
vincenzo
cacopardo
Non
vogliamo passare per degli ossessionati da Matteo Renzi. Anzi, da
ieri la sua riforma del Senato, sia pure con imbrogli procedurali, si
sta avviando alla seconda approvazione (ne servono quattro). Il fine,
secondo lui, giustifica i mezzi, e lui non si fa alcun problema a
usare quelli banditeschi. Il governo sta pure incassando alcuni
timidi segnali se non di ripresa almeno di arresto della caduta.
Piccoli «zero virgola» in più che il premier venditore è
abilissimo a spacciare per grandi successi. Poco importa che non
siano neppure farina del suo sacco ma conseguenza della congiuntura
internazionale favorevole. Ci sono, e questo basta. Il premier è più
fortunato che bravo. Sul fronte interno tutto gli gira a favore: i
soldi di Draghi, l'interdizione di Berlusconi, la conseguente crisi
con sfaldamento del centrodestra, le paure dei suoi di perdere il
posto. Si chiama «fattore c.» (lui ne è dotato in abbondanza) ed è
lo strumento con cui ha domato Parlamento e partito.
Fuori
dai confini, dove non basta la fortuna ma serve ben altro, continua
invece il disastro. È talmente un peso piuma che la settimana scorsa
non è stato invitato al vertice europeo sulla Libia. Due giorni fa
ha parlato sì all'assemblea dell'Onu, ma in una sala deserta: «Renzi
chi?» si sono chiesti i delegati prima di darsi alla ricreazione. E
ieri la Merkel gli ha scippato pure il regista della crisi libica: il
commissario europeo che dovrà sovrintendere a quell'area sarà
infatti tedesco e non italiano come chiesto – con molte ragioni –
dal nostro premier.
Tornando
alle questioni domestiche, c'è però una crepa nel «fattore c.»,
che sta diventando una voragine. Parliamo del caso Roma. Ieri il
sindaco Marino, non contento dei guai già combinati, in poche ore ha
detto nell'ordine: il Papa non capisce nulla e dovrebbe prendere
lezioni da lui, il prefetto Gabrielli è una sua badante, Alfio
Marchini è una specie di fascista di ritorno (si è beccato pure una
querela). L'uomo è talmente fuori controllo, e fuori di testa, che
ci sta diventando simpatico. Anche perché sta trascinando nel
ridicolo il suo partito, il Pd, e il suo segretario, Matteo Renzi,
che lo devono lasciare al suo posto pena elezioni anticipate e sicuro
disastro elettorale della sinistra. Sul caso Marino, Renzi sta
perdendo non solo voti a Roma ma pure la faccia. Lasciare la capitale
in mano a questo tontolone è la prova che Renzi non ha a cuore la
dignità del Paese e il bene della cosa pubblica. L'unica cosa che
gli interessa è il suo «c.», senza fattore.
Alessandro Sallusti
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