La vera domanda da porsi
è…: se veramente, esiste ancora, una questione meridionale. Cioè, se ancora
oggi nel terzo millennio, si possa parlare di una questione e se, con l’idea di
un federalismo alle porte, si debba ritenere il Mezzogiorno come una faccenda
ancora da risolvere. Poiché, se così fosse, non si potrebbe azzardare alcun
progetto di federalismo che possa coinvolgere insieme la nostra Nazione. In
poche parole: non sarà facile costruire un sano sistema che si voglia unito, se non si
equilibra quel divario ancora esistente tra il nord ed sud del nostro Paese.
Ogni forma di progetto di federazione può rimanere utile se nel contempo si opera un piano strategico che
veda un coinvolgimento pieno del Governo centrale e della Comunità Europea al
fine di poter apprestare giuste ed indispensabili infrastrutture per il sud. Questa
strada rende anche necessario il metodo con cui si affronta oggi un sistema di
regioni federate, che non può vedere un’esclusiva applicazione di misure
fiscali, ma anche amministrative ed istituzionali, tenendo in considerazione la
storia, la cultura e le risorse delle singole regioni.
Breve analisi storica
Al fine di dare più senso a questo
importante argomento, è opportuno un cenno storico sulle motivazioni che
diedero origine alla questione meridionale.
Nel passato la questione meridionale fu un
grande problema nazionale dell'Italia unita. Il problema riguardava le
condizioni di arretratezza economica e sociale delle province annesse al
Piemonte nel 1860-1861. L’abolizione degli usi e delle terre comuni, le tasse
gravanti sulla popolazione, la coscrizione obbligatoria e il regime di
occupazione militare, creò nel sud una situazione di forte malcontento.
Da questo malcontento vennero fuori alcuni
fenomeni: il brigantaggio, la mafia e l’emigrazione al nord Italia o
all’estero. Dopo l’unità d’Italia vi fu un rigetto nei confronti del governo da
parte della povera gente del meridione. Un rigetto che si manifestò fra il 1861
e il 1865 con il noto fenomeno del brigantaggio.
Il
brigantaggio
era localizzato in alcune regioni del sud dove bande armate di fuorilegge
iniziarono vere e proprie azioni di guerriglia nei confronti delle proprietà
dei nuovi ricchi. I briganti si rifugiavano sulle montagne ed erano protetti e
nascosti dai contadini poveri; ma ricevettero aiuto anche dal clero e dagli
antichi proprietari di terre che tentavano, per loro mezzo, di sollevare le
campagne e far tornare i Borboni.
I
briganti non furono "criminali comuni", come pensava la maggioranza
al governo, ma un esercito di ribelli. Tenuti per secoli nell'ignoranza e nella
miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza
politica dei loro diritti e quindi non avrebbero mai potuto agire con mezzi
legali. La politica di repressione adottata nei confronti dei briganti fu
durissima. Il fenomeno venne debellato nel 1865. Ma le conseguenze furono un
ulteriore aumento del divario fra nord e sud e un’esaltazione dei briganti la
cui figura venne paragonata, nell’immaginario popolare, a quella di “eroi
buoni”.
A
seguire venne poi il fenomeno dell’emigrazione.
Una volta debellato il brigantaggio le condizioni economiche e sociali
dell’Italia meridionale non migliorarono. Anzi, il fenomeno dell’emigrazione si
manifestò in maniera consistente a causa delle difficili condizioni di vita nel
sud Italia.
Un
fenomeno che aveva un chiaro motivo occupazionale. La difficoltà di trovare
lavoro e di raggiungere un tenore di vita se non dignitoso almeno accettabile,
portò ad un’ondata migratoria sia verso il nord Italia sia all’estero.
Questo ci fa comprendere quanto l’emigrazione fu una logica conseguenze della mancata risoluzione, da parte dei governi italiani, della questione meridionale.
Questo ci fa comprendere quanto l’emigrazione fu una logica conseguenze della mancata risoluzione, da parte dei governi italiani, della questione meridionale.
Vi
furono diversi intellettuali ed uomini della politica che analizzarono le cause
e denunciarono la questione meridionale. Fra i più importanti lo storico
socialista Gaetano Salvemini. Egli denunciò l'arretratezza del Mezzogiorno paragonandola al decollo economico avviato
nel nord soprattutto da Giolitti. Quest’ultimo venne da lui definito “il
ministro della malavita” per il cinismo con cui, con l’aiuto della mafia,
approfittava dell’arretratezza e dell’ignoranza del sud per raccogliervi
consensi. Ricordiamo che Gaetano Salvemini pubblicò sull'"Avanti" un
articolo contro Giovanni Giolitti accusandolo di aver incentivato la corruzione
nel Mezzogiorno.
Ma
Salvemini considerava l’industrializzazione come estranea al fenomeno ed alle
condizioni economiche e geografiche del sud e avrebbe, invece, voluto che si
valorizzasse la vocazione agricola del meridione. Salvemini avrebbe quindi sperato che il governo promuovesse la
vocazione agricola del sud Italia. Chi teneva in quel momento le redini del
Paese tuttavia non fu dello stesso avviso e agì a modo suo optando per leggi
speciali e per interventi localizzati.
Da
quel momento, con l’uso delle leggi
speciali, si procedeva verso un sistema di sostentamento verso il
meridione, quasi sottovalutando l’importanza di favorire uno sviluppo logico.
E’ un momento storico che caratterizza il “problema”
dello sviluppo del mezzogiorno, ponendolo sotto forma di una “questione”.
Le
leggi speciali prevedevano la concessione degli sgravi fiscali alle industrie e
l’incremento delle opere pubbliche. Questo portò ad una crescita della spesa
statale che andò ad alimentare i ceti improduttivi e parassitari. Tali ceti
garantivano voti alla maggioranza al governo e in cambio ricevevano appalti di
opere pubbliche insieme ad altri favori. Al nord, invece,
si andava sviluppando una gestione capitalistica delle aziende agricole che aveva
nel Piemonte e nella Lombardia le regioni trainanti. Questo modello gestionale
ha sempre previsto l'investimento di cospicue quantità di denaro per
l'ammodernamento costante degli strumenti di produzione delle aziende agricole
con la conseguenza di un costante incremento della produzione e la progressiva
meccanizzazione del lavoro. Un sistema che veniva incentivato dalle politiche
liberiste in vigore nel Piemonte sabaudo contribuendo a sviluppare una
borghesia imprenditrice, disposta ad investire parti consistenti dei propri
profitti per l'ammodernamento delle imprese che aveva sempre teso ad estinguere
i comportamenti tipici dell'aristocrazia terriera, la quale fondava la propria
ricchezza su posizioni di rendita.
La situazione nel meridione d'Italia,
si era sempre presentata in modo opposto. L'agricoltura non aveva mai
conosciuto alcuna trasformazione di tipo capitalistico, dominando un tipo di
organizzazione e di gestione di chiara origine feudale.
Alla media e
piccola proprietà diffusa nel nord Italia si era contrapposta al sud l'immensa
distesa del latifondo, di proprietà di una borghesia assenteista. I vastissimi
appezzamenti di terreno venivano concessi in affitto ai contadini o coltivati
facendo ricorso alle masse di braccianti, seguendo tecniche in uso da secoli.
La borghesia meridionale non è mai stata disposta a reinvestire i propri
profitti nelle imprese agricole, che pertanto rimanevano in condizioni di
arretratezza produttiva rispetto al nord Italia.
L'annessione
piemontese non aveva infatti portato per loro nessun miglioramento della
situazione, lasciando immutati i rapporti di forza tra popolo e i ricchi
borghesi proprietari della terra: dall'unità anzi erano venuti per loro solo
danni.
La crisi
agricola e l'assenza pressoché totale di sviluppo industriale resero dunque
evidente il deficit economico meridionale e indussero intellettuali e uomini
politici ad interrogarsi sui motivi di questa persistente arretratezza che non
accennava a diminuire ma anzi sembrava amplificarsi con il trascorrere degli
anni.
Molti furono tra
politici, imprenditori, e uomini di pensiero ad occuparsi nel tempo delle
problematiche inerenti il mezzogiorno d’Italia : Sonnino, Fortunato, Demarco,
Nitti, Salvemini, Sturzo.
Don Luigi Sturzo
fu uno dei più lucidi interpreti di questa realtà nei primi anni del novecento.
Il fondatore del Partito Popolare sostenne la necessità di difendere e
rafforzare la piccola proprietà contadina meridionale, in cui vedeva l’unica
forza capace di opporsi con successo ai latifondisti assenteisti.
Sturzo intendeva
favorire la nascita e lo sviluppo “di quel ceto medio economico, che era molto
limitato nel mezzogiorno, e che era uno dei nessi connettivi più saldi della
società.” Con questa politica egli si opponeva sia al conservatorismo di destra
che al rivoluzionarismo di sinistra.
Se Sturzo in
perfetta sintonia con l’ispirazione cattolica del suo partito rifuggiva la
conflittualità di classe come strumento di trasformazione del Mezzogiorno,
Antonio Gramsci si muoveva in direzione esattamente opposta. Il fondatore del
partito comunista italiano s’ispirava ai principi rivoluzionari leninisti e
agli esiti della rivoluzione russa per proporre la rivolta delle classi
contadine come unico strumento di emancipazione del meridione. Con le
riflessioni di Gramsci finiva la prima parte del dibattito sulla questione
meridionale, perché il fascismo, pur approntando misure speciali per cercare di
risolvere la situazione, non fu mai disponibile ad una pubblica e sincera
disamina della questione. Solo con la nascita della Repubblica, il dibattito
riprenderà vigore.
Sembra comunque esservi sempre stata una necessità di combattere il
diffuso razzismo verso i meridionali accusati spesso di pigrizia e indolenza e di
sfatare il mito del sud come terra opulenta. L’arretratezza del meridione era,
in passato, in parte dovuta alle difficoltà ambientali e concrete che dovevano
affrontare i suoi abitanti, come i terreni argillosi e cretosi, le lunghe
siccità, la malaria e l’isolamento geografico. Ovviamente si era tuttavia
consapevoli che, questi argomenti, non
erano sufficienti per rendersi conto delle difficoltà in cui versava il
meridione.
ANALISI ODIERNA
Queste premesse
storiche, non a torto, hanno indicato la logica per la quale il Sud non è
potuto crescere e la ragione per la quale sia sempre stata accusata una certa
borghesia meridionale per una precisa mancanza d’intraprendenza economica.
Oggi, con la evidente situazione economica mondiale e le problematiche conseguenti l’unificazione europea, tutto ciò
risalta maggiormente.. destando naturali preoccupazioni.
Dopo l’ingresso del
nostro Paese in Europa, il problema del Mezzogiorno non può che essere
affrontato nel contesto più ampio di un Parlamento ed di un Governo
Internazionale. Un problema che avrebbe, già da tempo, dovuto impegnare meglio
le forze politiche governative del nostro Paese col fine di riuscire a soddisfare
un primario bisogno di occupazione.
I forti contrasti
regionali del nostro variopinto Paese hanno sempre richiesto una distinta
autonomia locale attraverso l’uso di un federalismo amministrativo suggerito da
un pensiero politico. Questa è anche la ragione per la quale può sembrare
anomalo impegnarsi oggi in un federalismo fiscale trascurando l’aspetto
amministrativo e storico culturale di un
sistema regionalizzato come il nostro.
Alcune Regioni del sud del Paese si trovano oggi in netto
svantaggio rispetto ad altre e questo divario si sarebbe dovuto ridurre,
sicuramente prima dell’ingresso del nostro Paese in Europa, con un’azione
politica nazionale logicamente coordinata con le amministrazioni locali.
La fase di costruzione per
l’unificazione non sta certo dando i risultati sperati. E’ venuta a mancare quella
azione preventiva e di studio che doveva mirare a salvaguardare le culture e le
ricchezze naturali delle comunità meno progredite che vedono oggi aumentare il
divario con i Paesi più ricchi.
Tra accordi quadro, contratti d’area,
prestiti d’onore, contratti di programma, patti territoriali e la lunga serie
di proposte che gli ultimi governi hanno continuato a sfornare, si è finito col
non risolvere alla base il vero problema. In verità, il nostro Mezzogiorno
rimane ancora privo di interventi studiati con metodo, utili e
tecnicamente elaborati in base alle esigenze primarie delle risorse del
territorio e delle poche infrastrutture operanti. Appare inutile la lunga serie
di agevolazioni finora impiegate se non si interviene alla base con l’impegno
necessario per la creazione dei servizi adatti allo stesso tessuto territoriale
ed imprenditoriale.
Assai poco potrà interessare l’enorme
flusso di denaro che potrà essere impiegato per un’azione di sviluppo che non
sembra mai coordinata col giusto metodo e la opportuna
responsabile conoscenza.
Certe strane ed illogiche metodologie, a volte anche strumentali, sono esempi emblematici del cattivo funzionamento del nostro sistema a beneficio di un migliore sviluppo delle Regioni del Sud.
Certe strane ed illogiche metodologie, a volte anche strumentali, sono esempi emblematici del cattivo funzionamento del nostro sistema a beneficio di un migliore sviluppo delle Regioni del Sud.
I Governi sembrano aver proceduto solo
verso un “fine” ben preciso che apparendo sempre più un miraggio, è stato
determinato unicamente dal numero di
posti per l’occupazione: Sarebbe
illogico arrivare ad un “fine” considerato solo occupazione senza una specifica
realtà produttiva che ne rappresenta il vero “mezzo” Risulta invece abbastanza logico che il giusto intervento, attraverso una
chiara realtà economica, comporti una conseguente solida occupazione.
Tuttavia, nella
fattispecie, si continuano a percorrere strade senza l’importante premessa di
una specifica attività che miri ad una realtà produttiva più adatta al luogo e
più ricettiva al particolare indotto. Nel passato di una prima repubblica,
attraverso l’istituzione della Legge n°64, si è provato a fornire apposite
strutture pubbliche, ma anche aiuti finanziari per tutti coloro che avessero
voluto apportare nuove attività e lavoro nelle Regioni del meridione. Se le
conseguenze da un lato sono state quelle di cercare di fornire infrastrutture
poco adatte e non complete rispetto al resto del territorio nazionale,
dall’altro lato, non avendo ben pianificato uno specifico studio preventivo, si
è finito col dare spazio ad investimenti spesso insensati o non giustamente
appropriati alle risorse del territorio.
L’apposita Cassa
del Mezzogiorno che fu creata per una migliore progettazione e una spesa
controllata, avrebbe potuto avere un ruolo importantissimo ancora oggi. La sua
improvvisa scomparsa ha finito con arrecare maggior danno all’economia del Sud
del Paese. Essa andava sicuramente ridisegnata per una migliore efficienza ed
una minor presenza politica che ha finito, nel tempo, col crearvi un forte
centro di potere.
Per il Sud abbiamo
già assistito ad un falso e non appropriato sviluppo nel settore petrolchimico,
oggi assistiamo ad uno sviluppo
supportato da una new economy spesso instabile dove sarebbero dovute
servire strutture e conoscenze più adatte. Oggi si sfruttano spesso
agevolazioni senza un vero arricchimento per il territorio. Agevolazioni che si
prestano spesso a pura speculazione.
Bisognerebbe
operare una volta per tutte scelte decisionali che appariranno certamente
traumatiche ma indispensabili e comunque necessarie per un indirizzo che dovrà
guardare ad un nuovo futuro. Un futuro che ha bisogno di idee e procedure
appropriate.
Si dovrebbero poter attuare procedure più costruttive anche se più lunghe, al fine di creare una economia valida senza inventarsi realtà occupazionali prive di qualunque realtà produttiva!-“Dalla efficacia delle azioni suggerite da idee adatte e scelte concrete, dipenderà l’efficienza qualitativa delle stesse imprese locali che rappresentano il vero avvenire di questa parte della Nazione”
Si dovrebbero poter attuare procedure più costruttive anche se più lunghe, al fine di creare una economia valida senza inventarsi realtà occupazionali prive di qualunque realtà produttiva!-“Dalla efficacia delle azioni suggerite da idee adatte e scelte concrete, dipenderà l’efficienza qualitativa delle stesse imprese locali che rappresentano il vero avvenire di questa parte della Nazione”
Sarebbe doveroso,
da parte di tutte le nostre forze politiche, esaminare con molta più attenzione
l’insieme di queste problematiche, prima di proiettarsi in azioni che
finirebbero col sortire i soliti effetti di tamponamento o che potrebbero
suscitare ulteriori reazioni sfruttate
in seguito nelle campagne elettorali nel gioco esasperato di una bassa furbizia
politica.
Il nostro
Mezzogiorno dovrebbe richiamare l’attenzione di tutti ma potrà veramente
sensibilizzare le forze politiche solo quando la stessa politica riuscirà a
liberarsi dal profondo cinismo e dalla staticità nella quale si è assopita.
Attraverso la dovuta attenzione ed un senso più etico di una politica libera
dai vincoli, ci si potrà impegnare positivamente in un problema che non
potrebbe mai esser risolto senza una equilibrata conoscenza delle risorse,
della cultura e delle idee.
UN METODO FUNZIONALE
idee e valori territoriali
Le idee in
proposito non vogliono apparire presuntuose, ma supportate da esperienze
dirette di chi vive e lavora in questa parte del Paese
Non si può non manifestare una forte
perplessità di fronte ad un delicatissimo problema che si continua ad
affrontare con tale ostinata disinvoltura e che finisce come al solito col far
illudere chi di lavoro ha veramente bisogno.
Sembra improponibile il continuo
uso delle inutili metodologie che fin oggi non ha
fatto che allontanare di più il Sud dalla forte e distinta realtà del nord.
Metodologie che hanno sempre considerato il fine come “posti di lavoro”: Se il “fine” deve essere identificato nel
numero dei posti di lavoro, non potrà che esservi in seguito una maggiore
conseguente disoccupazione.
Malgrado appaia tardivo oltre che
aggravato da infelici interventi del
passato, si può provare ad operare in favore di uno sviluppo del meridione solo
attraverso una procedura che comporta una serie di fasi indispensabili ma
costruttive. Non si potrebbe perciò, affrontare un simile problema senza far
uso del metodo, dei valori e di un
preciso impegno.
Si sa bene che per far ciò occorrono
delle idee, ma queste non possono
non avere un riscontro con la realtà e dovranno perciò mirare alla creazione di
una economia più attinente: ”lo
sviluppo migliore di ogni Paese passa necessariamente attraverso il riscontro con
le proprie naturali risorse, esse sono la base principale di un futuro processo
economico proseguito dalla fattiva opera di chi poi vi lavora”.
Partendo da questa importante
considerazione, dobbiamo tenere nel giusto conto che la prevalenza del territorio
del Sud della nostra Nazione è naturalmente portato per ricevere turismo, per
esportare prodotto agricolo ed ittico. Queste voci assieme ad alcuni prodotti
tipici artigianali, dovrebbero rappresentare i settori principali da tenere in
considerazione e potranno essere gli importanti indirizzi attorno ai quali sarà
consequenziale costruire una serie di servizi a supporto che offriranno
all’indotto altre occasioni per le più giuste attività. Considerata però
l’eterna mancanza delle adeguate infrastrutture di base adatte a qualsiasi
sviluppo, sarebbe obbligo del nostro Governo favorirne la realizzazione
attraverso un immediato efficiente piano d’investimenti poiché qualunque
incentivo non sarà mai in grado di compensarne la mancanza.
La ricetta migliore quindi non sembra quella di una
legge che permette finanziamenti privati diretti verso l’illogica nascita di
realtà produttive inutili, ma un intervento pubblico studiato al fine di
realizzare infrastrutture adatte e più utili.
“Il territorio è uno dei fattori
su cui maggiormente si misura la competitività di un’area, ed il Sud non avendo
adeguate infrastrutture, non potrà mai avere opportunità di sviluppo”: Grandi bacini -
opere portuali ed aeroportuali - strade di collegamento - ferrovie - autostrade
- opere di rimboschimento - depuratori – infrastrutture da diporto - impianti
appositi ecc., sono le immediate opere in mancanza delle quali il nostro
Mezzogiorno, non potrà mai vedere sbloccato il proprio avvenire. Queste opere
di primaria importanza dovrebbero essere opportunamente studiate attraverso un
coordinamento tra le Regioni pertinenti e la Presidenza del Consiglio ma anche
con il controllo della Comunità Europea.
Si dovrebbero stabilire le scelte necessarie evitando spese
superflue e per alcune di queste infrastrutture e per la loro gestione, si
potrà fare uso di capitali privati attraverso la costituzione di società miste
con le amministrazioni pubbliche.
Un intervento necessario dovrebbe
anche essere quello dello smantellamento di alcuni squallidi impianti che non
potranno più avere un futuro in questi Paesi dove il naturale clima ed il
paesaggio spingono in direzione di ben altre attività. Se un primo intervento
dovrà spingersi verso una ricerca per il riscontro più appropriato alle risorse
delle singole Regioni del Sud e nel contempo verso l’individuazione e la
realizzazione delle necessarie infrastrutture, il secondo potrebbe essere
quello di spingere determinate aziende a credere di più nella propria attività
con i necessari incentivi e non più con l’uso di contributi o finanziamenti
agevolati.
Sarebbe opportuno
riflettere su come abbia potuto incidere nelle abitudini del tessuto
imprenditoriale di tutto il meridione, l’assurda procedura che ha offerto
possibilità e grandi aiuti anche a chi non ha mai avuto una realtà produttiva o
commerciale valida.
A chi volutamente ha usato la 488 per
la nascita di realtà produttive improprie per il tessuto locale. Il tutto con
l’aiuto di leggi operate dai governi succeduti che non si sono mai immedesimati
in profondità nel problema, né nel merito, né nel metodo. Forme
assistenziali e di sostentamento che dovrebbero essere portate ad esempio per
l’inutile risultato prodotto all’economia di tutto il meridione ma anche per
l’errata abitudine a cui sono stati educati molti cittadini.
Si dovrebbe per sempre sradicare l’assurda piaga culturale che ha
mirato a garantire delle attività improduttive solo per il mantenimento di chi
vi lavorava o per l’arricchimento di chi ne poteva approfittare. La nuova procedura dovrebbe essere legata ad un dovuto
intervento per l’organizzazione di conferenze, riunioni e dibattiti che possano
meglio informare sia le forze imprenditoriali, sia i cittadini sul particolare
studio e sulle preferenze in direzione del migliore sviluppo: Andrebbe
incrementata con forza la cultura d'impresa, eliminando ogni tipo di intervento
assistenziale perché ciò ha contribuito a diseducare giovani e meno giovani
all'idea che il lavoro deve essere produttivo e che il prodotto deve essere
competitivo sul mercato.
Non si dovrebbero più sostenere attività improduttive solo per
garantire livelli occupazionali!
La nuova fase procedurale dovrebbe
invogliare le utili e produttive attività ma anche individuare incentivi
adatti, veloci, più efficienti ed un costo del denaro più consono al tessuto
imprenditoriale di chi opererà nel Mezzogiorno. Mezzogiorno che, se pur attivato dalle indispensabili infrastrutture,
necessiterà solo di una decisa spinta iniziale, come per un’auto che avendo
ormai un buon motore ed una solida strada davanti a se, potrà continuare a
correre con propria inarrestabile autonomia.
Si avrà forse uno sviluppo più lento
ma decisamente più stabile e solido determinato all’inizio dal forte incremento
di lavoro portato dalla miriade di cantieri operanti ai fini della
realizzazione delle infrastrutture a carico dello Stato ed ove occorresse, con
l’apporto del capitale privato. In questa fase saranno automaticamente
coinvolte le forze lavorative dell’indotto facenti capo alle imprese locali
mentre in una fase successiva, le stesse imprese, usufruendo delle nuove
infrastrutture e dei necessari incentivi, cominceranno a marciare da sole senza
più alcun aiuto da parte di uno Stato che non avrà ormai nessun obbligo a
carico delle Regioni del Mezzogiorno.
Una procedura che troverebbe davanti diversi ostacoli e non
ben vista nell’era del terzo millennio, un’era che ci vede ormai in una realtà
economica mondializzata che, come tutti temiamo, difficilmente vorrà dare ulteriori
opportunità alle regioni svantaggiate del Sud.
vincenzo Cacopardo