30 giu 2015

Nuovo interessante articolo di Domenico Cacopardo

Il nuovo venerdì di sangue, 
...il 26 giugno, riporta l’Occidente e l’Islam laico e moderato di fronte alle proprie responsabilità. Ineludibili.
È inutile snocciolare la solita litania di recriminazioni e di frasi razziste. Occorre ragionare sulla medesima lunghezza d’onda dei terroristi e definire una strategia forte di attacco e contrasto.
Perno dello schieramento sono, purtroppo, gli Stati Uniti e l’apprendista stregone che siede alla Casa Bianca.
Quello è il primo nodo da sciogliere, mettendo in luce le responsabilità storiche della goffa e velleitaria presidenza Obama: è stato lui ad andare al Cairo e a parlare nell’università con parole incendiarie, capaci di aprire una crisi epocale nella sponda Sud del Mediterraneo. In Egitto, in Tunisia e in Libia, prima che in Siria. Se, tra Europa e America non ci sarà un chiarimento brutale, Obama continuerà a provocare danni irreparabili, sia nel nostro scacchiere sia nello scacchiere orientale per l’improvvida iniziativa Ucraina, una sorta di crisi di Cuba al contrario. E ciò mentre l’Isis annuncia l’apertura di un nuovo fronte in Caucaso e, quindi, la guerra in casa russa.
Ecco l’occasione per riprendere il discorso con Putin tornando ai tavoli comuni, nella cooperazione economica, politica e militare.
Un'altra contraddizione da dipanare riguarda il doppio gioco di alcune monarchie islamiche e della Turchia, mai come oggi indiziata di sostenere l’Isis e tutto il magma dell’integralismo musulmano.
Se Europa e Stati Uniti aprono il dossier Turchia, dopo avere riallacciato positivi rapporti con la Russia, all’autocrate Erdogan rimangono poche possibilità di continuare la sua azione distruttiva.
C’è poi l’Unione europea e le sue difficoltà nel mettere insieme un forza militare di contrasto degli estremismi in Libia e nella traballante Tunisia. Non c’è in gioco solo la sorte del turismo europeo, ma, più vitali, delle storiche relazioni economiche e dell’immigrazione inarrestabile senza collaborazioni sulla sponda africana.
La scorsa settimana, sembrava che si fosse fatto un passo avanti con la definizione di un’operazione militare comunitaria di contrasto degli scafisti e dei tagliagole dell’Isis. Non se n’è saputo più nulla: questo riafferma la necessità d’essere sempre scettici e prudenti quando c’è di mezzo la Mogherini e l’apparato informativo italiano a Bruxelles. Anche perché, senza il consenso dell’Onu (per il quale occorre l’appoggio russo e quello, conseguente, cinese), difficilmente l’Europa potrà mettere insieme uno strumento bellico di una qualche efficacia.
I giornali del benpensantismo nazionale descrivevano di recente le mirabilie dei 30 (trenta) uomini del Comsubin destinati a partecipare alle azioni in Libia. Trenta uomini in un mare di islamici agguerriti fanno immaginare sciagure quali le abbiamo già vissute nelle nostre avventure africane, l’ultima delle quali, in Somalia («check point pasta») con diversi caduti.
Perciò è bene di parlare di cose serie e immaginare come si può concretamente operare. La prima missione, infatti, è quella di supplire alle carenze americane, fornendo al mondo islamico laico e moderato (Egitto e Tunisia) un sostegno forte e determinato, sceverando in modo chiaro tra amici e nemici, al contrario di quanto è accaduto e sta accadendo in Siria, dove le armi occidentali sono finite nelle mani sbagliate.
Mettere ordine nel caos internazionale, stabilendo chi sono i nostri amici, quanto affidabili e quanto sostenibili.
Certo, ci vuole una seria «leadership» capace di prendersi di strategie e tattiche e di imporre comportamenti coerenti.
Perciò, il primo «show-down» deve essere compiuto con il Paese amico, gli Stati Uniti. Subito dopo, con Turchia ed emirati.
Poiché siamo amici, abbiamo il dovere di parlar chiaro e di mettere le carte in tavola.
Non possiamo sostenere oltre la politica delle sanzioni alla Russia che ci costa in termini economici e politici. Il prezzo è sbagliato, poiché i fini dello scontro politico sono errati.
Avevamo scritto che la denuncia di un riscaldarsi delle tensioni un paio di giorni prima del G7 era un’«operazione» Cia ed affiliati. E, ora, abbiamo constatato che era proprio così: il giorno dopo il vertice le tensione era scomparsa dalle pagine (acritiche) dei giornali e l’attuazione dell’accordo di Minsk procedeva. Con difficoltà, ma procedeva.
Il discorso finale è per Matteo Renzi: non può continuare a collezionare comparsate europee vendute agli italiani come successi.
Ci sono poche cose che può fare a Bruxelles con probabilità di riuscita: le faccia. Dica che il governo italiano non vuole (e data la regola dell’unanimità, se un Paese come l’Italia non vuole, non lo vuole nemmeno l’Europa) la continuazione dell’«embargo» alla Russia e vuole una linea politica concreta e definita per la Libia, la Siria, la Tunisia e l’Isis.
Il successo che, con le elezioni del 2014, Renzi ha ottenuto non ritornerà se non si decide a metterci la faccia sino in fondo senza deflettere di un passo.
Abbiamo un solo strumento per contare nell’Unione e si chiama diritto di opposizione e di veto. Usiamolo con ragionevolezza, ma usiamolo.

Domenico Cacopardo

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