10 set 2019

nuovo articolo dell'amico Paolo Speciale

Lega oscura e diritta via
di Paolo Speciale

La nascita del secondo Governo Conte, travagliata ma non più di tanto, ha delineato un quadro politico se non altro di più ampio respiro (eccezione fatta per la consueta risicata maggioranza a Palazzo Madama), soprattutto in termini di “trasparenza” e di “bontà” dell'accordo programmatico, qualità che hanno posto opportunamente in secondo piano l'aspetto prettamente contrattuale dell'indirizzo politico condiviso tra le forze in campo; e con l'impressione che, rispetto al precedente Esecutivo, i sottoscrittori fossero reciprocamente più fiduciosi tra loro.
Basti pensare alle tensioni, ben più intense, che precedettero e caratterizzarono le precedenti consultazioni dello scorso anno, con Lega e M5S protagonisti.
In quella circostanza, il rapporto di forza/scontro già annunciato e poi pienamente compiutosi fino al suo epilogo di alcune settimane fa era risultato abbastanza chiaro: la Lega di Salvini avrebbe di lì a poco rubato repentinamente la scena al M5S facendosi paladina di uno pseudo-patriottismo – o come molti preferiscono sovranismo - che già di per sé rinnega e sconfessa la radice fondante del carroccio: il celebre secessionismo poi maldestramente ed impropriamente evolutosi nel più moderato federalismo.
La risorsa di risposta elettorale del M5S non poteva che essere la “distrazione”, in senso positivo, di risorse finanziarie per contrastare il disagio sociale; ma la vigile protezione delle frontiere dal barbaro invasore (le cosiddette organizzazioni non governative!) ha avuto più presa presso la pubblica opinione: la stessa presa, in senso negativo, che spingendo Salvini a puntare verso un nuovo voto con la prospettiva plebiscitaria in favore di una Lega ormai interamente nelle mani del Ministro dell'Interno stesso, ne ha determinato il tracollo, manifestamente presente già dai primissimi sondaggi dopo la seduta in Senato del 20 Agosto scorso.
Perché la pur soltanto apparente e formale rinuncia alla poltrona non paga in termini elettorali, semplicemente perché l'elettore, che quella poltrona l'ha data proprio a Salvini non comprende, secondo un pragmatismo reale ed innegabile parte stessa integrante della ideologia leghista, per quale ragione quella poltrona debba essere occupata da altri.
E così è stato, infatti, non solo perché Salvini ha aperto una crisi di Governo senza precedenti simili nella storia repubblicana quanto perché, contrariamente a quanto sostenuto nei più celebri salotti televisivi o maratone in diretta no stop, l’odierna l'alleanza tra PD e M5S sembra essere predestinata o, meglio, precostituita, e per questo già temuta dalla Lega sin dallo scorso anno, subito dopo l'apertura delle urne.
Ora si vuole qui affermare, senza esitazioni ma per assodata ed inequivocabile convinzione, che la sconfitta dei DEM  riportata alle ultime elezioni politiche non ha tuttavia mai giustificato e/o  legittimato - almeno nelle segrete e spesso inconfessabili coscienze di buona parte degli elettori - un'alleanza tra i pentastellati e la Lega.
Ciò secondo il principio - non indotto ma ispirato – che, piaccia o no,  il connaturale e predestinato partner di governo del movimento di Casaleggio debba essere proprio il PD, quasi fosse una sorta di “diritta via” da seguire.
Lo certifica il risultato della piattaforma Rousseau ed anche la diffusa soddisfazione per aver messo all'angolo il “patriota” Salvini, autore e vittima della sua azione, che con la sua Lega “oscura” aveva iniziato ad offuscare il liberismo delle idee, con particolare riferimento a quelle che sovrintendono all’irrinunciabile dovere di accoglienza ed all’altrettanto primario, inalienabile e speculare diritto di qualsiasi pellegrino ad essere accolto.
La scuola politica attiva promossa dalla Lega dovrebbe centrare la sua azione formatrice sulla necessità di mettere al bando ogni  esasperato nazionalismo che, come la storia ci insegna, mai è stato e mai sarà un idoneo strumento di conservazione e di memoria – seppur opportuna – dell’identità storico-culturale precipua di ogni Comunità Nazionale, quanto piuttosto un bieco e miope quanto biasimevole tentativo di nuocere gratuitamente ad una Europa già in difficoltà dopo la defezione britannica.
Non si tratta certo ancora di puntare agli Stati Uniti d’Europa, quanto di diffondere una cultura comunitaria sotto l’egida di un sinergico utilizzo delle diverse risorse dei Paesi costituenti, nella comune consapevolezza della necessarietà e della indispensabilità di porre in essere programmi ed indirizzi politici convergenti sulle azioni da intraprendere in regime di solidarietà internazionale, affrontando le grandi sfide cui si va incontro.
Il nostro Belpaese rimarrà sempre ancorato alla sua storia, l’Europa potrà solo esaltarne le qualità in forza della sua unicità storico/culturale, che di certo non ha bisogno di alcun paladino improvvisato o, meglio, nel caso specifico, quanto meno inadeguato a svolgere tale compito.  

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