Nella forma
politica di organizzazione dei poteri del nostro Stato, quello “legislativo” ha
una importanza fondamentale per la concreta realizzazione di uno “Stato di
diritto” nel quale tutte le istituzioni sono sottoposte alla legge.
I regimi si
chiamano democratici quando garantiscono ai cittadini oltre che una libertà di
partecipazione al voto, anche una loro libertà personale, di movimento, di
espressione, di inviolabilità di domicilio, etc.
Per
difendere tale libertà occorre la mediazione di un organo indipendente e questa
non può che essere per noi la parte essenziale della funzione del giudice in un
regime democratico:
Una istituzione indipendente dagli
altri poteri dello Stato per far sì che la libertà civile ottenga concreta
realizzazione. Una libertà che non è quella politica, poichè non potrà mai
essere un giudice ad impedire che si possano travolgere con la forza le
istituzioni di uno Stato democratico.
Per questi
motivi, ogni sentenza di condanna emessa da un giudice deve leggersi in
senso negativo diretta allo Stato e non al condannato, cioè deve intendersi
come un ordine al potere esecutivo. Se così non fosse , non si potrebbe
spiegare la esistenza degli atti di clemenza da parte del Governo (grazia –
amnistia – indulto).
Dopo la
seconda guerra mondiale e a seguito della esperienza dei regimi dispotici, si
sono manifestate diverse correnti per accentuare la indipendenza del Giudice,
secondo una teoria classica. Nella nostra Costituzione del 47, con la
introduzione del Consiglio superiore della Magistratura, si attua
l’indipendenza totale dal potere esecutivo.
Questa forma di indipendenza però
appare tanto radicale quanto errata, frutto di un primitivo concetto della
divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli estremismi, oggi,
non può che produrre effetti contrari.
Non si è
considerato che, il potere giudiziario è, nella sua struttura, radicalmente
diverso dagli altri poteri. Un potere che non viene esercitato dal complesso
dei giudici, ma da ciascuno di essi. I padri costituenti italiani, abituati a
vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera,
progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior
modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di
togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici.
A tal fine
crearono un organo : il Consiglio Superiore della Magistratura, composto
in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di
membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere
giudiziario, né ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale
per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre l’indipendenza del giudizio.
L’equivoco sta nel fatto che, il
giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in
modo realmente indipendente, ciò che rifiuta è proprio un governo senz’altro,
tanto che sia in mano all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro organo. Pertanto forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere, non quella di
togliere il governo della Magistratura al Potere esecutivo, ma quella di
ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici e facendo il possibile
per regolare a mezzo della legge la loro carriera.
Possiamo
asserire che in questa strada, non si è tenuto
in considerazione l’assioma
politico che, creare un potere comporta, inevitabilmente, il sorgere di
molti desideri per la sua conquista: Se questo potere si pone nelle mani
degli stessi giudici, la conseguenza inevitabile sarà quella dello scatenarsi
di una guerra interiore tra loro per la conquista di detto potere.
La lotta
delle “correnti” interne al CSM, rompe
il suddetto “vantaggio” che si voleva
costituito da giudici in maggioranza. L’aspetto più grave resta quello che si è
creato un organismo che non riesce a trovare una collocazione legittima in un
regime politico fondato sulla divisione dei Poteri. Da tutto ciò, sono nate e
continuano, le interminabili discussioni per stabilire fino a che punto il CSM
possa definirsi un organo costituzionale sulla forma dei suoi atti
amministrativi e sulla possibilità di ricorso contro gli stessi. Si è tuttavia
ritenuto di superare questa difficoltà dicendo che il CSM è solo un organo
sostanzialmente amministrativo collocato in seno all’ordine giudiziario con
l’unica funzione di poter provvedere agli aspetti amministrativi di detto
Ordine.
Ma si tratta
solo di un argomento verbale privo di realtà in quanto, come è ampiamente
dimostrato, ogni potere di un’alta amministrazione assume conseguentemente un carattere politico.
Quindi, anche in questo caso, l’amministrazione della giustizia assume un
carattere politico..E’ possibile
dirigere tutta la parte amministrativa dell’esercizio del Potere giudiziario
senza fare politica della giurisdizione?
Quindi tutto
il terreno politico occupato per necessità dal Consiglio Superiore della
Magistratura sembra inevitabilmente sottratto a coloro che hanno la
responsabilità del governo dello Stato, cioè il Potere esecutivo.
Il difetto sta nell’aver creato questo
organismo, nel quale le dichiarazioni rese da un Ministro responsabile di una
politica, possano essere messe in discussione da questo stesso organismo
“politicamente irresponsabile”
Bisogna
comprendere che il potere dei giudici è un potere di controllo. Si tratta
essenzialmente di un potere di “veto” rispetto ad ogni agire ed operare che
fuoriesce dai limiti della legge. Un
giudice può impedire ogni azione che non rispetti i limiti della legge, ma non
potrà mai porre questi limiti (compiti del Potere legislativo) né può mai
suggerire i progetti che, entro questi limiti, il Governo appresta.
In una vera
democrazia la forza effettiva sta nel convincimento di un popolo di darsi una
forma di governo: la forza che poi distribuisce i poteri a mezzo dei quali lo
Stato si organizza. Nella suddivisione dei poteri, il giudice è quello che
ha meno potere effettivo.
Nelle mani
del Potere esecutivo si mette la forza materiale. Al giudice si da soltanto
forza ed autorità morale. La forza di chi sa quanto sia essenziale la sua
funzione in democrazia. Quanto più profondo è detto convincimento generale,
tanto maggiore sarà la forza morale del giudice in quanto egli non ha una forza
propria, ma una forza che gli viene attribuita.
Proprio per tali
motivi il giudice non potrà mai pensare di poter confrontarsi con gli altri
poteri dello Stato o di potere risolvere da solo il problema della sua
indipendenza, poiché detta indipendenza rappresenta un bene prezioso per il
cittadino, più che per il giudice stesso.