un fenomeno che dovrebbe essere ostacolato a termini di Costituzione.
Ma questa è cronaca di questi anni, insieme alla retorica ammannita dai media in una catena di Sant’Antonio volta a difendere e a promuovere il lucro personale dei soliti disonesti.
Un discorso diverso meritano coloro che operano sulle imbarcazioni, militari italiani e di altri paesi d’Europa, che applicano le norme sul soccorso in mare.
Però, la missione militare annunciata con enfasi ed entusiasmo dalla Mogherini e dalla Pinotti, sembra arenata prima di iniziare.
Il contrappasso di questo modo incosciente di governare l’Italia è la paura.
Non il razzismo, ma la paura.
La paura di tutto ciò che turba il normale tran-tran delle nostre comunità, già sottoposto a inattesi stress dalla massa di immigrati orientali che si sono insediati e vivono in Italia, nella stragrande maggioranza, onesti lavoratori.
Ma la paura di questi nuovi arrivi deriva da un complesso di ragioni e come tutti i sentimenti (irrazionali per definizione) deve essere rispettato dallo Stato, il cui compito costituzionale è quello di difendere i cittadini e di rassicurarli, in modo da allontanare proprio le paure ancestrali e attuali che li aggrediscono.
Invece, la paura viene trasformata in razzismo: ovunque la paura si manifesti là c’è un’accusa di razzismo che colpisce chi dimostra la propria paura e, pacificamente, protesta.
Non è questa la strada. Sul futuro roseo e vincente rappresentato, a parole, da Matteo Renzi pesa come un macigno questo problema.
Sarebbe molto più giusto spiegare le difficoltà e i limiti dell’azione di governo. Sarebbe molto più giusto che i pubblici ministeri, i Ros e le altre forze di Polizia indagassero sugli italiani che speculano sull’accoglienza. Sarebbe molto più giusto che il ministero dell’interno si organizzasse per dare una risposta ai richiedenti l’asilo politico entro due mesi (durante i quali gli aspiranti debbono essere ospitati in apposite strutture. Negli Stati Uniti in luoghi di detenzione amministrativa) invece che dopo due anni.
Insomma, l’unica risposta accettabile è il dialogo con i cittadini e il miglioramento dell’attività amministrativa.
Invece, le solite fonti bene informate rivelano una svolta: i problema dell’accoglienza dei migranti sarà affidato ai sindaci e tolto ai prefetti.
Un avviso di disastro annunciato, la sublimazione di «Nimby» (Not in my back-yard), la fine dell’unitarietà ontologica dello Stato per il ritorno alla penisola dei comuni e delle signorie.
La crescita di Grillo e di Salvini, quindi, è effetto soprattutto dell’incapacità del governo di maneggiare la questione.
Senza dubbi né speranze per l’immediato futuro.
Vincerà la paura e l’irrazionalità con effetti devastanti: abbiamo già ricordato il 1922.

Domenico Cacopardo

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