19 set 2012

Lo Stato, gli effetti sociali della modernizzazione e la sicurezza




“premessa”
"Oggi non si può parlare di politica di Stato senza un accenno al sociale e senza  relazionarsi con la psicologia della popolazione, né si possono spiegare i fenomeni sociologici metropolitani senza fare riferimento a quanti studiarono ed approfondirono tali temi."

Georg Simmel, nella seconda metà dell'ottocento, fu il primo ad interessarsi dal punto di vista sociologico dei fenomeni legati ai grandi agglomerati metropolitani ed allo studio delle forme dell'interazione, analizzando con impegno gli effetti sociali del progresso e della modernizzazione. Riguardo ai condizionamenti culturali, fu il primo a sostenere la necessità del superamento della psicologia individuale in quanto l’uomo va compreso come essere sociale: gli individui con la loro attività comune creano la realtà oggettiva delle forme culturali, ma sono pure il prodotto di queste forme, nel senso che creano automaticamente uno spirito  “oggettivo”.
Per Simmel, la realtà sociale, non veniva intesa come realtà autonoma rispetto agli individui, né come somma di individui. Egli affermava che l’attenzione è sempre attratta, non tanto dalla società come situazione comune, quanto piuttosto da ciò che differenzia gli individui l’uno dall’altro. La solidarietà, la sottomissione, la superiorità, la concorrenza, sono tutte forme di sociazione che noi possiamo  riscontrare prescindendo dal loro realizzarsi in unità sociali concrete e specifiche. L'ambiente perfetto per questa società fu, per lui, la grande città: L'uomo diventa un piccolo ingranaggio rispetto all'enormità di tutto il sistema, ed è costretto ad aumentare la sua attività nervosa per adattarsi ai veloci cambiamenti tra sensazioni esterne ed interne.

Fu poi il giovane Weber a contribuire alla elaborazione di una nuova teoria sociologica, in grado di unire lo sviluppo sociale, con la teoria della conoscenza scientifica e la pratica politica. Un obiettivo culturale basato sulla conoscenza, per cui la volontà di una nazione, rappresenta la legge fondamentale del suo sviluppo sociale. 
Ricollegandosi a Simmel, Weber  riprendeva la discussione del metodo sociologico sulle scienze che si occupano di fatti concreti che possono avere una loro legittimità. Weber non credeva ai valori universali ed in tal senso, per lui, la sociologia deve circoscrivere il suo compito al rapporto tra valore ed azione che ne discende o azione che al valore si riferisce.
Le analisi metodologiche di Weber sfociarono nella costruzione della più nota tra le teorie sociologiche, la costruzione del "tipo ideale. Noi, ad esempio, definiamo una classe, il potere, la burocrazia, ma in realtà non esistono classi, potere, burocrazia: esistono singoli esseri umani, singoli e specifici poteri, singoli burocrati.

Con la teoria dell'azione sociale e della relazione, Max Weber introduce, con Simmel, uno spostamento della sociologia. Il soggetto diventa fondamentale e lo diventa in relazione all'altro uomo. La società non è un blocco in cui il singolo ha scarsa importanza: esiste essenzialmente nei rapporti tra i singoli.
In ciò si inquadra anche il particolare spirito che ogni attività politica deve avere verso il funzionamento di ogni società civile.



LA CULTURA DI STATO ED IL POTERE


“Si innesta automaticamente un dialogo sulla cultura di Stato e sul potere e la logica distribuzione dei valori.”

Oggi, sono considerate politiche tutte azioni di influenza delle grandi industrie, delle banche, dei sindacati e dei gruppi di pressione sull’andamento e sulla guida del governo. Si nega la visione tradizionale di un epoca secondo cui la scienza politica, fondandosi sul concetto di Stato, si occupava solo dei rapporti tra governo e società, sostenendo, invece l’attuale politica, su un preciso concetto di potere.
Gli individui che hanno una posizione alta nella distribuzione di ciascun valore, sono le èlites.  Le èlites conservano la propria posizione di valore anche esercitando una celata violenza, controllando i beni materiali, e manipolando i simboli. Si può sostenere che la distribuzione dei valori nella società sia rappresentabile con modelli a forma di piramide, per cui pochi dispongono di grandi quantità di valori e i molti, (la massa), non ne dispongono.

I molti che continuano a rivendicare la cosiddetta emancipazione degli oppressi o il riscatto del lavoro, sono spesso ostaggio dei tanti che dichiarano di volerla combattere. Oggi, lo spazio di manovra per chi critica la modernità e lo sviluppo delle odierne democrazie, è secondario ma sicuramente più diffuso.

Chi ricopre il ruolo imposto dai MEDIA del sistema politico culturale dominante, rimane come testimone di un immodificabile determinismo di tutti gli avvenimenti. Lo sviluppo e l’accrescimento nella complessità sociale degradano in modo irreversibile la qualità della vita, impattando con le contraddizioni create dalle stesse regole imposte. Ogni forma di individualismo si sublima e la sfiducia dell’uomo aumenta.  Un uomo che non è più tale, non è più naturale, ma preda della propria arroganza e del potere.
La politica deve muoversi quanto prima dando un segno indispensabile in tal senso. In questo pessimistico quadro che avanza, ogni problematica del sociale deve essere combattuta e vinta attraverso la cultura dell’equilibrio e del metodo di reciprocità. Il metodo della reciprocità implica in sé l'equità, così nella sfera economica come in quella dei costumi, così nel campo intellettuale e culturale.

Qualcuno precisava che «ricevere altrettanto di quanto si è dato non significa soltanto avere l'equivalente in peso, in misura, in qualità, in valore, di ciò che si è dato, ma significa anche e soprattutto essere soddisfatto del contratto fatto, significa aver piena coscienza che nell'"affare" trattato, sia intellettuale  che economico e persino sentimentale, non vi sia stato, da una parte come dall'altra, né ingannatore, né ingannato, né frodatore, né frodato” .
La cultura dei rapporti sociali deve quindi essere tenuta in alta considerazione da chi opera in politica, poiché sia le azioni che i comportamenti nei rapporti sociali restano i valori fondamentali su cui poggia il sostegno della collettività e la sua crescita. La cultura deve orientare  i comportamenti e le azioni nei rapporti sociali. Politica e sociale, in tal senso, non possono che vedersi unite nel rapporto per un sano sviluppo del Paese

LO STATO E LA SICUREZZA

Metodo e prevenzione

     

       Per quanto attiene la giustizia civile appare fondamentale un adeguato ripristino o, in determinati casi, una vera e propria soppressione di alcune artificiose procedure per indurre a far funzionare più speditamente in favore del cittadino. Un codice di procedure che sembra quasi costruito artatamente, solo per un esasperato garantismo e non certamente per l’efficienza di una vera spedita giustizia. 
Più profondo non può che essere il pensiero riguardo alla giustizia penale. Essa tocca molto da vicino il cittadino perché ne limita la libertà e ne preclude la sicurezza: Ogni cittadino chiede sicurezza nella giustizia e giustizia per la propria sicurezza, quindi, i problemi della giustizia e della sicurezza non dovrebbero mai vedersi disgiunti.

Uno sforzo fondamentale deve essere fatto dalla politica che dovrebbe guidare un processo evolutivo moderno più spedito, meno farraginoso anche verso un coordinamento più utile tra giustizia e sicurezza per meglio avvicinare lo Stato ai cittadini. Quando si parla di sicurezza, in un sistema come il nostro, non si può trascurare l’impegno degli organi dello Stato che, nell’attuare regole a protezione del cittadino, sono spesso costretti a barcamenarsi in un nugolo di cavilli burocratici costruiti proprio in difesa delle libertà. 


Magistrati, forze dell’ordine e quanti altri sono preposti alla garanzia della nostra sicurezza sembrano agire con l’uso di procedure ormai vecchie e con una metodologia poco risolutiva. Costoro, attraverso il ruolo di interpreti del sistema ed esecutori dell’ordine finiscono spesso col non operare coordinati ed in favore della giusta causa. Sembra quasi che per molte soluzioni, le istituzioni, adottino metodi dettati dall’impotenza o da una profonda rassegnazione di fronte ad ostacoli che non si riescono a preventivare.
Sono considerazioni che trovano un punto di convergenza nel metodo inefficace adottato da chi, incaricato della sicurezza, dovrebbe anche costruire le basi per la ricerca di una verità. Considerazioni che dovrebbero far riflettere sul rapporto ormai istaurato tra il cittadino e lo Stato. Non dobbiamo quindi stupirci del mancato funzionamento del nostro sistema giudiziario, poiché ciò che riguarda una buona amministrazione della giustizia non potrebbe mai essere separato da un giusto e volenteroso impegno funzionale alla base della nostra sicurezza.

Ci si dovrebbe adoprare affinché, nel nostro sistema democratico, si possa agire con migliore efficienza e tempestività per offrire maggiore sicurezza, salvaguardando il diritto di libertà. Un tema comunque strettamente legato al precedente tema della legalità e che costringe ad un compito difficile tutto il sistema e la stessa società per l’aspetto spesso contrastante tra libertà, regole ed odierno vivere sociale.

Occorrono senz’altro un grande impegno e posizioni politiche non estreme, ma certamente determinate, al fine di non spezzare quel filo sempre più sottile che lega la nostra società al vero significato della parola “democrazia”. Di sicuro si è arrivati ad un punto nel quale o si trova un rimedio immediato o si rischia di distruggere completamente l’ultima opportunità per un modello di moderna e democratica sicurezza. Un impegno comune che non può più attendere, un impegno che potrà metterci al riparo da ogni possibile alternativa non più democratica per la soluzione della nostra sicurezza …..
Si ritiene necessario, per offrire un costruttivo contributo al sistema della sicurezza  e della giustizia,   uno sguardo critico nei confronti delle attuali procedure. La repressione resta certamente utile come componente metodologica della struttura amministrativa dello Stato ma, non potrà mai essere ostentata come la sola alternativa risolutiva dei problemi di una società civile.
Sradicare alcune attività criminose, con l’uso della sola repressione affinché possa essere garantita al massimo la libertà di chiunque,  ci sembra un concetto azzardato e distorto della democrazia.

Dovrebbe essere snellita la pesante burocrazia che da anni avvolge i Tribunali ed i Commissariati,  e comunque tutti gli uffici legati allo svolgimento delle indagini poiché i cittadini vogliono sentirsi sicuri ma anche protetti da uno Stato che dovrebbe offrire loro  impegni più concreti e funzionali attraverso lo studio di azioni ponderate e preventivate in tempo.
Ma se si vuole davvero mettere mano ad una riforma della giustizia e della sicurezza, non si può non tener conto del sistema carcerario odierno. Le carceri sono poche, scoppiano per il sovrabbondante numero di reclusi e non sono certo un modello rieducativo per quei cittadini che vi fanno ingresso per determinati reati.
Un richiamo importante per ricordarci che il compito di una società non potrà mai essere solo quello di perseguire chi sbaglia ma, anche quello più difficile, di seguire costoro in una detenzione rieducativa utile al fine di poterli reinserire nella società. Di non abbandonarli ad un destino che li renderebbe inevitabilmente recidivi.

Non basterà quindi far pagare una pena nel merito, ma attivarsi meglio in un metodo costruttivo attraverso l’insegnamento in direzione di una cultura che si vuole democratica e più sicura. A tal proposito individuare e costruire alcune tipologie di carceri ed istituti rieducativi più idonei e divisi in base ai reati commessi. Determinante sarà l’uso delle risorse umane adatte: assistenti sociali, psicologi, insegnanti specializzati etc, accompagnati da un percorso rieducativo suggerito da nuove normative funzionali.
E’, quindi, fondamentale l’odierno compito della politica nazionale che, attraverso una programmata regolamentazione, riesca ad offrire modelli più funzionali per la sicurezza, proiettandoci, non soltanto verso l’Europa, ma in una casa comune dove possano sposarsi e convivere diverse culture. Persino riguardo all’economia avanzata ed alla inarrestabile recessione di questi ultimi tempi non si è voluto affrontare il problema in termini di prevenzione per porre in tempo le opportune regole al fine di promuovere azioni di contenimento.

Il processo di unificazione dell’Europa, ha finito col fare uso solo di principi regolati da una economia globale. Questi principi, basati su valori imposti da un mercato sempre più competitivo, sembrano gli unici a guidare una unificazione che si evidenzia abbastanza precaria per le logiche differenze etnico culturali delle diverse comunità. Un processo di unificazione forse non prematuro rispetto ai tempi, ma sicuramente anticipato nelle procedure che ha sottovalutato la sicurezza di alcune popolazioni.


Questa difficile realtà dovrebbe oggi spingere la nostra politica internazionale a modellare con più equilibrio questo processo in tema di sicurezza e di salute. Una giusta politica europea avrebbe dovuto tener conto dell’aspetto etnico culturale e delle diversità dei Paesi entrati in Comunità. Sembra scontato che solo in questi termini una vera Europa avrebbe potuto avere migliori opportunità di crescita più armonica e sicura.

Gli argomenti politici internazionali di grande attualità nel prossimo futuro saranno quelli legati all’ambiente ed al sovrabbondante numero di immigrati extracomunitari che tenderanno ad invadere con maggior forza i territori dei Paesi economicamente avanzati. Ovviamente i due problemi sono fortemente collegati tra di loro ed al tema di una sicurezza. Tutti sappiamo ormai che il nostro pianeta, oltre a subire un mutamento atmosferico condizionato dal progresso delle civiltà più evolute, deve affrontare questo forzato processo di coabitazione. 

Sono problemi ormai conosciuti dei quali si discute abbondantemente e che coinvolgono da vicino il nostro Paese, ma anche in questo caso, ogni soluzione rimarrà ancorata a scelte di natura politica. Non valutati con attenzione nel passato ed adesso moltiplicati e sempre più difficili da risolvere, questi problemi, oggi quasi insormontabili, vedranno un mondo politico doversi esprimere in termini sempre più severi.


Può, come già avvenuto, una singola comunità più dell’altra impegnarsi ad accogliere una moltitudine di immigrati per lo più clandestini, senza avere le capacità recettive ed una adeguata assistenza igienica sanitaria? Può, questo evento, coinvolgere una singola parte del nostro territorio e non impegnare globalmente la nostra politica internazionale?

In qualunque caso, al nostro Paese è venuta a mancare un’azione preventiva che avrebbe dovuto tenere in considerazione già da tempo questo fenomeno in espansione ponendovi rimedi  attraverso atti prodromici mirati, sia in direzione di una politica di sicurezza territoriale, coinvolgendo anche l’Europa, che in direzione di un’utile politica di assistenza sanitaria
Chiari esempi di come sia venuta a mancare un’azione preventiva di studio politico e di come si sono voluti chiudere gli occhi di fronte ai difficili problemi della sicurezza che ne sarebbero scaturiti. Queste enormi problematiche che investiranno il futuro dei nostri ragazzi sono il sicuro esempio di quanto determinante sia il ruolo preventivo di una politica per la collettività e quanto indispensabile sia la tutela di un interesse pubblico che solo le istituzioni possono salvaguardare attraverso giuste azioni preordinate.
vincenzo Cacopardo