6 ott 2015

Un'analisi sull'articolo di Domenico Cacopardo "Putin e Obama"

L'articolo di Domenico chiarisce in modo opportuno la posizione di Putin nello scacchiere geopolitico medio- orientale.. mettendo in evidenza l'opera dell’élite burocratica sovranazionale e l'establishment politico ”occidentale” da Washington a Bruxelles... compresa quella macchina da guerra della propaganda che, in modo alquanto sfacciato, continua ad esclamare l'inganno ed il tradimento di una Russia che si è sempre preparata ad attaccare..e per la quale una guerra fredda non è mai terminata.

Infiniti espedienti che definiscono il modo in cui l’élite di governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei.. si sono comportati nei confronti della Russia dopo la fine della guerra fredda, promettendo alla Russia che, sciolto il Patto di Varsavia, la NATO non si sarebbe espansa verso Est. Così, mentre il Patto di Varsavia andava sciogliendosi, la NATO, al contrario di quanto promesso, ha continuato ad espandersi verso Est, assorbendo i Paesi che dapprima avevano fatto parte del Patto di Varsavia. Una egemonia evidente da parte degli Stati Uniti che si sono avvicinati verso i confini della Russia.

Dagli anni novanta, i russi si sono energicamente opposti all’espansione della NATO; inoltre, negli ultimi anni, hanno messo in chiaro che non sarebbero rimasti a guardare quello che per loro è un Paese confinante strategicamente importante come l’”Ucraina” divenire un baluardo statunitense contro di loro.

Dopo i fatti dell'Ucraina che hanno messo in chiaro l’illegittimo rovesciamento del Presidente democraticamente eletto, Putin ha risposto accettando la volontà collettiva del popolo di Crimea, che ...con un enorme plebiscito.. ha deciso per il ritorno sotto la Russia. In tal modo..evitando che gli USA organizzassero una base navale NATO sulla penisola. Il presidente Putin ha sempre dimostrato di non cedere alla pressione imperialista degli Stati Uniti suggerita da Obama, solo proteggendo i propri confini, malgrado la politica statunitense abbia continuato a denunciare come illegittime le sue mosse. Una visione particolare e distorta che sembra aver avuto Washington verso la Russia. Una visione errata della politica internazionale.....che Obama e gli stessi alleati europei non hanno saputo mai affrontare col giusto equilibrio.

L’atteggiamento occidentale appare come l’antologia dell’ipocrisia. contrariamente ad una certa stancante retorica ufficiale.Pertanto, sorprende e rimane altamente falso che Washington non riconosca che l’”Ucraina” ha, da tempo, una importanza economica e strategica per Mosca e che nessun governo russo poteva accettare il tentativo di sottrarla per portarla, con determinati espedienti, nell’orbita geopolitica dell’Occidente.
Vincenzo cacopardo


L’assemblea generale dell’Onu ha certificato l’inconsistenza politica di Barak Obama e il ruolo centrale di Vladimir Putin sulla critica scena medio-orientale e, in definitiva, mondiale.
Già, lo zar ha reagito alle sanzioni americane ed europee per la questione ucraina, definendo un trattato di cooperazione politica, economica e militare, il più grande accordo mai stipulato nella storia per dimensioni finanziarie e industriali, con la Repubblica popolare cinese. S’è costituito così un forte asse Mosca-Pechino che rende eccentrica e periferica Washington e, con lei, Berlino.
A dimostrazione della sostanza del patto, a dar man forte ai russi, è giunta nelle acque siriane una forza navale cinese, forte di una portaerei, di una squadra aerea e di 1000 marines.
Se, come sembra in questo momento, il Medio-Oriente è il cuore della crisi, sia per la presenza dell’Isis che per le forze in campo, è chiaro che gli Stati Uniti e l’Europa non sono nel cuore del gioco, ma ai margini.
La medesima spedizione di una squadriglia di Rafal (gli strikers di produzione Dassault), enfatizzata da Hollande (un altro gnomo politico), appare più un mostrare la bandiera (come si usava fare nel Seicento e nel Settecento, inviando navi in prossimità di aree strategiche con l’ordine, appunto, di mostrare la bandiera, nel senso di badate, esistiamo anche noi) che un’operazione significativa.
E il senso vero della presenza russa (e di qualunque altro Paese che vuole essere protagonista nella crisi e per la sua soluzione) sono i suoi boots on the ground (stivali sul terreno), che significano una presenza reale e concreta nell’area dei combattimenti.
Lasciamo perdere che la Duma (il Parlamento di Mosca), mercoledì 30, nell’autorizzare le operazioni aeree in territorio siriano (richiesta dal presidente Assad), non ha autorizzato operazioni terrestri: infatti, la Russia (ora anche con l’aiuto cinese) ha creato almeno tre campi trincerati, forti di migliaia di uomini e mezzi corazzati, un presidio insuperabile per i terroristi dell’Isis e affini, un supporto decisivo per le stanche e demoralizzate forze governative siriane.
Ci sono tre ragioni che presiedono alla politica di Putin. La prima è strettamente domestica: in Russia e nazioni limitrofe, vive una imponente comunità islamica (10/15%), molto sensibile alle sirene terroristiche e capace di mettere a ferro e fuoco vaste aree dell’impero, come s’è visto in Cecenia. Quindi, battersi in Siria (e in Iraq) per distruggere i combattenti dell’Isis, significa battere quei cittadini russi che sono accorsi in quelle aree per infoltire le schiere degli islamisti e contribuire al loro successo, con ferocia e determinazione. Distruggerli ha effetti positivi nella madre patria.
La seconda ragione è diventare protagonisti imprescindibili della crisi e dei futuri assetti, quelli che saranno costruiti a un tavolo di pace, quando ci sarà. In questo momento, con Assad, si battono russi (con i cinesi), iraniani, hezbollah e varie forze sciite e non c’è dubbio che Putin abbia una primazia sul terreno e la consolidi giorno dopo giorno.
La terza ragione è quella di mostrare al mondo l’ininfluenza di Obama e la sua sostanziale inesistenza in questo scacchiere e negli altri più vicini, Iraq, Yemen e Libia. E sulla base di questa constatazione spingere i regimi traballanti della sponda Sud del Mediterraneo ad aprire le porte alla flotta russa e all’influenza di quel Paese.
Barak Obama ha perso la partita. E non solo per un inefficace abbandono dell’Iraq (nel senso che la sistemazione politica è risultata fallimentare), ma anche per tutte le altre mosse compiute durante la sua presidenza che ha tentato di lasciare sul terreno l’Egitto (con il tentativo in insediarvi un regime democratico) ed è riuscita a eleminare la Libia come soggetto statuale, regalandola al regno del terrore e dei piccoli ras tribali.
Per di più, Obama ha concluso un deficitario accordo con l’Iran che lucrerà da subito la cessazione dell’embargo (che pare valga oltre quaranta miliardi di dollari) in cambio della promessa di non attivare l’arma nucleare per dieci anni che, in soldoni, significa la promessa che tra 10 anni l’Iran avrà la sua arma nucleare. Non s’è definita una piattaforma d’intesa proprio per la Siria: e quanto sarebbe stato il momento di inserire il dossier tra i topic del negoziato. E, paradosso inaccettabile, ha scatenato la rivolta antiAssad, puntando su scarsi e concorrenti gruppi di rivoltosi che hanno fatto da buttafuori ai solidi terroristi islamisti, cui hanno passato anche le armi date loro dagli americani.
E la dichiarazione di Obama no boots on the ground ha sortito l’effetto di incentivare l’allargamento e il consolidamento delle forze dell’Isis, mai come in questi anni indisturbate, anche perché c’è stata la certezza di poter operare tranquillamente sul terreno, salvo la resistenza eroica dei curdi, peraltro abbandonati dal medesimo Obama alle vendette di Erdogan e alle sue velleità di primazia.
Oggi, non resta che prendere atto della situazione. Il non farlo significa continuare nell’attuale e pregressa schizofrenia che impedisce di cogliere i dati reali del problema, spinge a immaginare una realtà desiderata ben diversa da quella reale, suggerisce operazioni e atti che o sono insignificanti o sono autolesionistici.

Male ha fatto Renzi a non investire l'Assemblea Onu della questione pena di morte e di quella, sempre più significativa, del diritto alla conoscenza. Bene a dissociarsi dal napoleoncino socialista di Parigi e a rivendicare una leadership nello schieramento che prima o dopo si occuperà di stabilizzare la Libia e di espellerne il terrorismo, a salvaguardia dell’unico baluardo democratico esistente in Nord-Africa, la Tunisia.
Situazione, quindi, fluida con possibili positive evoluzioni, di cui dobbiamo ringraziare la Russia.

L’America ha perso la partita qui e, quindi, in Ucraina. Per rendersene conto dovrà aspettare che le fanfare suonino l’uscita di Obama dalla Casa Bianca.
Domenico Cacopardo



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