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di Paolo Speciale
Individuare
le cause della crisi di una sinistra italiana – ed in generale
delle cosiddette forze progressiste in buona parte europeiste –
sempre più incartata in posizioni spesso contraddittorie oggi è
ancora più facile.
E
ciò perché all’odierna opposizione caro fu l’unico
argomento irrinunciabile onnipresente nelle interviste
rilasciate dai suoi più autorevoli esponenti nelle ultime settimane:
il timore del ritorno delle limitazioni ad alcune libertà
fondamentali non tanto attraverso i consueti strumenti legislativi,
quanto incidendo anche emotivamente e sensibilmente sulle coscienze
dei cittadini in nome di un ritrovato patriottismo che tutto include.
Solo questo. Che povertà.
Eppure
basterebbe ricordare a tutto l’arco costituzionale, ma proprio a
tutto, che il patriottismo, il nazionalismo furono storici comuni
ideali di tutti, dei fascisti quanto dei comunisti ed oggi nessuno
dovrebbe esibirne un vessillo personale, trattandosi di ideali che
non hanno alcun carattere esclusivo.
Altrettanto
strumentale è stato legare dialetticamente la cultura di una Europa
unita alla volontà più o meno consapevole di cancellare o rilegare
in secondo piano l’identità storica dello stivale.
Concezione
e timore, questi, solo italiani e per certi versi risibili, indegni
di essere parte costituente di una opposizione vera, costruttiva,
basata sui programmi e non sull’utilizzo improprio di valori
idealmente di tutti.
Più
volte abbiamo manifestato la indiscussa assenza di qualsiasi
timore per la tenuta del sistema democratico; ciò perché il
vaccino italiano contro l’autoritarismo in senso lato è ancora
attivo ed efficacissimo, soprattutto in un Paese come il nostro, dove
il cittadino comune si commuove ancora ascoltando la semplice
citazione o, meglio, l’inno “Fratelli d’Italia”.
Si
tratta di quell’inaffondabile quanto efficace richiamo
“sociale” che ha portato fortuna a Giorgia Meloni, che è stata
brava quasi quanto il Cavaliere nel secolo scorso nel farne uso.
Passerà
anche la cittadina romana della Garbatella, senza infamia e senza
lode, come tutti i cosiddetti leader che si sono succeduti almeno
negli ultimi quattro decenni, così come rimarranno le migliori,
anche se pubblicamente e moralmente messe all’indice, tradizioni
procedurali ispirate al mitico ed intramontabile “Manuale
Cencelli”, tutt’altro che desueto.
Il
Cavaliere, l’innovatore di trenta anni fa oggi al tramonto anche
per i limiti di età raggiunti, in fondo non ha fatto altro che
usarlo, quel manuale; il problema sta nella sua interpretazione, in
genere di parte; e, del resto, assegnare le cariche pubbliche più
rilevanti ai soggetti della formazione politica più votata non è
eminentemente democratico e quindi comune a tutti gli schieramenti ,
soprattutto se si esce fuori dalla logica non sempre attuabile del
“tecnicismo esecutivo emergenziale”, a scapito del legittimo
“esecutivo politico”?
Se
decide il popolo (sui modi con cui lo fa, cioè sulla legge
elettorale, poi si potrà ancora discutere) potremmo parlare forse di
una Destra mancina, ma anche di un Centro e di una
Sinistra ambidestri.
Ancora,
si potrà dire che gli ideali comuni potrebbero annientare l’identità
particolare di una singola formazione partitica.
Ma
è proprio questo il punto di partenza per la preminente
individuazione ed il perseguimento di nuovi indirizzi politici, che
stimolino i dibattiti e l’attività di legiferazione, senza
preoccuparsi di stare troppo a destra o troppo a sinistra e
soprattutto lasciando in pace – con rispetto – i patrimoni
ideologici che non hanno un colore solo, ma tre e sono fuori gioco,
anche se essenziali.