31 mar 2015

Le bolle di Crozza....


di vincenzo cacopardo

"La legge elettorale è sempre stata la chiave di lettura di questo cambiamento che proponevamo".
Con queste parole il Sindaco d'Italia.. Premier e capo del PD.. mette in subbuglio il suo partito spaccandolo.. in forza della propria maggioranza... In sostanza la cosidetta minoranza (forte con le parole ..ma pur sempre...pavida nei fatti) non vota.. chiedendo alcune modifiche alla legge elettorale prossima all’esame della Camera.

Ancora una volta il Premier si impone col suo determinismo che lo identifica in frettolose e poco funzionali, azioni in sfavore di una politica democratica, asserendo tassativamente la data del 27 aprile per portare la legge in Aula...e sottolineando, con altrettanta assoluta fermezza, che a maggio bisogna porre fine alla annosa faccenda.

Sparita quindi ogni percezione democratica in un percorso che vede ormai un Premier governare come gli pare e che sottomette da tempo al suo volere una politica parlamentare in favore di una rischiosa azione frettolosa oltre che approssimativa. Non esiste più una vera politica in questo nostro Paese!.. Un Paese che continua a non percepire il senso della democrazia identificandolo con pressappochismo ad un modello in cui si concede la libertà di decidere soltanto al governo attraverso l'uso di impedimenti e veti. Assai poco contano le parole dei dissidenti del partito di maggioranza che sembrano trastullarsi ponendosi con un passo indietro e due a favore.. pur di non perdere una comoda poltrona in seno ad un partito che esprime ormai il massimo dell'ipocrisia.

"Qui ci giochiamo la fiducia dei cittadini". Queste le parole di Renzi che, nella qualità compromissoria del doppio incarico di Premier e segretario di partito (al quale nessuno continua a non porre importanza), propone al suo partito piena fiducia sulla legge elettorale: Non è tanto la preferenza bloccata (malgrado questa necessiti preventivamente di una chiara riforma di Partiti), ma il ricco premio di maggioranza con la soglia del 40 % di fronte ad un Paese in cui votano solo i 50% dei cittadini a destare dubbi. Inoltre rimane il perenne conflitto d'interessi (più che sottovalutato da una certa politica) tra esecutivo e parlamentare, mai risolto. Poi lo strano ballottaggio... Tutto ciò... includendo la definitiva scomparsa di un bicameralismo.. porta tale legge elettorale a non modificare nulla rispetto ad un evidente egemonia di un governo che non sembra mai essere edificato per volontà di un popolo.

Le storture e le evidenti anomalie derivanti distruggono definitivamente ogni pricipio democratico, dando ragione solo al principio assoluto di chi, come Renzi, pensa che la democrazia è decisione dall'alto..e non, invece, un fine voluto e costruito dal basso. Ipocrisia, semplificazione, decisionismo ed anomalie continue.. unite ad una imposizione voluta solo per una chiara mancanza di una vera opposizione portata attraverso le idee, riducono la politica di questo Paese in uno stato di frustrazione dove i veri valori si perdono in favore di inefficienti provvedimenti frettolosi e infruttiferi per il futuro. Poco importa se Renzi perde o non perde pezzi del suo Partito quando quello che va perdendosi è un vero cambiamento funzionale in favore delle istituzioni e della vita politica del Paese.

La mancanza di uno studio di ricerca preventiva nella quale i Partiti avrebbero dovuto immedesimarsi si riscontra oggi con una infelice realtà spinta ipocritamente da un saccente sindaco che impone con alterigia continue fiducie ed intimazioni... persino deridendo attraverso l'uso in una particolare comunicazione e con un atteggiamento di spocchia espresso in modo efficace dal bravo imitatore Crozza..quando lo emula.. con particolare intuito.. nell'uso delle bolle di sapone.



Una nota al nuovo articolo di domenico Cacopardo

Ha ragione Domenico che con questo suo articolo su “Italia Oggi”..non fa che scoperchiare.. mettendo in evidenza l'inefficienza di una giustizia che oggi si intende riformare attraverso una assurda e prevelente logica della prescrizione.
Pur non avendo una chiarissima conoscenza degli atti relativi ai fascicoli sul caso Amanda Knox e Sollecito, risulta ben visibile l'inquietante metodo con il quale viene gestita la giustizia penale in questo Paese. Preoccupante in quanto il rinvio tra una Corte e l'altra, hanno finito col rendere il caso e le sue sentenze contraddittorie.
Rinvii con sentenze completamente sovvertite che non danno alcuna certezza sull'andamento del nostro sistema giustizia. Per non parlare di una certa approssimazione circa il metodo usato da una certa giustizia civile.
Domenico Cacopardo mette giustamente in evidenza i casi odierni più discussi ed esaltati.. costruiti con la complicità innata di una certa stampa sempre pronta ad esaltare o biasimare certi episodi. L'impressione che qualcuno voglia volutamente portare maggiore confusione.. potrebbe essere valida. Resta il fatto che la giustizia dovrebbe poter lavorare meglio e con maggiori risorse. “
vincenzo cacopardo


Certo, è un caso giudiziario come tanti altri, ma la notorietà della vicenda di Amanda Knox e di Raffeale Sollecito è tale da gettare la giustizia nazionale nel tritacarne critico dei giornali di tutto il mondo.
Solo i teppisti che circolano per le redazioni italiane (usando informazioni che provengono dagli uffici dei pubblici ministeri o che sono usati essi stessi dai medesimi operatori di giustizia per far conoscere al mondo le indiscrezioni che servono alle loro strategie processuali compreso lo sputtanamento preventivo del presunto imputato) non si scandalizzano e non si pongono domande su un metodo di lavoro che incide traumaticamente nella vita civile del Paese, non solo per le geometrie impazzite del «penale», ma anche per l’assenza vicina al totale del «civile».
Per capire cosa si pensi in giro dell’Italia e della sua giustizia, citerò le parole che, sul caso, ha speso Alexander Stille professore di giornalismo alla Columbia University e collaboratore di The New York Times e di The New Yorker, rispettivamente il più prestigioso quotidiano del globo e il più raffinato settimanale americano.
Scrive Stille, tra l’altro, che con 8 processi, Amanda e Raffaele sono stati espropriati di quasi dieci anni di vita, in parte trascorsi in carcere insieme alla disperata umanità che lo popola. E che non crede che la Knox sia colpevole in quanto il capo di accusa non presenta una ragionevole (oltre ogni dubbio) spiegazione del delitto. Una coppia in preda a una passione incipiente avrebbe definito con un vagabondo-truffatore (Rudy Guede) un piano per uccidere la coinquilina di Amanda. Non essendoci un motivo attendibile i pubblici ministeri ne hanno immaginato vari e bizzarri come l’appartenenza a una setta satanica o un gioco sessuale tragicamente conclusosi. E poi, la completa assenza di prove fisiche: il dna di Guede è in tutta la scena del crimine, ma nulla si trova dei due presunti assassini. Tutto è collegato alla confessione della Knox, estorta dopo una intollerabile pressione psicologica nei suoi confronti: la restrizione in carcere, il susseguirsi di interrogatori stringenti. La vittima, Amanda, non è italiana e ha una conoscenza sommaria della lingua e si trova in un girone infernale di cui non capisce il linguaggio e gli obiettivi.
Dopo giorni di martellamento, Amanda crolla e coinvolge il suo datore di lavoro Patrick. Ma questo ha un alibi di ferro e l’accusa cade. Tuttavia il resto della cosiddetta confessione viene considerato attendibile e usato in dibattimento.
Un metodo che ricorda l’uso delle cosiddette confessioni del figlio di Ciancimino (definito eroe dell’antimafia), spesso smentite dai fatti, ma ritenute per il resto pertinenti.
Non c’è dubbio che, con la più recente sentenza della Cassazione sul caso Knox-Sollecito si sia constatato come la giustizia penale italiana non vada bene e che debba essere riformata.
Se pensiamo alla corruzione (che è di moda in queste settimane, dopo tante lamentazioni dei procuratori della Repubblica e centinaia di articoli dei loro amici, con la recente ostensione della reliquia Antonio Di Pietro, mai come ora sugli schermi televisivi), e cerchiamo qualche statistica, scopriamo che oltre il 50% dei processi (pochi) imbastiti termina con l’assoluzione di tutti o di qualche imputato. E allora? È una questione di pene, di prescrizione o di capacità processuale di collegi e procure?
Purtroppo, dopo il trasferimento della titolarità delle investigazioni dagli organi di polizia ai pubblici ministeri, c’è stato un crollo di risultati. L’unico strumento canonico d’indagine è l’intercettazione telefonica, che viene usata a tappeto, sia quando c’è un elemento concreto su cui puntare, sia quando la notorietà della fattispecie o dei protagonisti induce una procura a metterli sotto esame.
Del resto, anche l’ultimo scandalo, quello di Incalza, viene fertilizzato sulla stampa da notizie piuttosto sconcertanti: il rinvenimento di piccole somme in euro (piccole rispetto alla mole dell’impianto accusatorio) o il trasporto di scatoloni dal ministero ad altra destinazione, le cui fotografie recano la suggerita didascalia che negli stessi potrebbero essere occultate somme di denaro. Ma se sono stati i Ros a fotografare e filmare i preziosi scatoloni, perché a un certo momento non sono intervenuti per sequestrarli, aprirli e conquistare la prova del passaggio di soldi (illeciti)? Una specie di nuovo caso Riina, con l’accusa (permanente) di non avere perquisito il suo covo?
E poi, a margine del caso Incalza, qualcuno apre una questione Guido Improta, assessore alla mobilità del comune di Roma, che sarebbe implicato in una discussa (e censurata?) decisione relativa alla metropolitana di Roma. Ma un avviso di garanzia non è mai arrivato. In compenso, il premio Nobel Marino, sindaco di Roma, insieme a Matteo Orfini ha stabilito una preliminare e pregiudiziale solidarietà con il nonimputato, compromettendosi e compromettendolo se ci fosse realmente un file giudiziario che lo riguardi.
In un paese così scombinato, sono molti quelli che fanno la loro parte per scombinarlo ancora di più.
Domenico Cacopardo


29 mar 2015

La figura del Presidente.. nella evidente mancanza di un raccordo


di vincenzo cacopardo
Sembra che il nuovo capo dello Stato non voglia esprimersi nemmeno nel metodo scelto per le nuove riforme costituzionali da un impetuoso governo guidato da un presidente del consiglio alquanto frettoloso e saccente..nè su quelle riguardanti la legge elettorale che ne producono un combinato disposto irriverente e derisorio nei confronti di un sistema che intende ancora chiamarsi “democratico” .
Con tutto il rispetto che si deve ad una figura nobile come quella del nuovo Presidente, si ha la sensazione che anche Mattarella, come altri, si sia seduto su di un sistema nel quale la logica della semplificazione e degli interessi governativi pare affermarsi su ogni altra considerazione di tipo democratico garantista. Eppure il suo passato di membro della Corte Costituzionale dovrebbe indurlo a valutare con maggiore sensibilità tale processo di rifome imposto con un criterio a dir poco anomalo ed inconsueto.
Trattandosi di un considerevole numero di riforme tendenti a stravolgere l'impianto istituzionale voluto dai padri costituenti (esperti..oltre che fortemente istruiti in materia) risulterebbe utile muoversi in termini di un metodo più appropriato.. Pur lasciando da parte ogni riferimento al merito di queste riforme (che, invero, potrebbero anche portare danni peggiori nel futuro politico del Paese), avrebbe sicuramente fatto piacere un intervento in proposito... ascoltando le osservazioni di metodo da parte del nuovo Capo dello Stato. Considerazioni che in realtà gli appartengono in qualità di garante di un sistema di democrazia che dovrebbe vedere nel parlamento il punto centrale di tutta la politica istituzionale.

- Se è vero che “la mancata attribuzione dei poteri di indirizzo politico al Presidente della Repubblica, fa sì che tali poteri vengano accentrati nel raccordo Parlamento – Governo”.. è anche evidente che questo raccordo oggi si sia intaccato e dovrebbe destare serie preoccupazioni per la garanzia dello stesso principio di democrazia: i due ruoli ( Parlamento – Governo) non riescono più ad operare in condizioni di indipendenza e, pur nella loro distinzione funzionale, risultano condizionati da un pressante potere partitico che li sottomette al proprio interesse. 

Renzi oggi rappresenta l'evidenza di tutto ciò e quella tendenza equilibratrice che si voleva tramite il “raccordo”, non pare possibile. La centralità del Parlamento non determina più la sua vera fondamentale funzione ed ogni azione governativa finisce sempre col prevalere e condizionare pragmaticamente su ogni indispensabile percorso politico parlamentare...
Chi ..se non un garante (e non proprio un arbitro, come oggi si usa dire) come il Presidente della nostra Repubblica, dovrebbe intervenire? Quella mancata attribuzione di poteri di indirizzo politico non potrà mai ostacolare un primario dovere di garanzia verso una corretta democrazia.



28 mar 2015

Pubblica amministrazione, politica e burocrazia

L'interessante analisi di Domenico Cacopardo circa le problematiche inerenti la Pubblica Amministrazione..colgono nel segno e corrispondono esattamente a ciò di cui il mio Forum si è spesso occupato. 
Non v'è dubbio che debba essere compito della politica controllare ed intervenire per dettare nuove iniziative in proposito. Il concetto di innovazione non sembra affatto appartenere a questo governo e la sua opera di riforme più che paradossale appare sprovveduta e totalmente priva di idee.
Per quanto riguarda la PubblicaAmministrazione e la conseguente componente burocratica ormai radicalizzata.. si potrebbe comprendere il tutto nel contenuto di una metafora già adoprata dal sottoscritto: "Paragonando il sistema in cui viviamo e nel quale ci rapportiamo, ad un campo sul quale andrebbero coltivati i semi (nuove regole e principi costituzionali di un nuovo sistema politico più utile). Il suo frutto dovrebbe essere quello della “democrazia funzionale”. Ma se il campo è malato, arato male, senza un’attenta concimazione, il seme non crescerà mai bene ed il raccolto sarà inevitabilmente il frutto di tutto ciò: un raccolto guasto (ovvero una democrazia non definita), al quale si aggiungeranno i parassiti ( la burocrazia) che divoreranno questo raccolto rendendo il campo una coltre ancora più desolata."
Questa metafora individua nel campo un "sistema" che andrebbe ricomposto in modo da potervi ripiantare i nuovi semi per l’attesa e la crescita di un buon raccolto e per evitare l’arrivo di qualsiasi altro parassita. Ma chi può farlo se non un contadino?...Come ugualmente ..chi può intervenire sul sistema istituzionale e della pubblica Amministrazione.. se non la politica? Oggi il parassita della “burocrazia” regna sovrano in un Paese che soffre in concorrenza, crescita e funzionalità, la burocrazia sembra persino esser fomentata da chi gestisce quello stesso potere politico: Essa torna utile poiché, il disbrigo della stessa, rende ancora più forza a chi, il potere, lo gestisce.
Se, a questa, aggiungiamo l’assoluto e dilagante cinico pragmatismo delle rigide ed immutevoli istituzioni, allora il Paese e la sua società civile continueranno a perdurare in una realtà simile a quella di un basso medioevo. Bisognerebbe spingersi verso un nuovo rinascimento, riarando il suddetto campo per l’attesa del buon raccolto ed il rifiorire dei valori più corretti utili alla società.

Questa è l'unica vera ragione per la quale non si può che condannare politicamente chiunque tra ministri, sottosegretari o alti dirigenti, i quali, se pur passivamente e senza colpe dirette... assistono ancora inermi e succubi al deterioramento di tale sistema amministrativo.
vincenzo cacopardo




Scrive Domenico Cacopardo
Le sensazione è che le parole, critiche o positive, siano gettate al vento. Nel mondo che, per ora, ha vinto le prime tappe di questo paradossale «Giro d’Italia» non contano i contenuti, le norme, ma soltanto gli annunci: riforma di questo, riforma di quello, purché sia spendibile la parola riforma, tutto va bene anche se, in concreto, non riforma nulla. A meno che non si tratti di questioni che mettono in discussione la primazia di Renzi sul suo partito, sul governo, sul Parlamento, sul Paese. Perciò, una sballata trasformazione del Senato diventa la linea del Piave insieme alla nuova legge elettorale, che consegnerà la Camera dei deputati nelle mani del «premier» e dei suoi più fedeli seguaci, anche quelli che non supererebbero i test «QI» (quoziente di intelligenza) in uso nelle forza armate per il reclutamento dei militari.
Anzi, meno sono autonomi di testa e di carattere meglio si adattano al sistema cui aspira Matteo Renzi, più sono congeniali alla sua «Weltanschauung» (visione del mondo). Lo so, è eccessivo ritenere che il «premier» abbia elaborato una «Weltanschauung», tuttavia, istintivamente, è portatore di un’idea della politica che possiede una sua coerenza interna.
L’occasione per riflettere viene suggerita da una delle tante riforme “finte” all’esame del Parlamento: la pubblica Amministrazione e, in particolare, la dirigenza pubblica.
Il «mood» è vecchio e, ogni volta che si affronta il problema, torna in modo peggiorativo. In questi giorni, l’iniziativa viene attribuita a un senatore Pd exdemocristiano, colto, anche lui, sulla strada di Roma da una conversione renziana. Si tratta di Giorgio Pagliari che si intesta la decrepita idea di garantire la cosiddetta terzietà dei manager pubblici e la loro indipendenza dall’autorità politica.
Evidentemente, questo signore, insieme al premio Nobel politico Marianna Madia, non legge i giornali né –ma questo è normale- nulla di ciò che nel mondo s’è scritto sul ruolo della burocrazia e sui suoi rapporti con la politica.
Sarebbe bastato prestare un po’ d’attenzione alla vicenda Lupi-Incalza per constatare ciò che è ormai a conoscenza di tutti: dopo Tangentopoli, la titolarità dei rapporti tra lo Stato e le imprese, tra lo Stato e i cittadini, è passata dalla politica alla burocrazia, cui, di fatto, competono le relazioni proprie e quelle improprie, cioè corruttive.
La terzietà dei manager, prima che una sciocchezza conclamata, è un’illusione: chiunque occupi un ruolo di potere burocratico lo gestisce nel modo più lucroso possibile per sé e per le proprie relazioni politiche.
La strada quindi è diversa: rendere trasparenti i rapporti tra le due aree dello Stato, in modo che alla responsabilità politica siano effettivamente attribuibili le decisioni e i comportamenti della burocrazia. Non a caso, negli Stati Uniti vige uno «spoil system» generale e, in Francia, dove la burocrazia ha un prestigio che noi sognamo, la politica ha il dovere di governare e di controllare le azioni di coloro cui sono attribuite funzioni operative.
Il nuovo dirigente pubblico disegnato dalla Madia e da Pagliari è vecchio e irrecuperabile a un processo di rilancio del Paese.
Il manager pubblico considera i «file» di cui deve occuparsi come un coltivatore diretto pensa al suo campo: vanno coltivati, gestiti, utilizzati e tenuti in caldo per tutto il tempo possibile, giacché «L’arretrato è potere» e la legge «si applica, ma per gli amici si interpreta».
La verità è che la burocrazia, questa burocrazia, e la dirigenza, questa dirigenza, sono perdute e debbono essere abbandonate al loro destino, magari con un prepensionamento.
Madia e Pagliari non sanno, né possono sapere che quando un’azienda deve cambiare, attivando una trasformazione di processi e di prodotti, accantona il personale sin lì occupato nei sistemi e nei prodotti in via di abbandono, e attiva «task forces» (nelle quali può essere inserito, previa adeguata formazione, qualcuno dei ‘vecchi’ purché abbia ancora l’età per imparare) intorno alle quali si costruisce la nuova azienda. Ed è questo il caso di un’Amministrazione pubblica, nazionale, regionale, comunale nemica dell’innovazione e incapace di fornire al cittadino un servizio adeguato al terzo millennio.
Lo so. Questo è pretendere troppo. Ma rimane la constatazione di trovarci di fronte a un’ennesima riforma finta che cambierà qualcosa per lasciare le questioni sostanziali com’erano nel 1948, nel 1980 e ieri.
domenico cacopardo






27 mar 2015

La chiesa.. edificio di pace interiore e riscontro di poesia...


"Arte e poesia negli edifici ecclesiastici"

di vincenzo cacopardo

Il pensiero di chi, come me, ama il messaggio cristiano, attraverso l'arte e la poesia, rimanendo agnostico e pensieroso circa una chiara identificazione dell'ultraterreno”

Quando si entra in un luogo di culto di una chiesa..si avverte spesso uno stato di quiete particolare..Se poi questa è una chiesa ricca di bellezze artistiche, grande o piccola che sia, ti può persino incantare..portando il tuo pensiero a vivere momenti di alta poesia: L'arte resta legata alla poesia e scatena quel senso di pace, poiché confortata da quei prevalenti valori cristiani che rappresentano il fondamento della stessa religione.

Amorevolezza, buon cuore, beneficenza, compassione..contribuiscono a commuovere l'animo. Quello che si sente e che di seguito si esprime è proprio un'emozione profonda che ti incanta.. conciliandoti in una spiritualità che potrebbe persino portarti oltre...dimenticandoti di essere ospite di una casa religiosa dove regna una fede stabilita.

Quella imperturbabile quiete (ancor più evidenziata nelle maestose antiche cattedrali) è portata dall'atmosfera e dal particolare silenzio in genere presente in ogni edificio religioso, ma è sicuramente condita dalla forza degli stessi sentimenti impliciti nella religione cristiana: Quei valori espressi abbondantemente dall'opera evangelica di Cristo che continuano a regalare all'umanità una speranza di pacificazione con se stessi e con il prossimo: ..Il bene contro il male..l'amore contro la violenza..il bello contro il brutto..l'arte e la bellezza opposte al cattivo gusto ed alla distruzione... La religione cristiana ti regala, dunque, un implicito insegnamento verso l'arte e la poesia. Poesia.. come espressione intima che dona emozioni profonde spingendo il nostro immaginario verso sogni di bellezza e arricchimento dello spirito. 
 Tutto ciò alimenta anche le idee, la crescita, il futuro e l' innovazione... e quindi.. offre speranza.

Basterebbe questo per credere in noi stessi ed al fatto che di certo abbiamo uno scopo ed un traguardo che, seppur non ci è dato capire, avrà di certo una particolare importanza.. Non vi sarebbe altra importanza al di fuori di questa per appagare la nostra voglia di conoscenza, per chiederci se esiste o no un'entità superiore, se questa combaci o no con la stessa fede cattolica, se ne dobbiamo esprimere un'icona precisa....In questo senso la parola di Cristo.. con i suoi valori.. ha già compiuto un'opera di conoscenza del nostro io e di ciò che siamo...Mentire a noi stessi appare inutile oltre che contraddittorio.

Alcuni particolari edifici ecclesiastici ..da soli assolvono.. a quel compito spirituale ed emotivo che aiuta la coscenza di noi stessi..  

Quando al contrario, attraverso la Chiesa ed il suo Clero, si pretende di imporre una fede assoluta, si finisce spesso con l'entrare in un territorio diverso, meno umanamente comprensibile, appartenente all'ultraterreno... Un campo nel quale non oso entrare ed in cui difficilmente ci si può muovere e comprendersi... e che purtroppo tende ad ostacolare un'opera di evangelizzazione terrena completa ...anzi spesso ne impedisce un più utile percorso.. allontandola dal suo cammino verso i valori di umanizzazione più comprensibili e utili in quell'opera di socializzazione e di etica..tanto cara alla stessa Chiesa ed al suo nuovo Pastore.
vincenzo cacopardo



Un appunto sulla nuova analisi del consigliere Cacopardo sulla prescrizione


Credo che non dovremmo preoccuparci di scrivere ciò che pensiamo in proposito a certi argomenti.. sia che riguardino la magistratura o la politica, poiché ancora oggi, in un paese che si dichiara democratico, dovrebbe poter esistere il diritto ad un proprio pensiero..Ritengo quindi.. che Domenico, intervenendo in proprosito, non debba mai dubitare sulla possibilità di critica al sistema..persino se questa dovesse riguardare il presidente Grasso.. o corporazioni.. o anche.. altre figure che seggono nei posti più importanti delle istituzioni. Nè.. posso mai pensare che chi si appresta a leggere simili critiche.. debba interpretarle di parte o dirette con la volontà di offendere.

Al di là di questo...quello che sembra mancare nel disegno di legge messo in chiara evidenza da Domenico: (favorire il pentimento, analisi del rapporto tra tenore di vita, valutazioni delle variazioni patrimoniali di dipendenti pubblici e politici etc).. è proprio una certa filosofia all'approccio del delicato argomento attraverso soluzioni che allungando la prescrizione (e quindi sempre col solito metodo della semplificazione Renziana), non pensando di adoprarsi ad analizzare il problema con maggior impegno dal punto di vista preventivo. 

Domenico Cacopardo scrive che con la prescrizione a 21 anni, si introduce la possibilità di sequestrare un quarto di vita di un disgraziato che ha o non ha commesso il reato. Il chè risulta davvero un ulterirore oscenità rispetto alla libertà di ogni essere che pare vivere in un paese che si dichiara democratico. Non sembra essere solo una questione di capacità di “intortare” come la definisce Domenico, ma proprio una evidente mancanza di idee verso uno studio di metodo preventivo che dovrebbe sostituirsi ad ogni iniziativa simile a quella dell'allungamento della prescrizione. 

Non si può restare sorpresi.. poiché tutto il lavoro del governo fino ad oggi è stato promosso alla stessa identica maniera: Anche in questo caso non si procede verso una migliore ricerca dell' efficienza della giustizia perchè, con l' evidente mancanza di idee e la premura, si preferisce risolvere ogni problema con il solito metodo della faciloneria.

vincenzo cacopardo



Anche se un solo innocente, uno solo, dovesse aspettare 21 anni per vedere sancita da una sentenza la sua innocenza, basterebbe quest’unica ipotesi a spiegare la follia di coloro che stanno così allungando la prescrizione e a spingere tutte le persone che recano in sé un residuo briciolo di civiltà e di umanità a opporsi con tutte le forze di cui dispongono a norme del genere.

In un Paese in cui i processi si estinguono per prescrizione non si interviene sul rito per abbreviarlo, né su coloro che non rendono in tempi accettabili il servizio della giustizia, ma si istituzionalizzano le disfunzioni del sistema.

Vanno formulati caldi complimenti al senatore Pietro Grasso, presidente del Senato che di un simile disegno è il principale propugnatore e autore. Le sue dichiarazioni trionfalistiche di questi giorni, dopo che è stata fissata la data del 1° aprile per la chiusura delle discussioni e la votazione, sono inappropriate e devianti.

Certo, la corporazione da cui Grasso proviene, la magistratura ordinaria può festeggiare un provvedimento che affronta la corruzione e la concussione con l’incremento delle pene e l’allungamento della prescrizione, nascondendo così, sotto il tappeto, la polvere delle inefficienze del sistema e di singoli magistrati. Sarebbe bello vedere che, in ogni occasione in cui un processo si estingue proprio per prescrizione, il Csm, l’organo di autogoverno, aprisse un’inchiesta per capire quali siano le responsabilità delle norme e quali quelle dei magistrati. Ma questo non accade, né mai accadrà.

Scrivere queste parole presenta il pericolo di essere additati come nemici della lotta alla corruzione: si tratta del metodo Beria, il ministro della sicurezza di Stalin che quando qualcuno non dubitava, lo accusava d’essere contro il comunismo e il popolo sovietico e lo spediva, nella migliore delle ipotesi, in Siberia.

Ma sarebbe vile tacere e tacere proprio ora, alla vigilia della decisione finale. 

Nella legge in approvazione mancano alcune questioni fondamentali come l’unificazione di corruzione e di concussione che semplificherebbe l’approccio al fenomeno, l’introduzione di un conflitto di interessi tra i due protagonisti del confronto corruttivo, in modo che, se e quando un pubblico ministero mette le mani su un reato del genere, almeno uno dei due indagati abbia un concreto interesse a collaborare (e, in particolare, andrebbe favorito il pentimento di chi non è pubblico funzionario o politico delegato alla materia), manca la possibilità di analisi del rapporto tra tenore di vita e ‘entrate’ dichiarate al fisco e ancora manca la ancora più essenziale possibilità di valutare le variazioni patrimoniali di dipendenti pubblici e politici. Sarebbe facile, frutto di una mera operazione matematica, confrontare l’entità del patrimonio di un dirigente pubblico all’inizio della sua carriera (o al momento dell’incarico dirigenziale) e dopo dieci (o cinque) anni di servizio. E se non ci fosse proporzione tra l’incremento e le retribuzioni dichiarate, l’autorità fiscale, salvo più gravi ipotesi, potrebbe chiedere chiarimenti e documenti giustificativi, in relazione alla possibile evasione fiscale e all’eventualità di comportamenti illeciti.

Si dice: «Ma, almeno, si fa qualcosa!»

Non è vero. La “politica”, col determinante concorso della corporazione (Grasso), si salva la coscienza con un provvedimento che non avrà effetti pratici, salvo quello di stendere una coperta sulle lentezze e sulle inefficienze dell’autorità giudiziaria e rafforzarne il ruolo. Ciò non significa che si passerà dai pochi processi in atto alle migliaia che vagheggiano i procuratori nelle inaugurazioni dell’anno giudiziario. Se, infatti, non ci sarà un incremento delle possibilità di cogliere corrotti, corruttori, concussi e concussori e di processarli tempestivamente rimarrà «conveniente» la corruzione e la concussione, in barba alla introduzione di pene simili alle «grida» di manzoniana memoria, capaci di imbonire il pubblico non avvertito e tutti coloro che in più o meno buona fede credono nell’effetto positivo delle stesse.

Per concludere e chiarire: con la prescrizione a 21 anni, si introduce la possibilità di sequestrare un quarto di vita (in relazione alla vita media di questi tempi) di un disgraziato che ha o non ha commesso il reato. Già perché, se è incivile e immorale consentire un’assoluzione dopo 21 anni, lo è altrettanto permettere una condanna definitiva dopo un simile biblico tempo. 

Nel round cittadini-politica, vince ancora una volta la politica, capace di «intortare» i primi e di vantarsene con la faccia tosta di chi crede che non dovrà mai rendere conto di ciò che ha fatto e di ciò che non ha fatto.

Domenico Cacopardo

www.cacopardo.it




nuovo articolo di Domenico Cacopardo sull'amministrazione della città di Messina


Sembra un thriller. Elezioni amministrative del 2013, 9/10 giugno 2013: Felice Calabrò, il candidato dell’onorevole Francatonio Genovese, ora nelle patrie galere, manca l’elezione al primo turno per 59 voti. Va al ballottaggio contro Renato Accorinti, un pittoresco personaggio del sottobosco antagonista cittadino e qui viene battuto 52 a 48%.
Così, Accorinti, il sindaco clochard, un po’ Masianello un po’ macchietta, si presenta in municipio in maglietta stinta e scalzo per «stare con i piedi per terra».
Il suo arrivo, del tutto inatteso, ha un significato preciso: basta con la classe dirigente che da 67 anni sgoverna la città nel modo più clientelare che si possa immaginare, senza nessuna voglia di garantire un futuro in qualche modo degno del prestigioso passato di uno dei tre porti più importanti del Mediterraneo.
Una scelta che sbaraglia il controllo territoriale sull’hinterland (i villaggi) di Genovese (un pacchetto di 20.000 tessere Pd) e cambia gli stilemi tipici d’una democrazia «alla siciliana»: voto di scambio e promesse di «posti». Per esorcizzare una specie di «Sindrome di Stoccolma» che ha spinto i messinesi a votare i propri affossatori (politici), si mette in atto un’altra specie di «Sindrome di Stoccolma», votando colui che s’è messo a capo del Movimento Noponte, l’espressione locale del nihilismo nazionale, quello che ama la decrescita felice e odia inceneritori e termovalorizzatori.
A distanza di due anni (quasi) si può trarre qualche bilancio parziale dell’esperienza del sindaco clochard. Un bilancio in chiaroscuro, naturalmente.
La prima riguarda il recupero di un pezzo di società civile, mediante l’impegno di alcune sicure professionalità in giunta. L’assessore al bilancio Signorino, ordinario di economia politica, ha preso in mano una situazione economico-finanziaria già collassata, ha deciso di non dichiarare il default (la Corte dei conti lo riporta al 2009), ha imposto trasparenza e tagli dei costi impropri, iniziando un percorso di ricostruzione delle finanze comunali. 
Nuovi vertici della società di trasporti (che nel 2013 contava poco più di 10 autobus e ora supera i 60 per la donazione dei mezzi dismessi del comune di Torino), del servizio di nettezza urbana e un assessorato prima inesistente alle «politiche del mare e protezione civile» danno il senso di un miglioramento dei pubblici servizi di cui soprattutto i villaggi possono beneficiare.

Rimane in grigio la situazione dello Stretto.
La recente richiesta di «continuità territoriale» con Reggio Calabria e il suo hinterland è uno dei problemi critici. La questione è questa: le Ferrovie dello Stato (gli ultimi traghetti costruiti per lo Stretto risalgono al 1977-’78) non intendono più sostenere gli extracosti per il traghettamento dei treni e immaginano un futuro (per ora rinviato di qualche mese) nel quale i treni cesseranno di far up and down tra Villa San Giovanni e Messina e promettono un sistema di tapis roulant di collegamento tra le stazioni ferroviarie e i porti. I messinesi (che non hanno voluto un ponte nel quale era compresa una linea metropolitana) pretendono dalla comunità nazionale il pagamento di quegli extracosti. Una evidente follia in tempi di ristrettezze finanziarie.
Per converso, l’altra idea, tutta di Accorinti, di una «Metropolitana del mare» sembra arenata di fronte alla impossibilità di far quadrare i conti.
Dal passato viene e rimane il tombinamento generalizzato delle fiumare, talché un evento di livello genovese (nel senso della città) potrebbe fare esplodere un tessuto urbano adagiato intorno ai torrenti sotterranei.
C’è poi la questione dell’approdo di Tremestieri.
Dovuto all’impegno lungimirante del ministro Nicola Capria che riuscì a ottenere, nella finanziaria 1986, un significativo stanziamento per la creazione di un approdo a Tremestieri, una frazione sulla costa ionica. In questo modo, i camion provenienti da Catania non sarebbero entrati in città, risparmiandole inquinamento e rischiosi incidenti. Combattuto ferocemente dalla società privata che gestisce i traghetti non ferroviari (di cui è socio non secondario proprio il «Finanziere» Francantonio Genovese –interessato anche all’annullamento del progetto di ponte), questo approdo è entrato in funzione un paio di anni fa, ma è spesso chiuso per l’interramento provocato da robuste correnti ioniche. Lo Stato, patrigno indifferente, interviene con ritardi ben graditi ai privati traghettatori.
Meno drammatica, ma pur sempre grave, è la permanente indifferenza per i tesori pittorici (Antonello, fiamminghi, Caravaggio, Minniti) custoditi nel Museo regionale, la cui presenza non viene pubblicizzata nemmeno tra i messinesi.
La novità più significativa di queste settimane è la proposta di chiedere la proclamazione dello Stretto Patrimonio dell’umanità: è lecito sperarci, ma non contarci troppo, visto che le due sponde sono state investite massicciamente dall’abusivismo edilizio (proprio gli abusivisti sono stati tra i maggiori Noponte).
Comunque, un qualche risveglio culturale si stia manifestando: il vuoto dei partiti, il disastro del Pd, ancora controllato dagli uomini di Genovese, lasciano spazi alla società. La Biblioteca regionale (che comprende il patrimonio librario dell’università) è un sicuro punto di riferimento e propone momenti di attenzione e mostre singolari, premiate da un’insolita affluenza.
Animati da un ennesimo gesuita siciliano, padre Felice Scalia, si aggregano forze cattoliche e laiche intorno all’esigenza di non restituire Messina agli amministratori di un tempo, all’insegna dello slogan «Indietro non si torna» e di evitare che l’area dei Democratici Riformisti (un’ennesima espressione del trasformismo siciliano, molto forte con l’ectoplasma Crocetta), capeggiata da Giuseppe Picciolo e Marcello Greco (deputati regionali) colga come un frutto maturo il comune di Messina alla scadenza di Accorinti, o anche prima, se riuscirà a coagulare il numero di consiglieri comunali necessari per sfiduciarlo.
C’è una complessità ineludibile nella realtà messinese e Accorinti non è la persona più attrezzata per affrontarla. Però, un «sentiment» di non ritorno al passato s’è diffuso e ha buone probabilità di costituire una diga efficace contro clientelismo e degrado politico e morale.
I Masaniello passano. Restano le persone normali che hanno visto affondare nel profondo mare dello Stretto le vecchie clientele e le mezze figure che le gestivano.
Domenico Cacopardo

24 mar 2015

una recensione sulla nuova analisi di Domenico Cacopardo

In questa analisi il cugino Domenico mi trova sicuramente d'accordo ..ma ancora di più ..poichè si dà il caso che il sottoscritto abbia già messo in evidenza.. attraverso diversi post.. i mali arrecati da un bipolarismo (che vede sempre più cruenta la lotta sulle dannose contrapposizioni)..come quelli arrecati dall' abituale metodo all'italiana di non prevenire mai con logica.. lasciando di continuo la strada ad un inefficiente percorso repressivo inutile e dannoso.
Al di là delle vicende che toccano alcune figure del governo, sembra ormai assodato che in questo Paese le cose debbano per forza accadere per poter suscitare..poi..una insolita meraviglia! Si rimane sempre impotenti di fronte a qualunque possibile azione preventiva...non adoprandosi mai affinché, nel nostro sistema democratico, si possa agire con migliore efficienza e tempestività per offrire maggiore sicurezza, salvaguardando il diritto dei cittadini…
A tal proposito si potrebbero elencare diversi casi, anche più gravi (terremoti-instabilità degli edifici-speculazioni selvagge-atti di criminalità..e..naturalmente.. atti di corruzione..)dove tutto prosegue nell’indifferenza di chi dovrebbe adoprarsi per operare preventivamente.
Mai come oggi.. occorrerebbe un grande impegno e posizioni politiche non estreme, ma determinate, al fine di non spezzare quel filo sempre più sottile che lega la nostra società al vero significato della parola “democrazia”. Non v’è dubbio che la regola primaria del nostro Stato sembra essere quella repressiva: La repressione resta certamente utile come componente metodologica della struttura amministrativa dello Stato ma, non potrà mai essere ostentata come la sola alternativa risolutiva dei problemi della società. 
Una nobile politica dovrebbe regolare i rapporti prima che gestirli nel contesto comune di uno Stato. …Ma pensiamo davvero che in nome di una libertà ..possa rinforzarsi il valore stesso della democrazia…senza un principio di controllo preventivo?
Con lo stesso concetto, in questo Paese, si pensa di poter realizzare forme di governabilità..senza il fondamentele processo induttivo che dovrebbe determinarne un fine sicuro e costruttivo... Indurre un processo di costruzione solido alla base..equivale a prevenire ogni possibile impedimento e dare più sicurezza in fase di esercizio.
Per cui proprio per quanto riguarda l'ipocrisia.... quella che sprigiona più forte ed evidente( che Domenico Cacopardo pare non scorgere) è proprio quella del nostro Premier..
vincenzo cacopardo




CORRUZIONE ANNO ZERO di domenico cacopardo
C’è molta ipocrisia nella riscoperta della corruzione, causa di degrado politico e sociale, e della necessità di combatterla con strumenti nuovi, sollecitati anche dal commissario, appositamente istituito, Raffaele Cantone.
È l’ipocrisia la ragione della meraviglia per le ultime notizie intorno al ministero delle infrastrutture e al suo dominus, Ercole Incalza, e alle distrazioni del ministro Lupi, nemmeno destinatario di avviso di garanzia. Ci sarebbe da ridire sulla circostanza che fatti considerati penalmente irrilevanti (a detta dell’autorità giudiziaria) siano stati dati in pasto ai media e da essi alla pubblica opinione. Ma così va il mondo ai nostri giorni e bisogna accettarlo, perché ci permette di tanto di aprire uno spiraglio in un sipario ermeticamente calato.

Tangentopoli nasce nel 1992 per l’iniziativa della procura di Milano, ma soprattutto per la rivolta del mondo degli affari (leciti) contro i taglieggiamenti della politica. 

I risultati della ‘operazione pulizia’ sono risultati effimeri, per tanti motivi, tanti che non bastano le pagine del quotidiano per illustrarli. La verità è che la burocrazia ha preso in mano i rapporti con il mondo imprenditoriale: trae benefici diretti e illeciti, con i quali rafforza il proprio ruolo nei confronti della politica sempre più dipendente dai «gran comis» per consolidare potere, clientele e ottenere denaro.

Dal ’92 a oggi, s’è diffusa la convinzione che, agli imprenditori, non conviene parlare, poiché la gran parte dei protagonisti di Tangentoli sono tornati alla ribalta più forti che pria e che numerosissimi processi sono terminati con ridicoli patteggiamenti, che non hanno impedito ai patteggiatori di continuare a occupare posti di responsabilità nei ministeri, nelle regioni, nei comuni e negli enti.

I numeri sono agghiaccianti: 1159 processi per corruzione nel 1996, 186 nel 2006 e, alle stesse date i processi per concussione sono stati rispettivamente 555 e 53.

Certo, sono state introdotte norme che hanno reso più stringente la prescrizione e, soprattutto, s’è diffusa l’idea che il comportamento corruttivo può convenire: se ne “prendono” tanto pochi che gli altri mascalzoni credono di poter continuare indisturbati.

Ma è anche vero che c’è un concreto problema di efficienza dall’autorità giudiziaria, colpita da una nota malattia: il bipolarismo. Mentre a ogni inaugurazione dell’anno giudiziario vengono espressi giudizi apocalittici sulla corruzione (e sulla concussione) allo stesso tempo i procedimenti diminuiscono.

Ora, sembra che, con la spinta di Pietro Grasso, presidente del Senato e già capo della procura nazionale antimafia, si sia vicini all’approvazione di un testo che aumenta le pene e porta la prescrizione a 19 anni.

Nessuno che si sia posto il problema di prevenire, con gli strumenti del diritto amministrativo (gli unici con i quali si può rendere trasparente il sistema), la consumazione del reato, né di rendere efficiente l’azione della magistratura. Una prescrizione di 19 anni non è testimonianza di volontà di perseguire corrotti e corruttori, ma di adagiarsi nell’attuale inefficienza del sistema repressivo. 

Ancora una volta il timore è che la faccia feroce nasconda il solito, inestinguibile lassismo e che, dopo la buriana, i gattopardi torneranno indisturbati o quasi.




23 mar 2015

La concentrazione anomala degli incarichi


un atteggiamento di convenienza e non di convergenza al cambiamento...
di vincenzo cacopardo

Renzi spiega ai quotidiani che il successore di Lupi non potrà che essere bravo e non importa la sua tessera di partito. Poi continua aggiungendo che non ci si può dimettere da ministro per un avviso di garanzia ma per questioni politiche o morali". Ma al di là della valutazione personale operata da Lupi, il sindaco del paese Italia pare non comprendere che proprio le valutazioni politiche non possono esulare dal compito primario che appartiene al capo di un governo. 

Il glissare continuamente sulle questioni interne al suo esecutivo che vedono oggi un certo numero di sottosegretari e qualche ministra non poprio in un indirizzo coerente con l'impegno politico di un cambiamento che dovrebbe identificarsi in un principio di correttezza e di etica politica....non rende merito a lui.. come non restituisce valore allo stesso governo. Il suo rimane un atteggiamento di convenienza e non di convergenza al cambiamento...

Le sue frasi tuonano ormai quasi retoriche: "Abbiamo creato l'autorità Nazionale Anti Corruzione e proposto il raddoppio dei tempi per la prescrizione sulla corruzione: sono messaggi chiari". Ma ciò in cui si è impegnato maggiormente in queste ore il premier... è stata sicuramente la replica a D'Alema che ha criticato la gestione personalistica ed arrogante del Pd . Renzi lo ha definito come una “vecchia gloria” aggiungendo l'intenzione ad aprire un dibattito all'interno del Partito. Dibattito che, pur aprendosi, non porterà a nulla per effetto di una distorta prassi che vede imperare contemporaneamente una singola figura a capo di un Partito e di un esecutivo: Logico..visto che gli interessi di alcune figure all'interno del Partito restano condizionate dal ruolo inerente l'esecutivo.

Nemmeno all'interno dei Partiti si accorgono che il difetto sta proprio nel concentrare gli incarichi in mano ad una sola figura(governativo -segreteria politica) ..Quando appare logico che le problematiche in seno ai Partiti debbano esulare da ogni posizione di governo. Ciò che continua a stupire (quando non la si volesse occultare di proprosito per interessi) è proprio questa mancanza di visione più equilibrata in favore della separazione dei ruoli: Chi ha in mano le redini di un Partito..non può contemporaneamente guidare un esecutivo..poichè i conflitti si renderebbero sempre più evidenti e si snaturerebbe quella logica politica che differenzia i ruoli per funzione e scopo. Questo... per chi osserva la politica in termini di funzionalità democratica.. dovrebbe essere l'abc...

La politica di questi ultimi anni ha pensato stoltamente che accorpando e semplificando al massimo.. si potessero evitare le lungaggini rendendo più forte e stabile un esecutivo, senza accorgersi di quanto ciò potesse nuocere ai principi cardine di una democrazia corretta. Se i Partiti devono rappresentare l'anima del consenso dei cittadini dando l'approvazione sui programmi, il governo rappresenta l'esecutore col fine preciso di procedere verso il percorso dettato dagli stessi. Oggi invece sembra si proceda al contrario e quando i ruoli si sovrappongono, come nel caso del sindaco d'Italia... nascono le evidenti macroscopiche anomalie.






22 mar 2015

Liberalizzazioni..una dura sfida per Renzi...


Sulle liberalizzazioni.. il governo Renzi avrebbe l'occasione di muoversi positivamente.
E' sicuramente utile una tutela verso i consumatori ..come può risultare funzionale drenare.. nel quadro di una più evidente mancanza di equità, alcune rendite di posizioni anomale. Le ragioni di Renzi in tal senso non possono che avere l'approvazione di una grande parte della società civile, poiché la formazione incrostata di alcune lobbies può e deve essere contrastata solo attraverso la via di una larga liberalizzazione. Il vero problema è quello di potervi giungere attraverso un piano studiato con attenzione.. altrettanto equilibrio.. e meno semplificazioni.

Resta chiaro che questo disegno di legge troverà in Parlamento diverse resistenze dovendosi occupare di imperi ormai formati e radicati nella società:  assicurazioni, fondi pensione, poste, banche, professioni, energia e farmacie“, come chiaramente spiegato dalla ministra Guidi. Per quanto riguarda la distribuzione dei farmaci, infatti..dopo le polemiche dello scorso mese, il governo ha deciso di stralciare gli articoli che prevedevano la vendita nei supermercati di quelli difascia C.

Se...per quanto riguarda le banche, arrivano novità che dovrebbero “garantire la piena mobilità della domanda” (saranno introdotti strumenti di comparabilità delle offerte di servizi e un apposito sito Internet che dovranno garantire la trasparenza nella vendita di polizze assicurative accessorie ai contratti di finanziamento ed ai mutui), per quanto riguarda le professioni, per la compravendita di immobili non a uso abitativo e di valore inferiore a 100mila euro non servirà rivolgersi al notaio ma si potrà scegliere invece di andare da un avvocato titolare di una copertura assicurativa ad hoc. Gli stessi avvocati avranno l’obbligo di presentare ai clienti un preventivo (oggi è solo su richiesta dell’assistito), saranno autorizzati ad aderire a più di una associazione professionale e nei loro studi potranno entrare soci di capitale.

E' chiaro che tutti questi argomenti debbano essere studiati e valutati con attenzione dal governo onde evitare di scadere in una semplificativa opera di liberalizzazione spinta all'eccesso, ma non v'è dubbio che l'idea di muoversi per arrestare il predominio di posizioni lobbistiche ormai evidenti, è necessario per porre un freno e guidare con più efficacia un sistema sociale più equo e meno destabilizzante.

La sfida del sindaco d'Italia Renzi contro le lobbies è cominciata..Avrà la forza e la costanza di opporsi a questi forti poteri che imperano da decenni nel nostro Paese?
vincenzo cacopardo





una nota al nuovo articolo del consigliere Domenico Cacopardo

L'indirizzo politico di un premier..

Difficile.. dare atto della gestione intelligente del dossier Lupi da parte del premier Renzi senza comprendere il discapito di non aver messo la dovuta attenzione durante l'anno di governo sul sistema gestionale del suo importante ministero. D'altronde..non compete proprio ad un premier la valutazione di un lavoro di squadra di un governo che si sarebbe dovuto muovere attraverso un programma di rinnovamento e di vera rottamazione?.

Malgrado certi entusiasmi dettati dall'articolo di Domenico in favore del premier, Renzi oggi, pare proteggere alcuni sottosegretari del governo persino indagati e..forse..anche di qualche ministro impelagato in faccende ancora poco chiare..
Il sindaco d'Italia dall'alto della sua supponenza..si esprime dichiarando con scaltrezza che: "Il successore di Lupi sarà bravo, non importa la sua tessera”...intanto tiene saldo l'interim...Sebbene in ritardo la voce di D'Alema comincia a venir fuori criticando la gestione del Pd descrivendola arrogante. L'ex primo ministro la definisce anche fin troppo personale.. aggiungendo che non si può più ritardare un serio dibattito all'interno del partito.

Al di là di ogni visione dettata da proprie idee in proposito ..non vi è dubbio che il caso Lupi abbia portato un certo scompiglio all'interno della direzione governativa. Posizioni anomale e controproducenti vengono adesso messe più in risalto ed in evidente contrapposizione con la tesi di un premier che pare, al contrario, muoversi senza pesi e misure...

Renzi, appoggiato in questo pensiero dal capogruppo Speranza, sostiene che nessuno possa definirsi colpevole finche rimane indagato e che ogni dimissione non deve essere legata a criteri giudiziari, ma solo a quelli di “opportunità politica”...Ma l'opportunità politica in seno ad un governo..non dovrebbe spettare proprio al premier? Non dovrebbe essere il Capo di un governo a valutare la circostanza politica di chi opera all'interno di un governo che si è sempre proposto di operare attraverso un sano ed retto rinnovamento?
vincenzo cacopardo



Un ministro nuovo... 
non un nuovo ministro è quello che ci aspettiamo tutti. Un ministro nuovo per il sistema dei lavori pubblici, troppo a lungo in mano a persone più o meno coinvolte con il sistema delle imprese, con le lobbies dei professionisti, insomma con coloro che, all’atto pratico, sono i fruitori delle decisioni del titolare del dicastero. I beneficiari dovrebbero essere gli italiani, ma, a dire il vero, la sensazione è che il beneficio reale sia normalmente scremato da forti drenaggi illeciti che riducono l’effettiva spesa pubblica e/o la qualità delle opere realizzate. Non a caso, in pochi giorni sono crollati due viadotti nuovi, uno in Sicilia, l’altro nell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Dobbiamo dare atto a Matteo Renzi di avere gestito il dossier Lupi con intelligenza, senza frettolose esternazioni, lasciando che gli eventi maturassero in maniera tale da rendere necessarie le dimissioni dell’incauto ministro.
C’è anche da dire che, ogni inchiesta rivela in modo plateale la stupida insipienza di politici e burocrati, tutti pronti e felici di parlare al telefono con il più interpretabile dei linguaggi convenzionali («Ti mando mio figlio, vorrei che lo conoscessi». Ma a che scopo? Sociale, mondano, sportivo? O per quello vero trovargli un posto, umiliando un uomo giovane come fanno migliaia di genitori italiani nei confronti di figli che, comunque, hanno raggiunto un titolo di studio. A dimostrazione di come le famiglie siano le prime nemiche della libera e autonoma crescita dei loro rampolli). Anche Lupi, quindi, quando telefona a Incalza, per carità, mai condannato ma tante volte inquisito, alla fine abbandona ogni prudenza, e non immagina che a sua volta Incalza, Perotti e & parlino tra loro in tutta libertà non sapendo (o forse ben immaginando) di possibili intercettazioni.
Ora, si volta pagina.
Renzi è di fronte a una scelta di grande importanza. Non può e non deve umiliare il Nuovo Centro Destra, l’unico sostegno esterno organico del suo governo, galleggiante intorno al 3% dei consensi, e tuttavia necessario per non finire nella spirale dei distinguo e dei non voglio aperta dalle minoranze del Pd. Ma deve imporre anche un nuovo ministro, una persona che dia il senso di una vera e irreversibile svolta nel mondo degli appalti pubblici, trasformandolo da buco nero a fattore di avanzamento, di ammodernamento e di sviluppo.
Il nome di Raffaele Cantone, persona cui non abbiamo risparmiato critiche, oggi è il più idoneo a essere indicato per la successione di Lupi. Non perché è un magistrato, ma perché, da commissario anticorruzione ha affrontato il tema cercando di introdurre quei semi di trasparenza e moralizzazione che dovranno germogliare. Se fosse ministro delle infrastrutture potrebbe trasformare lo sforzo per raddrizzare le cose, in un radicale risanamento sin dall’origine, dall’inizio: una nuova legge sugli appalti pubblici che impedisca deviazioni rispetto al principio della libera concorrenza; una gestione «day by day» libera da ogni compromesso, all’insegna del motto che «tra legalità e illegalità non ci sono vie di mezzo» (e questo non è un concetto radicale, ma attiene alla fisiologia della vita sociale); che occorre cambiare i manici, cioè i manager che da decenni gestiscono programmi, progetti, concorsi e affidamenti. E vanno allontanati coloro che direttamente o indirettamente hanno intermediato dall’esterno i rapporti tra le strutture pubbliche e quelle private, giovandosi di permanenti rendite di posizione. Un rinnovamento che deve comprendere una valutazione spietata dello stato dell’arte, a cominciare dal Mose, per il quale si potrà (forse) finalmente vedere una «due diligence» che spieghi agli italiani l’entità delle ruberie e di quanto si può e si deve pretendere in restituzione da coloro che hanno ricevuto tanti quattrini in eccesso rispetto ai costi e ai prezzi di mercato.
Ma non solo il Mose, ovviamente: ci sono gli aumenti delle tariffe autostradali, le questioni della Salerno-Reggio Calabria, sempre l’Expò e tutte le altre iniziative in corso o in programma.
Resterà sul tappeto la questione NCD. Se è saggio Renzi l’aiuterà a sopravvivere alla tempesta e a rafforzarsi, magari con un’intesa politica con Tosi e gli altri moderati che sono rimasti senza padre né madre al Centro e al Nord della penisola. Nel Sud e nelle isole, no: è troppo pericoloso dialogare con i moderati, come dimostra il caso dell’exsegretario del Pd siciliano Francantonio Genovese, in questo momento ospitato nelle patrie galere.
Sulla strada delle riforme non ci si può fermare, ma si deve proseguire con la forza delle idee.
domenico cacopardo