Ormai è chiaro: la prima vera partita,
Renzi la gioca sul decreto-lavoro.
Il voto di fiducia, celebrato ieri, al di
là del risultato numerico, è simile al break
che impone l’arbitro ai pugili in corpo a corpo. Ma, domani o dopodomani, al
Senato, la partita riprenderà più virulenta di prima. È vero che a palazzo
Madama i numeri sono più favorevoli al governo, ma è altrettanto vero che, se
si tornasse alla stesura originaria, il decreto cadrebbe alla Camera, nel
girone di ritorno.
Ora, quali sono le ragioni sostanziali
che spingono la minoranza del Pd a ingaggiare battaglia su questo terreno?
Prima di parlare dei massimi sistemi,
affrontiamo i minimi (e forse più concreti sotto vari punti di vista): una
delle questioni riguarda la formazione professionale. Vogliamo quella aziendale
o quella regionale? Le persone ragionevoli non esiterebbero a rispondere
“aziendale”, visti i continui scandali che hanno investito le attività
formative regionali (l’ultimo in evidenza quello attribuito al deputato Pd Francantonio
Genovese, di Messina). Invece, la maggioranza del gruppo parlamentare del Pd
(tutti nominati da Bersani, ma ormai in libera navigazione) preferisce la
formazione regionale. È evidente che la scelta pubblicistica risponde
all’esigenza di alimentare l’opaco circuito che finisce per finanziare il
partito e i sindacati. Niente di più concreto, quindi. C’è poi il problema delle proroghe dei contratti a tempo determinato
nell’ambito temporale previsto in 36 mesi: 5 o 8? La questione è solo
strumentale, una prova di forza insomma, ma se passerà la linea dei ribelli del
Pd (5 proroghe) sarà più difficile trovare imprese che assumano. L’aspetto più
scandaloso di questa scelta è che tutti sanno che per stimolare il lavoro,
specie giovanile, occorre allentare il regime vincolistico. Una volta
allentatolo e indotte le aziende ad assumere a tempo determinato, sarà
fisiologico che i lavoratori migliori, i più produttivi e professionali, siano
assunti a tempo indeterminato. Sarebbe patologico il contrario.
Il regista di questa operazione
antiRenzi, ma anche antilavoratori, giovani in special modo, si chiama Cesare
Damiano, già ministro del lavoro nel disastroso governo Prodi 2 (2006-2008).
Nel disastro, ebbe una parte anche il nostro, visto che fu lui a proporre e ottenere
la riforma della riforma delle pensioni, consentendo anticipati collocamenti a
riposo. Un contributo palpabile ai guai della finanza pubblica nei quali ci
dibattiamo. La subordinazione al sindacato conservatore per antonomasia, la
Cgil, rende necessarie operazioni senza sbocchi, che aggravano la crisi
occupazionale dei nostri giorni senza offrire prospettive per il futuro. La
cosa più paradossale in questo passaggio politico, è l’invisibilità di
Confindustria, sempre meno associazione datoriale, sempre più burocrazia
asservita agli interessi contingenti del sindacato preferenziale (sempre la
Cgil).
Veniamo ora ai massimi sistemi:
l’obiettivo strategico della minoranza del Pd (maggioranza nel gruppo
parlamentare della Camera) è ridimensionare Renzi, costringendolo a una
trattativa continua su tutti i temi dell’agenda di governo. Un progetto che,
alla vigilia delle elezioni, marchia di irresponsabilità protagonisti e
comprimari.
Certo, c’è qualche sponda importante come
il Movimento 5 Stelle: ma non si può fondare un programma su di loro, visto che
gli utili idioti non mancano mai nelle aule parlamentari. Purtroppo per loro,
normalmente in tempi brevi vengono asfaltati dalla storia.
Mi ritengo d’accordo col cugino Domenico
riguardo alla scelta di stimolare il lavoro allentando il regime
vincolistico, ma nutro qualche dubbio sulle sue perplessità circa una discussione del programma di
Renzi da parte del Partito. Un normale ed utile dialogo che non sembra costringerlo ad una
trattativa continua su tutti i temi dell’agenda di governo, ma ad uno scambio
necessario e più che consueto che deve svolgersi all’interno di ogni Partito.
Non sembra invero che Renzi.. dal canto
suo, si faccia ostruire la strada da chiunque, dettando continue proposte di
cambiamento con estrema determinazione e spesso senza nemmeno scambiarsi.. arrivando addirittura a proporre voti di fiducia. Se la sua
azione può essere lodevole sul piano della volontà e l’impegno..non è detto possa sempre esserlo nel merito.
Se ad esempio su alcuni temi del lavoro si
può con più facilità essere d’accordo col Premier.. lo stesso non può dirsi su altre scelte che non sembrano mirare esattamente ad una crescita economica.
Per non parlare delle riforme costituzionali che lo vedono legato a personaggi
come Verdini e company….Ma si può davvero essere certi di queste importanti riforme per il futuro della politica proposte e decise assieme a tali personaggi?
Le perplessità in seno al suo Partito sono
giustificate anche se a volte supportate dall’invidia, ma possono risultare
motivate anche dall’entità stessa del cambiamento proposto. Renzi potrà anche lavorare
bene ed avere buoni propositi, ma deve sapersi confrontare con chi, forse, vorrebbe limitare un simile autoritarismo governativo.
vincenzo cacopardo
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