14 set 2012

Riflessioni sul ruolo del CSM





Nella forma politica di organizzazione dei poteri del nostro Stato, quello “legislativo” ha una importanza fondamentale per la concreta realizzazione di uno “Stato di diritto” nel quale tutte le istituzioni sono sottoposte alla legge.
La realizzazione dello Stato di diritto comporta l’obbligo delle istituzioni statali a mantenersi entro i limiti della legge, ma questi limiti assumono un carattere di rilievo politico quando il cittadino, titolare delle sue libertà civili, vi si trovi in conflitto.
I regimi si chiamano democratici quando garantiscono ai cittadini oltre che una libertà di partecipazione al voto, anche una loro libertà personale, di movimento, di espressione, di inviolabilità di domicilio, etc.

Per difendere tale libertà occorre la mediazione di un organo indipendente e questa non può che essere per noi la parte essenziale della funzione del giudice in un regime democratico:
Una istituzione indipendente dagli altri poteri dello Stato per far sì che la libertà civile ottenga concreta realizzazione. Una libertà che non è quella politica, poichè non potrà mai essere un giudice ad impedire che si possano travolgere con la forza le istituzioni di uno Stato democratico.

Per questi motivi, ogni sentenza di condanna emessa da un giudice deve leggersi in senso negativo diretta allo Stato e non al condannato, cioè deve intendersi come un ordine al potere esecutivo. Se così non fosse , non si potrebbe spiegare la esistenza degli atti di clemenza da parte del Governo (grazia – amnistia – indulto).
Dopo la seconda guerra mondiale e a seguito della esperienza dei regimi dispotici, si sono manifestate diverse correnti per accentuare la indipendenza del Giudice, secondo una teoria classica. Nella nostra Costituzione del 47, con la introduzione del Consiglio superiore della Magistratura, si attua l’indipendenza totale dal potere esecutivo.
Questa forma di indipendenza però appare tanto radicale quanto errata, frutto di un primitivo concetto della divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli estremismi, oggi, non può che produrre effetti contrari.

Non si è considerato che, il potere giudiziario è, nella sua struttura, radicalmente diverso dagli altri poteri. Un potere che non viene esercitato dal complesso dei giudici, ma da ciascuno di essi. I padri costituenti italiani, abituati a vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici.
A tal fine crearono un organo : il Consiglio Superiore della Magistratura, composto in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere giudiziario, né ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre  l’indipendenza del giudizio.

L’equivoco sta nel fatto che, il giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente, ciò che rifiuta è proprio un governo senz’altro, tanto che sia in mano all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro organo. Pertanto forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere, non quella di togliere il governo della Magistratura al Potere esecutivo, ma quella di ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici e facendo il possibile per regolare a mezzo della legge la loro carriera.

Possiamo asserire che in questa strada, non si è tenuto  in considerazione  l’assioma politico che, creare un potere comporta, inevitabilmente, il sorgere di molti desideri per la sua conquista: Se questo potere si pone nelle mani degli stessi giudici, la conseguenza inevitabile sarà quella dello scatenarsi di una guerra interiore tra loro per la conquista di detto potere.
La lotta delle “correnti”  interne al CSM, rompe il suddetto “vantaggio”  che si voleva costituito da giudici in maggioranza. L’aspetto più grave resta quello che si è creato un organismo che non riesce a trovare una collocazione legittima in un regime politico fondato sulla divisione dei Poteri. Da tutto ciò, sono nate e continuano, le interminabili discussioni per stabilire fino a che punto il CSM possa definirsi un organo costituzionale sulla forma dei suoi atti amministrativi e sulla possibilità di ricorso contro gli stessi. Si è tuttavia ritenuto di superare questa difficoltà dicendo che il CSM è solo un organo sostanzialmente amministrativo collocato in seno all’ordine giudiziario con l’unica funzione di poter provvedere agli aspetti amministrativi di detto Ordine.

Ma si tratta solo di un argomento verbale privo di realtà in quanto, come è ampiamente dimostrato, ogni potere di un’alta amministrazione  assume conseguentemente un carattere politico. Quindi, anche in questo caso, l’amministrazione della giustizia assume un carattere politico..E’ possibile dirigere tutta la parte amministrativa dell’esercizio del Potere giudiziario senza fare politica della giurisdizione?

Quindi tutto il terreno politico occupato per necessità dal Consiglio Superiore della Magistratura sembra inevitabilmente sottratto a coloro che hanno la responsabilità del governo dello Stato, cioè il Potere esecutivo.
Il difetto sta nell’aver creato questo organismo, nel quale le dichiarazioni rese da un Ministro responsabile di una politica, possano essere messe in discussione da questo stesso organismo “politicamente irresponsabile”

Bisogna comprendere che il potere dei giudici è un potere di controllo. Si tratta essenzialmente di un potere di “veto” rispetto ad ogni agire ed operare che fuoriesce dai limiti della legge. Un giudice può impedire ogni azione che non rispetti i limiti della legge, ma non potrà mai porre questi limiti (compiti del Potere legislativo) né può mai suggerire i progetti che, entro questi limiti, il Governo appresta.
In una vera democrazia la forza effettiva sta nel convincimento di un popolo di darsi una forma di governo: la forza che poi distribuisce i poteri a mezzo dei quali lo Stato si organizza. Nella suddivisione dei poteri, il giudice è quello che ha meno potere effettivo. 

Nelle mani del Potere esecutivo si mette la forza materiale. Al giudice si da soltanto forza ed autorità morale. La forza di chi sa quanto sia essenziale la sua funzione in democrazia. Quanto più profondo è detto convincimento generale, tanto maggiore sarà la forza morale del giudice in quanto egli non ha una forza propria, ma una forza che gli viene attribuita.
Proprio per tali motivi il giudice non potrà mai pensare di poter confrontarsi con gli altri poteri dello Stato o di potere risolvere da solo il problema della sua indipendenza, poiché detta indipendenza rappresenta un bene prezioso per il cittadino, più che per il giudice stesso.