18 ago 2015

Una breve critica all'articolo di Domenico Cacopardo sulla riforma Rai

Quello che non si riesce a sopportare è proprio quel metodo “sottile di strategie” per ottenere risultati a favore di interessi politici personalissimi esaltati proprio dalle “scaltrezze” di un gioco che... in vero... uno svago non dovrebbe mai essere . Le “furberie di tipo andreottiano” a cui fa riferimento il dotto cugino Domenico in questo articolo, altro non sono che strategie che appartengono ad un passato che ha rovinato tutto l'andazzo di una politica che si vorrebbe oggi più nobile e fattiva. Se Freccero non ha mai sostenuto questa politica ed i metodi di Berlusconi e Renzi è proprio per il fatto che costoro si sono sempre mossi con atteggiamenti e posizioni da veri restauratori e meno come effettivi riformatori. Non credo si tratti di odiare, ma di valutare l'operato assai discutibile di tali strategie dedite esclusivamente a distribuire il potere con fini di ottenere consensi, ma quasi mai per ottenere giusti meriti ed efficienza.

Con estrema limpidezza ed un po' del solito disinvolto cinismo...Domenico scrive: Le capacità manovriere e mistificatrici del primo ministro che, tra polemiche comunque contenute, ha portato a casa, con tecnica andreottiana, il risultato desiderato: tempismo, un gioco sottile di accelerazioni e di rallentamenti, spregiudicatezza, col recupero di un rapporto sostanziale con Silvio Berlusconi.
Tutto si definisce quindi nella capacità di saper manovrare, nella spregiudicatezza.. e nell' aver saputo giocare con astuzia, ma quasi mai si entra nel merito di queste riforme , esaltandone  e mitizzandone gli sterili risultati e le figure di coloro che.. con una certa spregiudicatezza.. hanno saputo ottenere risultati attraverso l'uso di metodi andreottiani o similari.Quello che purtroppo oggi ancora esalta una gran parte di cittadini che analizzano i risultati come successi personali a prescindere... privandosi di considerarli in profondità nel merito!: E' quella "foma mentis" rimasta legata alle strategie di un passato che ci ha reso politicamente deboli e assai poco costruttivi. 

Ma, non so se Domenico percepisce che è proprio questo vecchio concetto che si vuole cambiare (sia che esso venga sostenuto dalla politica del nuovo M5S o condotto da altri nuovi movimenti) da parte di una nuova politica che avanza con fatica... altrimenti quel cambiamento non potrà mai essere il vero cambiamento. 

Questa è la ragione per la quale si deve contrastare questo metodo della visione cinica e pragmatica che avanza dirompente a sfavore di una più larga visione che tenga conto della ricerca e delle teorie di base e che realizzi ogni fine come utile funzione. Questa logica delle manovre astute (sia che si tratti di riforma RAI o altre riforme più complesse) porterà sempre risultati flebili, scomposti e di parte, ma mai a favore di un cambiamento che si vorrebbe di vera funzionalità. E' facile dare simili meriti ..molto più difficile operare per un cambiamento più serio senza emulare operazioni di strategie andreottiane di alta convenienza personale che si esprimono, poi, in una bassa politica costruttiva. 
vincenzo cacopardo


UN'OPERAZIONE ANDREOTTIANA

Mentre gli ultimi guerrieri giapponesi, ignari che il mondo è andato oltre Hiroschima, il Vietnam, il Golfo, Osama Bin Laden, si battevano come leoni per impedire la riforma della Rai proposta, per conto di Renzi, da Maria Elena Boschi, il governo concordava con le opposizioni il rinnovamento del consiglio di amministrazione, presidente e amministratore delegato secondo la (vigente) legge Gasparri.
All’operazione ha, inaspettatamente, partecipato il Movimento 5Stelle che, smentendo l’usanza di consultare il popolo via web, ha indicato come suo rappresentante Carlo Freccero, il noto e apprezzato professionista dei media che, per la vecchiaia e nonostante i riconoscimenti ottenuti, ha scelto il mestiere di odiatore del mondo e, in particolare, di Berlusconi e di Renzi.
In realtà, il risultato ottenuto sul tema Rai conferma le capacità manovriere e mistificatrici del primo ministro che, tra polemiche comunque contenute, ha portato a casa, con tecnica andreottiana, il risultato desiderato: tempismo, un gioco sottile di accelerazioni e di rallentamenti, spregiudicatezza, col recupero di un rapporto sostanziale con Silvio Berlusconi, mai venuto meno, in verità, mediato questa volta da sua felpatissima eminenza Gianni Letta, e cinica gestione degli uomini in campo.
Repubblica che, da tempo ha abbandonato il campo di Carlo Magno (capo di tutti i cristiani) per passare a quello di Agramante (capo di tutti i mori), protesta stizzita con un durissimo fondo di Ezio Mauro: la sensazione, però, è che la causa sostanziale della stizza derivi da una incontestabile caduta di peso e di influenza che restringe la sua area di riferimento politico agli scontenti di sinistra, cioè a gruppi marginali e ininfluenti, e, tentativamente, alla combriccola grillesca, peraltro ben più e meglio interpretata dal noto Marco Travaglio.
Nel merito, la nuova Rai è interessante. Si rimuovono la presidente Tarantola, che, a via Mazzini, sembrava l’asino in mezzo ai suoni, provenendo da Bankitalia e da una discussa esperienza alla Vigilanza, e il manager Luigi Gubitosi, il cui risultato migliore (la riorganizzazione dei Tg) è stato lasciato in eredità ai successori. Si inseriscono al vertice Monica Maggioni, cui si muove l’accusa di carrierismo, tipica manifestazione di invidia di colleghi interni ed esterni, mentre nessuno mette in discussione i risultati sempre ottenuti negli incarichi svolti, compresi quelli più rischiosi, nei fronti iraqeni e nel palazzo presidenziale di Assad. E, come direttore generale (e possibile futuro amministratore delegato) un personaggio interessante, anche se ignoto al grande pubblico: Antonio Campo dell’Orto. Cinquantunenne, proviene dall’universo Mtv, e dal consiglio di amministrazione delle Poste, ov’è stato inserito proprio da Renzi.
Tralasciando la povertà degli altri, una compagnia di nani (nei quali si intruppa Freccero, la cui possibilità di incidere sarà pari a zero), nella quale spicca per «nanità» una certa Rita Borioni, designata da Matteo Orfini, col quale ha collaborato nella commissione cultura del Pd, il duo Maggioni-Campo dell’Orto può imprimere una svolta all’azienda, introducendo un principio ignorato: la terzietà. Sin qui l’equilibrio dell’informazione era figlio della lottizzazione: gli utenti riuscivano a ottenere una rappresentazione dei fatti e delle opinioni (sempre squilibrata a favore del potere aziendale, monopolizzato dal Pd, frazioni exdemocristiana ed excomunista) da giornalisti strettamente lottizzati.
Ora, potrebbe verificarsi il caso che la notizia governi l’informazione e, quindi, sia essa dotata di quella terzietà da tutti invocata, ma da nessuno voluta. Certo una terzietà limitata dalla riconoscenza per Renzi, la cui misura, però, è nelle mani dei due massimi dirigenti.
Renzi, nonostante i propositi bellicosi, ha fatto un bagno di realismo: in fondo, ma non tanto, questo governo è dominato dalla democristianeria. Una democristianeria giovane e giovanilista, perciò più gradevole della vecchia, ma in sostanza sempre uguale a se stessa: cinismo, complicità, spregiudicatezza praticata con misura, disponibilità a tutto purché il potere sia mantenuto.
Nello sfondo, si animano i fantasmi di tragici passati. Se questo metodo di governo sprofonderà, come spesso sembra voglia fare, i movimenti populisti e nihilisti si rafforzeranno ulteriormente e sfioreranno il potere riportando d'attualità i nostri periodi bui, nei quali il vento dell’antipolitica ha prodotto una dura tirannia.
Certo, nello scenario manca una forza politica rigidamente democratica e liberale, radicalmente legata alla forza della legge e dello Stato di diritto, capace quindi di prospettare agli italiani una soluzione diversa, nella quale ci dovrebbe essere l’equilibrio dei diritti e dei doveri e la moralità pubblica non fosse sfiorata dal dubbio.
Questa forza c’è stata e si chiama Partito radicale: pur con numeri elettorali risicati è riuscito a imporre le principali riforme civili che rendono oggi l’Italia omogenea al mondo laico occidentale. E ha condotto, con esiti alternati, grandi battaglie di civiltà.
Oggi, un declinante Marco Pannella non è più percepibile come un leader capace di dettare l’agenda del prossimo futuro.
Ci manca, perciò, chi può far risuonare nelle aule parlamentari la voce della Repubblica democratica, aperta ai giovani e all’innovazione, capace di essere protagonista nella Penisola e in Europa.
Dobbiamo quindi arrangiarci.
Mentre aspettiamo che il destino di Renzi si compia, sia esso la sopravvivenza, o sia quello di Cesare assassinato da Bruto, dobbiamo renderci conto che mentre discutiamo e ci sbraniamo sulla Rai, l’Egitto di Al Sisi inaugura l’ampliamento del Canale di Suez (un anno di lavori per 8 miliardi di dollari) a dimostrazione dell’immarcescibile vecchiezza di questo Stato, dei suoi riti, delle sue cautele cartolari, dei suoi aeroporti di Fiumicino, bloccati per mesi per l’incendio di un bar, delle sue Ilva di Taranto, passata dal governo dell’economia al governo dei giudici, dei suoi cantieri di fama mondiale bloccati sempre dai giudici.
Insomma, se Renzi, benché democristianuccio (ma non di sagrestia come quelli cui eravamo abituati, alla prodi), riesce ad arrivare al 2018 con le riforme approvate, viva Renzi e il renzismo.

Domenico Cacopardo



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