12 ago 2015

una nota al nuovo articolo del consigliere Cacopardo sul mezzogiorno

Al di là delle omelie di Saviano e delle particolari caratteristiche dei cittadini del sud-italia già molte volte espresse in questo blog: Palesi problemi caratteriali che gravano sui cittadini di questa parte del territorio (un quasi naturale cinismo - una innata arroganza ed un indubbio astio per chi fra loro emerge) quello che veramente è sempre mancata.. è una vera idea di sviluppo per il Sud..Lacuna che...se messa in relazione con la mancanza di risorse, finisce col chiuderlo in se stesso e legarlo in una solitudine senza scampo.

Di sicuro il sud sul piano del lavoro e dell'economia fa molto pensare ad una Grecia italiana: la distanza politico culturale..la mancata realtà industriale e la evidente posizione terrestre che la avvicina di più al territorio africano.. non sembrano darle scampo. Ma quello che più sorprende è la mancanza di una forza locale capace di portare avanti un programma politico in favore di questa terra.

Tutto ciò che scrive Domenico potrebbe essere giusto se non vi fosse ormai da parecchi anni uno stato di abbandono in conseguenza di una politica centralista che non ha saputo offrire proposte valide per la sua crescita infrastrutturale. Le storture evidenziate dal clientelismo e dalle scelte su amministratori locali incapaci è soprattutto dovuta ad un certo abbandono da parte di chi avrebbe dovuto avere più cura e maggior prevensione oltre ad un preciso piano di sviluppo che avrebbe potuto rappresentare un vero polmone per la crescita dell'intero Paese.

La colpa principale sembra essere quella di chi non ha saputo leggere il futuro di questo territorio e lo ha abbandonato in mano a forze politiche locali ignoranti. Ma un dato di fatto è certo: Napoli..come Palermo ..non potranno mai ospitare fiere internazionali senza le necessarie infrastrutture..e senza di queste.. ogni altra lacuna viene accresciuta.
vincenzo cacopardo


In mancanza di meglio, anche il Sud è tornato all’ordine del giorno.
Le anticipazioni della Svimez, il carrozzone in disarmo che studia il Mezzogiorno (non autorizzate e non condivise da membri del consiglio) segnalano che sprofonda e non ha una chanche di risalire. Addirittura sarebbe peggio della Grecia.
Si inseriscono nella polemica in tanti e, in particolare, Roberto Saviano, l’eroe di Gomorra che s’è attribuito il ruolo di guru o profeta del Meridione, qualsiasi sia l’argomento specifico in discussione. E, nel disastro dell’economia del Sud, sembra trovarsi nel suo elemento naturale, visto che ogni colpa è del Nord e, in particolare, del governo nazionale, che ha smesso di fare ciò che ha fatto per quarant’anni abbondanti: mandare vagonate di soldi, ingrassare politici, affaristi e, in ultimo, estremo luogo, cittadini.
Dimentica, Saviano, che da qualche decennio ci sono i fondi strutturali europei. Che le poche regioni italiane a poter attingere a questa forma di finanziamento, sono le regioni del Sud. Che decine di miliardi di progetti giacciono sulle scrivanie di non solerti funzionari regionali e comunali, senza che un solo euro sia speso per la comunità.
Insomma, come per la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta attribuire la colpa agli altri, a quelli del Nord e al governo non solo è facile, ma anche utile. Infatti, se la responsabilità è degli altri, essa non è dei siciliani, dei napoletani, dei calabresi e dei pugliesi. Quindi essi vanno assolti ed è lo Stato e gli altri italiani a dover essere indagati, perseguiti, demonizzati. Un inaccettabile mondo al contrario.
Il corollario è la popolarità: se questo è vero, rizzarsi sulla schiena e denunciare gli altri rende molto, ovunque, ma in particolare nei salotti radical-chic dei capoluoghi, quelli nei quali i resti di una borghesia che fu propositiva e governante, si adagiano nell’inazione e nella rinuncia.
Certo, Saviano, pubblicando il libro che ha pubblicato, s’è meritatamente guadagnato i galloni di eroe. Ma ciò non basta per comprendere e giustificare la sua partecipazione al coro delle geremiadi nelle quali l’imprecazione e la criminalizzazione degli altri è in sostanza l’alibi degli ignavi e dei complici.
Ho scritto più volte che la società delle grandi e delle piccole città siciliane non è mafiosa. È corriva e rinunciataria, talché gli abitanti si dividono (per semplificare) in varie categorie: quelli antimafia, veramente antimafia, che della lotta per la legalità hanno fatto ragione di vita; coloro che usano l’antimafia per prosperare e crescere, partecipando, solo «per figura» a ogni manifestazione di condanna del fenomeno criminale. Poi c’è la maggioranza: sono gli indifferenti, quelli che tirano a campare e che, se non fanno parte della criminalità, ci convivono senza problemi. Essi sono peggio che complici, giacché costituiscono il brodo di coltura del malaffare e del crimine. Infine i mafiosi e i loro simpatizzanti.
Certo, il contesto provoca un indotto immenso: pensate alle parcelle delle centinaia di avvocati impegnati nei procedimenti antimafia. E ai benefici che alcuni traggono dalla situazione.
Insomma, è difficile immaginare che la Napoli di De Magistris, la Sicilia di Crocetta, la Calabria di Oliviero (però di gran lunga il migliore, personalmente non assimilabile agli altri due) riescano a voltare pagina, mentre milioni di euro non vengono spesi e milioni vengono buttati dalla finestra per spedire (vero, Napoli?) tonnellate di rifiuti in Olanda, dove sono trasformati in materie prime per la lucrosa produzione di energia elettrica. Chi ha rifiutato un termovalorizzatore per spendere i quattrini dei contribuenti italiani (non partenopei) per inviare i rifiuti in Olanda, in un Paese normale sarebbe indicato al pubblico ludibrio e allontanato dalle responsabilità che ha conquistato.
Ma così non è.
Secondo me, la colpa di quanto di male è accaduto e sta accadendo da Roma (Roma ha abbandonato il link con il Nord e l’Europa per assimilarsi a Napoli e al peggio che il Meridione dà) a Capo Passero è tutta dei cittadini di quelle zone. Perché non hanno scelto gli amministratori secondo un corretto criterio democratico, ma secondo clientele e favoritismi. Perché non hanno preteso che gli amministratori operassero nell’interesse è pubblico. Perché non hanno imposto di correre per realizzare le opere che l’Europa aveva finanziato. Perché ha permesso che le scuole non funzionassero e diventassero diplomifici coi massimi voti e i minimi risultati. E che accadesse tutto ciò che accaduto. Comprese le incredibili stragi che sappiamo.
Addirittura, a Messina è stato eletto sindaco il capo dei Noponte, una specie di masochista che s’è battuto contro la resurrezione delle propria città. È vero che gli altri, in particolare il padrone del Pd, Francantonio Genovese, ora ai domiciliari dopo una lunga detenzione, era peggio del primo cittadino, Renato Accorinti, ma il risultato è stato effettivamente drammatico. La città langue in un’agonia permanente senza una prospettiva di riscatto.
Insomma, se la Grecia va avanti al Sud-Italia va riconosciuto che è giusto. In Grecia non c’è un fenomeno criminale come quello che affligge il Meridione d’Italia. Un fenomeno creato dai cittadini del Meridione stesso, non dai funzionari piemontesi, deprecati oltre il lecito e il meritato.
Certo, la cruda, inattuabile verità è che il Sud-Italia andrebbe abbandonato al suo destino. Non un soldo dovrebbe essergli destinato. Solo quelli che i suoi contribuenti versano nelle casse pubbliche che, al netto delle dissipazioni in stipendi e impieghi parassitari, dovrebbero servire per le opere pubbliche. Non c’è una ragione che è una perché quota parte delle tasse pagate dal contribuente non meridionale finisca nelle mani rapaci degli amministratori meridionali.
E, probabilmente, il Sud oggi non merita di appartenere all’Europa, invece che, come sarebbe meglio, alla Libia anarchica.
Le immagini dei cittadini che tentano di opporsi ad arresti di camorra lo testimoniano.
Le lamentazioni di Saviano sono, quindi, giuste, ma male indirizzate.
Per queste mie convinzioni, applicate a un comune del taorminese, sono sotto processo a Catania.
Ma non tacerò, sicuro come sono, di dire la sgradevole verità.
Domenico Cacopardo




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