18 mar 2015

nuovo articolo di Domenico Cacopardo sul caso Incalza

di domenico Cacopardo
Il problema non è di Lupi, di Nencini o del ministero, è di Matteo Renzi. Il modo in cui lo affronterà avrà un peso determinante per i prossimi appuntamenti elettorali, per la gestione dei presenti e futuri passaggi parlamentari, per le elezioni politiche quando ci saranno, per la sua medesima carriera politica.
La vicenda Incalza, l’ennesima che lo riguarda, si inquadra in un metodo consolidato che ha fatto comodo a tanti ministri delle infrastrutture: la competenza che tutti gli riconoscono unita alla conoscenza delle esigenze della politica e dei politici e alla consumata e cinica esperienza delle debolezze umane ne ha fatto il pivot (quasi) indispensabile per la gestione dell’immenso ministero.
Chi non è giovane, ricorda la celebre domanda rivolta da Francesco Bellavista Caltagirone al sottosegretario Francesco Evangelisti, braccio destro di Andreotti: «A Fra’, che te serve?» Ebbene, Incalza non domandava. Sapeva.
Certo, ora dobbiamo aspettare che i tempi del procedimento giudiziario maturino e si definisca un quadro probatorio o indiziario idoneo a determinare un processo. E non si può non considerare segno di grave inciviltà giuridica e mediatica la diffusione di informazioni che, allo stato, l’autorità giudiziaria non considera tali da suggerire indagini (con relative comunicazioni di garanzia) nei confronti del ministro Lupi. I maligni sostengono che, attraverso questo metodo, si ottengono risultati addirittura più efficaci di quelli della comunicazione di garanzia. Ma ciò significherebbe che c’è un’idea persecutoria, di rimozione senza processo del ministro in discussione, un’idea che è da escludere «a priori».
E poi, c’è un non detto, una cortina di genericità che dovrebbe essere dissipata: infatti, sembra che qui non si tratti di «lavori» ma di progettazioni, anche se chi non conosce la materia ha parlato del caso confondendo le due specie di attività. Ed è possibile che, se si tratta di progettazioni, la natura del reato debba essere ridefinita.
Ma rimane come un macigno l’indifferenza dello stesso Lupi in circostanze addirittura più preoccupanti e scandalose di quest’ultima: il Mose, per il quale non ha mosso un dito, né disponendo la necessaria «due diligence» sui costi dei lavori (che avrebbe permesso di definire l’entità reale delle ruberie e di quanto andrebbe richiesto alle ditte incaricate dell’opera), né commissariando il Magistrato alle acque, né chiedendo il commissariamento delle imprese partecipi del consorzio Venezia Nuova. Nonché la medesima vicenda del misterioso (perché ingiustificato) aumento delle tariffe autostradali.
Vicende che testimoniavano l’insensibilità personale e politica del ministro rispetto a questioni delicate con pesanti riflessi giudiziari e la mediocrità della dirigenza del ministero, incapace di reagire in positivo, riscattando un andazzo così deteriorato da compromettere la medesima immagine del governo e del sistema democratico.
Tutto questo non è solo acqua passata, ma è ancora presente nella lista dei casi che debbono essere affrontati e risolti.
Il Mose, per esempio, non può chiudersi così: «Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato.» Deve trovare la risposta di qualcuno (Commissario anticorruzione, autorità giudiziaria, governo, Corte dei conti) capace di avviare un procedimento che stabilisca l’entità di quanto sottratto alle casse dello Stato e alle tasche dei cittadini italiani e ne avvii il recupero.
Però il problema politico di Lupi e del suo ministero rimane presente «hic et nunc» e a esso deve dare risposta il presidente del consiglio che, lunedì, ha mandato allo sbaraglio il sottosegretario Delrio, incapace di andare oltre le solite banalità.
Sarà difficile che l’onda mediatica non imponga le dimissioni di Lupi. Passerà qualche giorno, ma, alla fine, sarà questa l’unica soluzione capace di salvare Matteo Renzi. E se questa soluzione non ci sarà, vorrà dire che sarà il governo intero a pagare le conseguenze delle distrazioni, degli errori e delle sventatezze (anche un vestito su misura, roba da straccioni) del suo ministro ciellino.
Non può essere questa la fine di un sogno (quello di modernizzare il Paese e di cambiare verso) nel quale tanti italiani hanno creduto.
Con l’energia che gli viene riconosciuta, Renzi prenda in mano la situazione e le dia una svolta inequivoca e inequivocabile.



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