di domenico Cacopardo
Il
problema non è di Lupi, di Nencini o del ministero, è di Matteo
Renzi. Il modo in cui lo affronterà avrà un peso determinante per i
prossimi appuntamenti elettorali, per la gestione dei presenti e
futuri passaggi parlamentari, per le elezioni politiche quando ci
saranno, per la sua medesima carriera politica.
La
vicenda Incalza, l’ennesima che lo riguarda, si inquadra in un
metodo consolidato che ha fatto comodo a tanti ministri delle
infrastrutture: la competenza che tutti gli riconoscono unita alla
conoscenza delle esigenze della politica e dei politici e alla
consumata e cinica esperienza delle debolezze umane ne ha fatto il
pivot (quasi) indispensabile per la gestione dell’immenso
ministero.
Chi
non è giovane, ricorda la celebre domanda rivolta da Francesco
Bellavista Caltagirone al sottosegretario Francesco Evangelisti,
braccio destro di Andreotti: «A Fra’, che te serve?» Ebbene,
Incalza non domandava. Sapeva.
Certo,
ora dobbiamo aspettare che i tempi del procedimento giudiziario
maturino e si definisca un quadro probatorio o indiziario idoneo a
determinare un processo. E non si può non considerare segno di grave
inciviltà giuridica e mediatica la diffusione di informazioni che,
allo stato, l’autorità giudiziaria non considera tali da suggerire
indagini (con relative comunicazioni di garanzia) nei confronti del
ministro Lupi. I maligni sostengono che, attraverso questo metodo, si
ottengono risultati addirittura più efficaci di quelli della
comunicazione di garanzia. Ma ciò significherebbe che c’è un’idea
persecutoria, di rimozione senza processo del ministro in
discussione, un’idea che è da escludere «a priori».
E
poi, c’è un non detto, una cortina di genericità che dovrebbe
essere dissipata: infatti, sembra che qui non si tratti di «lavori»
ma di progettazioni, anche se chi non conosce la materia ha parlato
del caso confondendo le due specie di attività. Ed è possibile che,
se si tratta di progettazioni, la natura del reato debba essere
ridefinita.
Ma
rimane come un macigno l’indifferenza dello stesso Lupi in
circostanze addirittura più preoccupanti e scandalose di
quest’ultima: il Mose, per il quale non ha mosso un dito, né
disponendo la necessaria «due diligence» sui costi dei lavori (che
avrebbe permesso di definire l’entità reale delle ruberie e di
quanto andrebbe richiesto alle ditte incaricate dell’opera), né
commissariando il Magistrato alle acque, né chiedendo il
commissariamento delle imprese partecipi del consorzio Venezia Nuova.
Nonché la medesima vicenda del misterioso (perché ingiustificato)
aumento delle tariffe autostradali.
Vicende
che testimoniavano l’insensibilità personale e politica del
ministro rispetto a questioni delicate con pesanti riflessi
giudiziari e la mediocrità della dirigenza del ministero, incapace
di reagire in positivo, riscattando un andazzo così deteriorato da
compromettere la medesima immagine del governo e del sistema
democratico.
Tutto
questo non è solo acqua passata, ma è ancora presente nella lista
dei casi che debbono essere affrontati e risolti.
Il
Mose, per esempio, non può chiudersi così: «Chi ha avuto, ha
avuto, chi ha dato, ha dato.» Deve trovare la risposta di qualcuno
(Commissario anticorruzione, autorità giudiziaria, governo, Corte
dei conti) capace di avviare un procedimento che stabilisca l’entità
di quanto sottratto alle casse dello Stato e alle tasche dei
cittadini italiani e ne avvii il recupero.
Però
il problema politico di Lupi e del suo ministero rimane presente «hic
et nunc» e a esso deve dare risposta il presidente del consiglio
che, lunedì, ha mandato allo sbaraglio il sottosegretario Delrio,
incapace di andare oltre le solite banalità.
Sarà
difficile che l’onda mediatica non imponga le dimissioni di Lupi.
Passerà qualche giorno, ma, alla fine, sarà questa l’unica
soluzione capace di salvare Matteo Renzi. E se questa soluzione non
ci sarà, vorrà dire che sarà il governo intero a pagare le
conseguenze delle distrazioni, degli errori e delle sventatezze
(anche un vestito su misura, roba da straccioni) del suo ministro
ciellino.
Non può essere questa la fine di un
sogno (quello di modernizzare il Paese e di cambiare verso) nel quale
tanti italiani hanno creduto.
Con
l’energia che gli viene riconosciuta, Renzi prenda in mano la
situazione e le dia una svolta inequivoca e inequivocabile.
Nessun commento:
Posta un commento