desiderio di funzionamento
L’argomento della giustizia è
attualmente uno dei più sentiti che dovrebbe poter camminare di pari passo con
quello della sicurezza, proprio perché strettamente collegati tra loro in
un unico problema che tocca da vicino la libertà del singolo cittadino. Un
argomento delicato ed impegnativo che in questa sede si può affrontare solo in
modo sintetico ma esplicativo in riferimento ai poteri dello Stato
I valori dell’equilibrio e della funzionalità richiamati nei precedenti
argomenti risultano certamente essenziali per affrontare questo tema, ma non
potranno essere risolutivi se non se ne aggiungono altri come innovazione, coordinamento
e metodo.
Nel recente passato, i Partiti
sembravano avere assunto posizioni poco decise, ma oggi bisognerebbe rendersi garanti di un
particolare equilibrio per la ricerca
di un percorso sensato che riguarda il sacro diritto di tutti i
cittadini.
Il Parlamento, al quale spetta il
diritto-dovere di risolvere il difficile compito, per via di un impegno
che coinvolge sempre più il ruolo dei poteri dello Stato,
appare in difficoltà e non sembra ancora essere riuscito a
trovare un giusto percorso evolutivo.
L’amministrazione della giustizia
civile sembra perdersi in un groviglio inestricabile di norme, non potendo più
tenere il passo con la miriade di citazioni che giornalmente invadono i
Tribunali. Continue ed artificiose procedure non fanno altro che far perdere
la fiducia nel diritto creando vuoti ed incomprensioni tra il cittadino e chi
deve giudicare.
Per quanto attiene la giustizia
penale, non sembra esistere per niente un vero equilibrio tra il
trattamento usato a chi dovrebbe in realtà scontare una pena ed il
diritto di giusta garanzia per un indagato. Quando si parla di giustizia penale
non ci si può però esimere dalle critiche mosse in questo campo da alcuni
politici, avvocati e giuristi che pongono già da tempo il tema di una “anomalia”
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Si vive già da tempo.. con forte rilievo ..quella
che viene individuata come “un’"anomalia
del sistema”, nella quale, si dice, i giudici avrebbero fin troppo invaso
un campo di pertinenza dell’attività politica. Molti restano profondamente
colpiti dai modi di agire e dalle affermazioni di alcuni componenti della
magistratura, altri, approfondendo il tema, dichiarano che i magistrati…..non
potendo essere investiti di funzioni riguardanti i problemi politici, sono solo
chiamati ad assicurare la giustizia nel singolo caso…..
Secondo questa prassi, si dice, la
magistratura che rappresenta il potere giudiziario, dovrebbe, attraverso le sue
diverse articolazioni, provvedere alla applicazione della legge solo nei “singoli casi”, il che risulta
un problema ben diverso da quello di una ostinata soluzione dei “fenomeni generali”.
Si parla, a proposito del potere
giudiziario, come di un “potere diffuso”, di un potere
che deve essere esercitato da ciascun organo con sovranità e perciò da ogni
singolo Tribunale, da ogni singola Corte… -Il singolo giudice, per ogni caso
di sua pertinenza è in posizione di sovrana indipendenza, mentre, la
Magistratura, come organo, non dovrebbe mai operare come corpo unito.
Si vuole così sottolineare, la
profonda differenza del concetto di “potere diffuso” che si esplica con un controllo
“capillare” di ogni fenomeno di vita sociale, escludendo il controllo che
invece assume una “valenza politica”: Dovrebbe essere il
popolo attraverso le elezioni ad investire coloro che devono dare risposte
esaurienti a fenomeni di rilevanza sociale.
Si identificherebbe così la
sostanziale differenza tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato
ed in questa critica non si può che essere d’accordo. Oggi, proprio a causa
delle esigenze di questa moderna società, si avverte molto il bisogno di
delimitare con più evidenza questi poteri, perché in alcuni casi, si rischia di
varcare in eccesso tale linea ed in altri, sembra la si voglia far diventare un
vero muro di cnta per salvaguardare precisi interessi.
Indispensabile quindi una ricerca per il giusto posizionamento dell’ordine giudiziario in riferimento ai poteri dello Stato.
Ma a questo
punto viene spontanea una domanda... frutto di una analisi profonda e necessaria..
in riferimento all’importanza che potrebbe avere anche il posizionamento del
potere esecutivo in perenne compromesso o, persino in conflitto con quello parlamentare.
Al di là del
fatto che si tratta di due specifici poteri, diversi dall’ordine autonomo
giudiziario, si potrebbe azzardare che un conflitto permane costantemente
allorquando, gli stessi, eletti in Parlamento, assurgono alla carica di
ministri o sottosegretari, attribuendosi di fatto un ruolo esecutivo che influenza
in modo definitivo il lavoro dello stesso gruppo parlamentare di loro
riferimento. Anche qui, una certa consociazione trova forza e si alimenta
giacché gli interessi sono estremamente forti ed i ruoli politici vengono
espressi nella comune casa di un Partito.
Nella fattispecie il politico, in ruolo esecutivo, potrebbe esercitare un particolare potere agendo in modo dubbio sull’obiettivo pensiero del singolo parlamentare, nella identica maniera con cui il magistrato requirente potrebbe influenzare il pensiero del giudice (poichè riconosciuti in uno stesso schieramento).
Si potrebbe
dunque azzardare che tale motivo è di per sè sufficiente ad individuare una
ulteriore anomalia anche rispetto ad una Costituzione che, da un lato
vorrebbe identificare due poteri con ruoli ben diversi (esecutivo e
parlamentare) e dall’altro, non pone sufficienti e chiare limitazioni a questa
separazione di compiti, destinando, in modo troppo sintetico, la guida e
l’indirizzo della politica dello Stato all’esecutivo.
Come potrebbe oggi il politico stupirsi, anche se motivatamente, nei confronti della anomalia resa dai ruoli dell’ordinamento giudiziario, quando nel contempo, si espone ad una altrettanto illogico conflitto, ponendo la stessa magistratura nel dubbio e nel sospetto dell’insorgenza di possibili compromessi in seno alle istituzioni?
Questa può essere la logica motivazione che la stessa magistratura
replica alla classe politica che contesta in modo significativo i conflitti e
gli interessi che potrebbero sorgere in seno ad un ordine giudiziario
“politicizzato” dal CSM.
Ma il cittadino comune, che poco può
conoscere di normative e procedure, cerca ancora risposte precise dalla
politica, che possano garantirlo nella propria libertà, nel rapporto con lo
Stato e tutta la comunità.
LA MAGISTRATURA E I GIUDICI
Equilibrio e giusto
posizionamento
E’ sorprendente, constatare come in questi anni si sia formata una corrente di opinioni secondo la quale la magistratura rappresenta il “terzo potere”. La indipendenza o meglio, l’autonomia che si suole chiamare “organizzativa” della magistratura è sancita nell’art. 104 della Costituzione. Un’autonomia che ha un valore semplicemente strumentale rispetto alla indipendenza funzionale della magistratura.
Quando si parla di
indipendenza della magistratura non si
può porre il dubbio che il valore vero che si mira a salvaguardare è la
indipendenza del concreto esercizio della funzione giurisdizionale. Ed essa si
esprime col principio secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla
legge.
L’idea
dell’autonomia organizzativa della magistratura ha trovato, nella nostra
Costituzione, una ampia realizzazione. Si è stabilito anche il suo autogoverno.
Un “organo” composto in prevalenza di magistrati che provvede ad assunzioni,
assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari. Si è
posto così il dubbio, se sia stato giusto che, dando maggiore indipendenza
organizzativa alla magistratura, siano realmente aumentate le garanzie di
indipendenza funzionale.
Sembra invece, al contrario, che la
autonomia organizzativa concessa dall’autogoverno, possa addirittura essere
risultata dannosa per la stessa indipendenza funzionale che è il vero bene da
salvaguardare. Ecco perché l’autogoverno
deve essere visto solo come il frutto di una concezione di puro “ meccanismo” del principio della suddivisione dei poteri.
E’ necessario
partire dalla considerazione della stessa natura della struttura del tutto
particolari in confronto agli altri poteri. -Un potere di controllo di legalità
della vita pubblica e privata del Paese che presenta la caratteristica di
essere suddiviso o meglio “diffuso” nei suoi vari organi. Organi che possono
correttamente chiamarsi in relazione allo Stato di cui fanno parte e non quindi
in rapporto ad una “magistratura” che non ha, come tale, organi precisi
Un giusto potere
giudiziario deve essere esercitato da ogni singolo conciliatore, ogni
Tribunale, ogni Corte, al fine di respingere ogni vincolo di dipendenza dagli
organi degli altri poteri dello Stato e di ogni altro organo in senso assoluto.
Esso
respinge ogni ingerenza “esterna” proprio perché, se “esterna” e quindi diversa
dal Giudice, dalla Corte, dal Tribunale che deve giudicare, potrebbe
appartenere ad altro potere.
Ciò spiega
l’avversione da parte del costituente di averlo voluto definire “potere”
e la ragione per la quale ha preferito il termine assai più pertinente di “ordine” autonomo. Proprio in ragione della profonda
diversità di struttura e di esercizio di potere giudiziario rispetto agli altri
poteri dello Stato che intervengono in modo attivo nella vita del Paese e che
constano di una serie di organi per lo più gerarchicamente collegati ed
articolati fra di loro.
La mancanza di
vincoli di ingerenza e subordinazione tra un giudice ed un altro nella loro
funzione giurisdizionale fa si che la parola “ordine” si adatti meglio alla magistratura, la quale non opera mai come corpo unito e non costituisce il terzo
potere: il
singolo giudice è in posizione di sovrana indipendenza ed esercita un “terzo
potere” limitatamente ai casi sottoposti alla sua giurisdizione.
Questa osservazione
è la base di partenza essenziale per affrontare e salvaguardare il vero
principio di un’equa giustizia. Una osservazione che dovrebbe di per sé
dimostrare in senso assoluto che l’organo della magistratura non potrà mai
esercitare un potere come quello “politico” appartenente agli altri due poteri.
Si ritiene che questo
“ordine”, intento solo ad un armonico sviluppo della vita sociale, debba restare
in posizione autonoma, ma di fondamentale collaborazione e non in contrasto o
addirittura in ostilità con gli altri poteri.
E’ importante
valutare il compito della magistratura in termini di “sicurezza”, non
altrettanto sentire parlare di magistratura in termini di “potere” che potrebbe
sicuramente apparire scorretto e destabilizzante. Una ragione in più
e di primaria importanza, per dover garantire al massimo il cittadino anche
attraverso una separazione delle carriere tra giudice inquirente e giudice
ordinario.
Sostenendo questa separazione, si asserisce che ciò non ha nulla a che
vedere con l’indipendenza, perché il vero valore da tutelare è proprio
l’indipendenza del giudizio…E’ vero che il giudice è un tutore
della libertà del cittadino ma solo entro il confine del sistema democratico e
non quando il quadro viene sconvolto. Egli è l’elemento di equilibrio fra la
libertà del cittadino e le autorità istituzionali democratiche, per il valore
della stessa libertà. Egli può e deve garantire una libertà civica ma non
quella politica.
Il magistrato non ha altra forza se non quella che gli
viene dal consenso comune della necessità e l’importanza della sua funzione.
Sappiamo che il costituente, per il timore che la passione dei politici facesse degenerare l’esercizio dei compiti di organizzazione della magistratura in uno strumento politico di sopraffazione dei diritti individuali, preferì attribuirgli meno entità politica attraverso la costituzione dell’organo autonomo del Consiglio Superiore.
Si pensò, poi,
anche alla difesa del ruolo del Parlamento attraverso la istituzione di una
norma sulla immunità degli stessi parlamentari, norma oggi definitivamente
annullata.
Il costituente,
nella sua divisione dei poteri, con la istituzione della polizia
giudiziaria, alle dirette dipendenze
della magistratura, ha creato quasi una
contrapposizione fra gli stessi poteri dello Stato, evidenziando in modo più
netto il senso di questa divisione.
Un regime democratico ha la sua fonte di sovranità nel popolo e a tale fonte va riallacciato l’esercizio di ogni potere. Di conseguenza la più diretta espressione della volontà popolare risiede nel Parlamento. L’idea dell’autogoverno della magistratura con la conseguente creazione dell’organo apposito riduce i legami e la forza del Parlamento per via della nomina dei componenti nel Consiglio in minoranza rispetto ai magistrati.
Si è preclusa così,
ogni possibilità di controllo del Parlamento sovrano su l’esercizio
giurisdizionale, non solo dal punto di vista dei contenuti ma, anche dal punto
di vista organizzativo, essendo innegabile che i poteri del Ministro, nello
specifico settore, restano estremamente ristretti e limitati.
Bisognerebbe perciò studiare ed approfondire una nuova normativa costituzionale per cercare di porre rimedio all’ingerenza dell’organo giurisdizionale rispetto alle esigenze di un ordinamento politico democratico, er far sì che questo organo indipendente, possa reggersi soltanto in forza di una nobile tradizione alla difesa della legge e degli ideali della giustizia.
“IL LAVORO E LA PROFESSIONE”
Fatta questa importante premessa bisogna anche tenere in considerazione il lavoro svolto dal singolo magistrato il quale, oggi, è sicuramente sottoposto ad un carico eccessivo per il moltiplicarsi delle cause e per gli affari di cui deve occuparsi.
Le ultime
riforme in campo di giustizia sono caratterizzate dalla generale riduzione dei termini lunghi
per impugnazioni, riassunzioni etc. Nelle Corti principali, le cause
vengono di continuo rinviate di parecchi anni. E’ anche noto che, per fissare
un’udienza in Cassazione, possono passare non meno di cinque anni. Tutto ciò
per l’immensa mole di lavoro del singolo magistrato, dovuta al moltiplicarsi
delle cause e degli affari cui deve occuparsi. A ciò bisogna porre rimedio,
anche a costo di dover rompere vecchi schemi che hanno indubbiamente reso
cattivi risultati.
Qualcuno prende ad esempio la carriera di un primario ospedaliero e confrontarla col
lavoro di un magistrato per rendersi conto della enorme e diversa differenza organizzativa.
Nella funzione di un primario
ospedaliero, consistente nell’esaminare e fornire indicazioni per varie decine
di casi al giorno, lo stesso viene coadiuvato da una corte di ausiliari, aiuti,
assistenti, persino studenti oltre che infermieri, che operano per lui una
serie di indagini necessarie sul malato. Mediante questi dati e la osservazione
del malato, tramite la sua indiscussa esperienza, egli può intervenire
per una diagnosi e per una terapia. Infine, anche per la scrittura della
diagnosi e per la terapia penseranno i suoi assistenti e gli infermieri.
A paragone, il magistrato lavora in
solitario. Riceve un aiuto
dal cancelliere limitato a funzioni unicamente materiali come la formazione dei
fascicoli, la redazione dei verbali, la pubblicazione delle sentenze etc.
Inoltre il sostegno non è più intenso poiché il rapporto, negli anni, si è
ormai reso malato tanto da scoraggiare lo stesso cancelliere.
Il magistrato non
ha nulla che assomigli ad una squadra di aiuti e assistenti che lo possano
assistere come nel caso di un primario.
Gli aiuti del primario sono medici con lo stesso
titolo di studio che lo assistono con la sola differenza di una minore
esperienza e minore capacità professionale rispetto alla sua. Assistenti che
nel tempo si vanno formando mediante il lavoro quotidiano.
Il magistrato invece deve fare tutto
da solo per il compito assegnatogli: deve assumere le prove, esaminare i
documenti, ricercare i precedenti, scrivere le sentenze oltre naturalmente
tutti i vari provvedimenti.
Costringere un
magistrato ormai esperto a scrivere fatti puramente storici o a scrivere una
motivazione che qualunque uditore potrebbe benissimo scrivere al suo posto,
rappresenta un chiarissimo spreco delle risorse umane di quella che dovrebbe
considerarsi “azienda giustizia”.
Lavoro che, come abbiamo già detto,
equivale a quello che svolgerebbe un primario ospedaliero se gli si imponesse
di far lui le analisi cliniche o le radiografie e persino praticare le
iniezioni prescritte. Tutto ciò è un chiaro spreco di intollerabili proporzioni
al quale bisognerebbe porre rimedio circondando il magistrato esperto, di un
gruppo di ausiliari, magistrati come lui, anche se con minore esperienza, ai
quali possa essere affidata la assunzione delle prove,la ricerca dei
precedenti, lo studio giuridico pertinente ed in fine, la stesura delle
sentenze.
In questo caso, il
vantaggio che ne deriverebbe sarebbe principalmente di qualità, ma anche di
maggiore velocità per la soluzione dei casi e con un incremento notevole della
produzione complessiva. Un ulteriore vantaggio sarebbe quello di fornire una
maggiore preparazione alla professione dei giovani magistrati in continuo
esercizio sotto la guida professionale del magistrato anziano più ricco di
esperienza.
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Ci si rende chiaramente conto che proposte e ridorme simili potrebbero apparire miraggi, sebbene si deve essere consapevoli che la gravità della situazione è tale da indurci a formulare, anche se solo teoricamente, idee simili per spingere gli addetti ai lavori verso la ricerca di una migliore soluzione.
Se oggi rimane un dubbio circa quel "potere" dell'organo giurisdizionale...lo stesso dubbio potrebbe essere fugato dividendo meglio i ruoli degli altri due veri "poteri" che, pur lavorando per un unico fine, finiscono sempre col generare conflitti ed anomalie al sistema istituzionale: Questi due poteri confliggono costantemente mettendo in moto la costante reazione dell'ordine giudiziario che ha il dovere di intervenire ed all'interno del quale potrebbero persino nascere imprecise o poco chiare prese di posizioni.
In questo campo solo la politica Parlamentare può muoversi in modo corretto mettendo fine attraverso primarie riforme che possano meglio differenziare i ruoli della politica limitando le anomalie e i dovuti sospetti.
vincenzo Cacopardo