15 set 2012

Studio teorico di ricerca per un piano di riforme

Studio teorico di ricerca per un piano di riforme per il funzionamento di una nuova politica


Ipotesi teorica di avvio per una ricerca




Già da parecchi anni la politica stenta a dare forza ad un processo funzionale del nostro Paese. Da quando scrissi il mio piccolo libro “La politica ed il cambiamento” nel quale avevo già messo in evidenza tutte le difficolta' di un sistema bipolare troppo anticipato nei tempi, rispetto ad una Repubblica edificata sul centrismo democristiano, sono passati parecchi anni. Nel trascorrere di questi, ho approfondito con l’esclusivo senso della partecipazione, la possibilità di altri percorsi più inerenti al processo di una veloce modernizzazione.

Sono idee teoriche poste come ricerca per il riscontro di un alternativo sistema che, da troppo lungo tempo, si basa sulle ormai poco costruttive posizioni antitetiche sinistra –destra.

Nello studio…si ricerca la strada di un progetto di innovazione della politica rivolto verso una specializzazione dei ruoli  (induttivi-deduttivi) dove la parola chiave dovrebbe essere “funzionalità”, come sinonimo di efficienza ed innovazione ma anche intesa come teoria secondo la quale, la funzione di ognuno, ha una importanza predominante sulla evoluzione stessa.
Uno studio che vorrebbe basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.
Sappiamo bene che la politica per muoversi deve far uso delle istituzioni e  queste non possono non essere riviste e rinnovate seguendo un cambiamento imposto da una società che si innova.
La evidente dicotomia che scaturisce in un sistema come il nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare, fa si che possano automaticamente sorgere contrasti i quali, non favoriscono lo sviluppo naturale di una vera politica costruttiva. Quella simbiosi politica evidenziata nel Diritto Costituzionale, affinché ambedue i poteri potessero camminare in sinergia, per far sì che si costruissero assieme leggi, programmi e relative mansioni amministrative, si è persa poiché vittima della mancanza di valori fondamentali ormai spariti.
Alcuni programmi esposti in sede di elezioni vengono esclusi o non inseriti nei tempi dovuti, altri, scaturiscono in un gioco di condizionamento in corso d’opera che ne cambia il senso e la volontà espressa in un primo momento. Il risultato di tutto ciò è sempre un brutto ed inaccettabile compromesso. Da qui l’esigenza di dover distinguere i ruoli persino in termini di carriere.
In base a ciò.. sembra, quindi, più che necessario dover guidare un processo di modernizzazione della politica che parta dai principi di una giusta funzione della dottrina. Un percorso più efficiente che possa esser costruito col dialogo ed insieme ai cittadini, ma che possa anche definire un ruolo amministrativo più concreto e sicuro.
Un rivoluzionario cambiamento che potrà vedere anche territorialmente competenze diverse lasciando alle regioni una politica di indirizzo seguita dai ruoli parlamentari ed ai comuni (che necessitano prevalentemente di strutture e servizi).. un’unica politica seguita dai ruoli amministrativi.

Studio teorico di ricerca per un piano di riforme per il funzionamento di una nuova politica

Rimane sicuramente fondamentale una modifica del testo della “Costituzione”..poi quello in riferimento alla politica elettorale, per un utile cambiamento delle stesse procedure che possa contraddistinguere con equilibrio i ruoli ed i compiti della politica. 

Nulla potrà’ essere definito se non in dialogo e con la partecipazione di chi aspira associarsi ad un principio di vera innovazione del sistema istituzionale. Sembra quindi ovvio ed opportuno chiarire che un simile cambiamento non potrebbe sortire alcun successo se non studiato nel dettaglio ed operato con un percorso che possa individuare precise fasi di necessità ma anche chiari e possibili piani di fattibilità.


Una fase prodromica di un processo riformativo della politica dovrebbe vedere in primo piano una riforma dei Partiti.

I Partiti politici hanno un ruolo decisamente importante per la ricerca di rinnovamento della politica. La Costituzione Italiana riconosce il loro ruolo  quando scrive, all’art. 49, che «tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere in modo democratico a determinare la politica nazionale». Da qui discendono quasi automaticamente alcuni principi. I Partiti devono trasformarsi in vere officine di studio di continua ricerca. Non dovrebbero mai ammettere alcuna formula assoluta in proposito. Per  natura dovrebbero affrontare un lavoro in equipe offrendo le giuste idee di confronto per ottenere un’unica vera forza di pensiero, svolgendo così, lo specifico lavoro di approfondimento. I componenti al loro interno devono lavorare come un unico motore di ricerca per un sistema qualitativo ed innovativo della vita sociale, restando quanto più equiparati tra loro. Non devono sostenere alcun ruolo amministrativo. La sfida interna di ogni Partito deve, dunque, basarsi sulla qualità e sull’apporto delle idee di tutti e fra tutti i membri. Ecco la ragione per la quale si dovrebbe valutare la personalità e le capacità di ogni singolo componente in base alle caratteristiche ideative od in riferimento alle particolari esigenze di un programma, evitando di esaltarle al di fuori di ogni specifico lavoro di ricerca e valorizzando, conseguentemente, un chiaro lavoro di gruppo.

Diminuzione delle figure politiche parlamentari : 400 in Parlamento -200 in Senato..con revisione degli appositi compensi

un disegno sul quale impostare una ricerca di percorso.
Un percorso che vorrebbe costruirsi attraverso l’uso di appositi “piani programma” per la definizione di una strada che possa rendere più stabilità al Governo senza intaccare la guida Parlamentare sulla quale si fonda il principio della nostra Repubblica.

Uno studio per la ricerca di una politica funzionale per ruoli.

1- Una politica di ricerca e di idee diretta verso un consenso dei piani programma portati dai Partiti che indicheranno proprie liste (candidati legati al preciso patto programmatico) supportata da un sistema elettorale proporzionale. ( i Partiti, opportunamente ristrutturati, avranno quindi una precisa direttiva e cioè quella di studiare con i cittadini un programma per la nuova legislatura)
2-Una politica di amministrazione per l’attuazione del programma, con una lista di candidati amministratori per l'altra Camera, eletti attraverso un sistema più ristretto, poiché valutati per i propri meriti, le capacità ed i  loro curricula.

Nessun Partito potrà esprimere candidati per il ruolo amministrativo.

linee guida generali per un percorso da studiare
1) studio della divisione dei poteri della politica
2) studio della divisione operativa e funzionale delle due Camere
3) studio delle normative indicanti il ruolo e la funzione dei Partiti    
4) le nuove regole per la campagna elettorale
5) studio delle procedure per la presentazione dei “piani programma” 
6) la nomina e il nuovo ruolo del governo
7) la nomina e il nuovo ruolo del presidente della repubblica
8) studio sulle normative del sistema elettorale regionale
9) studio sulla nomina dei politici regionali e degli amm.ri comunali
10) studio sulla abolizione dei consigli provinciali e comunali




Un nuovo sistema che, pur somigliando a quello presidenziale, rimane distinto e vestito per cultura politica alla nostra Nazione. Un sistema che impegnerebbe un presidente della Repubblica, votato dal popolo, in un vero ruolo di garante più che di arbitro. Un sistema che proponga di offrire ai Partiti un assetto distinto indirizzato prevalentemente su un programma, dividendo i ruoli tra amministratori (slegati dai Partiti) e parlamentari (portatori di programmi) studiati con i loro Partiti. Un sistema che manterrebbe un modello bicamerale di funzionamento sobrio ed efficiente.



Proviamo ad immaginare…il nostro Stato democratico in cui un Presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo, pur con gli stessi poteri limitati, possa esercitare un fondamentale potere di controllo e garanzia del sistema elettorale,
Un Presidente che indice le elezioni attraverso una sorta di comunicato rivolto ai Partiti(essenziale che siano opportunamente regolati da altrettanta riforma che possa porli in un’ottica di maggior contatto con la cittadinanza) per la realizzazione dei nuovi programmi per la nuova campagna politica: -Per la futura legislatura dovranno quindi essere indicati i punti salienti del programma riguardanti ciò che si propone.(lavoro, salute, economia, tasse, scuola, università, infrastrutture etc..) (Il programma economico, seppur vincolato dalle regole imposte dalla comunità Europea, darà ai Partiti l’opportunità di agire nel metodo del percorso, rimanendo legato nel merito ai numeri).
Proseguiamo ancora teorizzando che…ricevuti e vagliati tali programmi, il Presidente…se coerenti ed in linea con i principi della nostra società e Costituzione…proponga la formazione della lista dei Partiti affiancata al documento programmatico dello stesso. Scelti i relativi Partiti..si determinerà una sfida elettorale incentrata esclusivamente sulle linee programmatiche.
I Partiti dovranno perciò rendersi convincenti nei confronti dei cittadini attraverso la condivisione del proprio programma per ottenere un reale consenso..anche in relazione al fatto che i propri eletti in Parlamento, non potranno usufruire di alcun potere amministrativo sulla governabilità…ma solo sulle idee e le relative normative. (se anche potessero prestarsi a compromessi, dovranno poter esprimere professionalità per l’adeguata comunicazione, indispensabile a far recepire il programma). 
Una sfida che potrà presentarsi più equilibrata con l’esposizione di dibattiti organizzati in favore della cittadinanza. Dibattiti che potrebbero integrare e responsabilizzare meglio i Partiti.

Diverso potrebbe invece essere il sistema delle elezioni degli amministratori che se eletti non avrebbero alcun potere sulla fase normativa del programma ..se non in termini di metodo nei punti più salienti. Essi dovrebbero proporsi previa verifica di un curriculum e relativi meriti amministrativi.
I curricula saranno attentamente vagliati dalla stessa Presidenza della Repubblica su base regionale. Inoltre dovrebbe esservi una suddivisione anche in relazione alle specializzazioni. La lista..definita dalla Presidenza della Repubblica, valuterà anche in base all’integrità…all’onestà..all’esperienza e la professionalità.
Dopo il vaglio suddetto..una lista sarà posta in votazione (anche regionalmente). Liste che nulla avranno a che fare con i Partiti. L’espressione del voto dei cittadini integrerà e sarà un’ulteriore garanzia sulla professionalità ed esperienza a prescindere dai curricula. (Nella fattispecie non vi sarà alcun bisogno di impegnare cifre per le spese poiché non si dovranno approntare dibattiti per l’apprendimento di un programma..ma, un’esclusiva conoscenza della figura che, di per sé, dovrebbe già essere promossa dall’affermazione nel proprio campo professionale. Chi si propone per una campagna elettorale per l’amministrativo, dovrebbe potersi riconoscere nel proprio ambiente lavorativo a prescindere dall’uso delle risorse pubbliche…eventualmente con l’uso esclusivo di quelle proprie.)

Sarà sempre un Organo dello Stato, sotto il controllo del Presidente della Repubblica ad occuparsi materialmente dell’organizzazione di queste liste. Saranno così eletti per ruoli e competenze Parlamentari ed Amministratori in modo diverso per un diverso modo di lavorare ed organizzare il cambiamento istituzionale.




Ma questo nuovo sistema non potrebbe mai prescindere dall’equilibrio e dalla garanzia affidata all’alta figura di un Capo dello Stato che, eletto dal popolo…potrà seguire un simile sistema col giusto metodo e la sicura garanzia di imparzialità e controllo.

      ruoli e competenze

a) Presidente della repubblica
vero garante del piano programma espressione della volontà dei cittadini
b) Camera politica parlamentare
aula per la definizione e le normative riguardanti il piano politico programmatico nazionale - in rapporto politico con le aule della politica regionale
c) Camera amministrativa
o senato amministrativo- esprime un governo in seno alla propria aula- controlla il governo nazionale – in rapporto con le amministrazioni comunali e (provinciali)
d) Governo
vero responsabile per l’attuazione del piano programma ed al centro dell’attività pubblica amministrativa in contatto ed a capo di tutti gli organi dello Stato
e)I politici parlamentari
Rappresentano il vero potere politico di base che determina un piano programma ed una politica del paese attraverso una maggioranza parlamentare ed un libero voto dettato dallo stesso piano programmaticocontrollano l’operato politico relazionandosi con le forze politiche delle regioni- non possono esercitare alcun ruolo pubblico amministrativo
f) Gli amministratori
sono gli amministratori di controllo del governo-controllano l’operato delle amministrazioni comunali e (provinciali)-non possono esercitare alcun ruolo politico parlamentare
g) I partiti
Ristrutturati e regolati da normative più utili al funzionamento di una efficiente democrazia,  rappresenteranno il vero raccordo tra i cittadini e la politica attraverso la sponsorizzazione dei piani programma e le continue ricerche per un miglioramento della politica sociale.
h) I piani politici di programma
sono espressione della volontà politica dei cittadini per un preciso impegno di tutto il tempo della legislatura- i piani politici regionali rappresenteranno, a loro volta, la volontà politica territoriale in ogni regione.

Un federalismo politico istituzionale

L’approfondimento dello studio di questa ricerca, in riferimento alle elezioni amministrative, vorrebbe tenere in considerazione il momento storico in cui si guarda con sempre maggior interesse ad un federalismo diretto verso le Regioni, ma con un occhio particolare ad una indipendenza amministrativa più logistico strutturale che politica in se.  Secondo questa valutazione, le regioni, hanno ancora necessità di una politica di base territoriale, poiché si impone per un bisogno legato alla loro storia ed una più diretta protezione delle attività culturali allacciate alla tradizione, quindi anche a protezione di una qualità. A differenza che in campo nazionale,  per le elezioni regionali, si impone un modello diverso

Sarebbe più utile favorire  maggiore forza alle amministrazioni comunali, rendendole come particolari Autorità controllate dalla Camera amministrativa.

Di contro non dovrebbero avere alcuna espressione politico parlamentare di supporto, per altro onerosa: I Consigli comunali e provinciali potrebbero essere eliminati poiché i cittadini tendono ad esprimere un voto più per un programma di funzionamento strutturale e di evoluzione della propria città, che di vero stampo politico.Tuttavia una indispensabile politica di controllo territoriale e di indirizzo potrebbe essere condotta da un Consiglio regionale attraverso elezioni politiche espresse per collegi provinciali. (Uno studio per un federalismo politico istituzionale tenuto dai Consigli regionali ed un federalismo amministrativo condotto dai Comuni con elezioni differenziate. Ambedue le politiche saranno collegate alle rispettive Aule nazionali. Non vi sarebbe più una costosa macchina amministrativa regionale. Un discorso a parte da studiare dovrebbe essere diretto verso le regioni a statuto autonomo.
A differenza che nel passato, in cui i Comuni tendevano a chiudersi in se stessi e non guardavano ad uno sviluppo in relazione agli altri Comuni del territorio ed in cui esigeva una particolare politica cittadina, le necessità odierne di una città guardano verso il futuro tendendo a muoversi solo in direzione di un programma amministrativo

 per la creazione di strutture adatte ed infrastrutture necessarie per offrire buoni servizi ai cittadini.
Le recenti iniziative per la eliminazione delle Province, risulterebbero valide e coerenti allo studio, sebbene l’indirizzo di questa ricerca sia quello di poter fornire a Comuni e Province 

più efficienti amministrazioni prive di un inutile potere politico locale che potrebbe rendere più lenta e compromessa l’azione operativa.

Ogni amministrazione deve comunque essere seguita da una linea di indirizzo politico  e da un necessario controllo per la garanzia del proprio operato. Un controllo politico che potrebbe essere affidato alla stessa Aula politica regionale. 

Inoltre l’abolizione della spesa dei consigli provinciali e comunali porterebbe nelle casse pubbliche miliardi di euro che potrebbero risultare più utili proprio alle infrastrutture locali.
I Consiglieri regionali eletti nelle province potranno assumere un controllo politico della loro provincia promuovendo ed ottemperando all’esigenza dei “piani programma” dei capoluoghi. Il controllo politico operato dalla Regione potrebbe essere fondamentale ed utile per un raccordo diretto con le amministrazioni locali nel rispetto dei 

                                                  “Piani Amministrativi Comunali”.

Piani rivolti alle esigenze dei capoluoghi promossi nelle elezioni amministrative comunali. Le amministrazioni comunali dovranno di seguito operare per eseguire il “Piano Amministrativo Comunale”  condiviso dai cittadini.


a)Un indirizzo politico regionale di controllo
b)Amministrazioni comunali al servizio dei  piani amministrativi.
c)Amministrazioni provinciali in raccordo tra le esigenze dei piani comunali e l’indirizzo politico regionale.

Studio sintetico delle linee guida per le elezioni comunali

a) abolizione dei consigli comunali.

b) Per Le elezioni amministrative nei Comuni si dovrebbe procedere attraverso elezioni dirette dei candidati al fine di  eleggere un amministratore (sindaco) e la squadra di tecnici amministratori da lui proposta.

c) i candidati alle elezioni amministrative comunali dovranno essere votati dai cittadini in base alle capacità tecniche ed amministrative, e non potranno esercitare attività politica parlamentare fino alla fine del loro mandato.

 d) i candidati a sindaco potranno essere scelti col vaglio della Camera aministrativa, operando sotto il loro controllo. Dovranno essere provvisti di appositi curricula a dimostrazione della loro capacità.

 e) i candidati dovranno presentare un “Piano programma amministrativo” nel quale si intendono esprimere proposte legate al funzionamento dei servizi e delle infrastrutture da realizzare in favore dello sviluppo della città. Le Amministrazioni potranno diventare vere autorità funzionali

f) il “piano programma” della città deve tener conto del piano generale di indirizzo politico regionale, che non potrà mai  vincolarlo sul piano tecnico. Il piano dovrà essere esplicito e preciso riguardo gli indirizzi richiesti dal bisogno dei servizi per la città.

g) ogni controllo politico per il rispetto della linea programmatica politica dei comuni verrà delegato all’Aula dei consiglieri della regione di competenza.



Lo studio continua...

Mezzogiorno e futuro



La vera domanda da porsi è…: se veramente, esiste ancora, una questione meridionale. Cioè, se ancora oggi nel terzo millennio, si possa parlare di una questione e se, con l’idea di un federalismo alle porte, si debba ritenere il Mezzogiorno come una faccenda ancora da risolvere. Poiché, se così fosse, non si potrebbe azzardare alcun progetto di federalismo che possa coinvolgere insieme la nostra Nazione. In poche parole: non sarà facile costruire un sano sistema che si voglia unito, se non si equilibra quel divario ancora esistente tra il nord ed sud del nostro Paese.
Ogni forma di progetto di federazione può rimanere utile se nel contempo si opera un piano strategico che veda un coinvolgimento pieno del Governo centrale e della Comunità Europea al fine di poter apprestare giuste ed indispensabili infrastrutture per il sud. Questa strada rende anche necessario il metodo con cui si affronta oggi un sistema di regioni federate, che non può vedere un’esclusiva applicazione di misure fiscali, ma anche amministrative ed istituzionali, tenendo in considerazione la storia, la cultura e le risorse delle singole regioni.


    Breve analisi storica

Al fine di dare più senso a questo importante argomento, è opportuno un cenno storico sulle motivazioni che diedero origine alla questione meridionale.
Nel passato la questione meridionale fu un grande problema nazionale dell'Italia unita. Il problema riguardava le condizioni di arretratezza economica e sociale delle province annesse al Piemonte nel 1860-1861. L’abolizione degli usi e delle terre comuni, le tasse gravanti sulla popolazione, la coscrizione obbligatoria e il regime di occupazione militare, creò nel sud una situazione di forte malcontento.
Da questo malcontento vennero fuori alcuni fenomeni: il brigantaggio, la mafia e l’emigrazione al nord Italia o all’estero. Dopo l’unità d’Italia vi fu un rigetto nei confronti del governo da parte della povera gente del meridione. Un rigetto che si manifestò fra il 1861 e il 1865 con il noto fenomeno del brigantaggio.
Il brigantaggio era localizzato in alcune regioni del sud dove bande armate di fuorilegge iniziarono vere e proprie azioni di guerriglia nei confronti delle proprietà dei nuovi ricchi. I briganti si rifugiavano sulle montagne ed erano protetti e nascosti dai contadini poveri; ma ricevettero aiuto anche dal clero e dagli antichi proprietari di terre che tentavano, per loro mezzo, di sollevare le campagne e far tornare i Borboni.
I briganti non furono "criminali comuni", come pensava la maggioranza al governo, ma un esercito di ribelli. Tenuti per secoli nell'ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza politica dei loro diritti e quindi non avrebbero mai potuto agire con mezzi legali. La politica di repressione adottata nei confronti dei briganti fu durissima. Il fenomeno venne debellato nel 1865. Ma le conseguenze furono un ulteriore aumento del divario fra nord e sud e un’esaltazione dei briganti la cui figura venne paragonata, nell’immaginario popolare, a quella di “eroi buoni”.
A seguire venne poi il fenomeno dell’emigrazione. Una volta debellato il brigantaggio le condizioni economiche e sociali dell’Italia meridionale non migliorarono. Anzi, il fenomeno dell’emigrazione si manifestò in maniera consistente a causa delle difficili condizioni di vita nel sud Italia.
Un fenomeno che aveva un chiaro motivo occupazionale. La difficoltà di trovare lavoro e di raggiungere un tenore di vita se non dignitoso almeno accettabile, portò ad un’ondata migratoria sia verso il nord Italia sia all’estero. 
Questo ci fa comprendere quanto l’emigrazione fu una logica conseguenze della mancata risoluzione, da parte dei governi italiani, della questione meridionale.
Vi furono diversi intellettuali ed uomini della politica che analizzarono le cause e denunciarono la questione meridionale. Fra i più importanti lo storico socialista Gaetano Salvemini. Egli denunciò l'arretratezza del Mezzogiorno  paragonandola al decollo economico avviato nel nord soprattutto da Giolitti. Quest’ultimo venne da lui definito “il ministro della malavita” per il cinismo con cui, con l’aiuto della mafia, approfittava dell’arretratezza e dell’ignoranza del sud per raccogliervi consensi. Ricordiamo che Gaetano Salvemini pubblicò sull'"Avanti" un articolo contro Giovanni Giolitti accusandolo di aver incentivato la corruzione nel Mezzogiorno.
Ma Salvemini considerava l’industrializzazione come estranea al fenomeno ed alle condizioni economiche e geografiche del sud e avrebbe, invece, voluto che si valorizzasse la vocazione agricola del meridione. Salvemini avrebbe quindi sperato che il governo promuovesse la vocazione agricola del sud Italia. Chi teneva in quel momento le redini del Paese tuttavia non fu dello stesso avviso e agì a modo suo optando per leggi speciali e per interventi localizzati.
Da quel momento, con l’uso delle leggi speciali, si procedeva verso un sistema di sostentamento verso il meridione, quasi sottovalutando l’importanza di favorire uno sviluppo logico. E’ un momento storico che caratterizza il “problema” dello sviluppo del mezzogiorno, ponendolo sotto forma di  una “questione”.
Le leggi speciali prevedevano la concessione degli sgravi fiscali alle industrie e l’incremento delle opere pubbliche. Questo portò ad una crescita della spesa statale che andò ad alimentare i ceti improduttivi e parassitari. Tali ceti garantivano voti alla maggioranza al governo e in cambio ricevevano appalti di opere pubbliche insieme ad altri favori. Al nord, invece, si andava sviluppando una gestione capitalistica delle aziende agricole che aveva nel Piemonte e nella Lombardia le regioni trainanti. Questo modello gestionale ha sempre previsto l'investimento di cospicue quantità di denaro per l'ammodernamento costante degli strumenti di produzione delle aziende agricole con la conseguenza di un costante incremento della produzione e la progressiva meccanizzazione del lavoro. Un sistema che veniva incentivato dalle politiche liberiste in vigore nel Piemonte sabaudo contribuendo a sviluppare una borghesia imprenditrice, disposta ad investire parti consistenti dei propri profitti per l'ammodernamento delle imprese che aveva sempre teso ad estinguere i comportamenti tipici dell'aristocrazia terriera, la quale fondava la propria ricchezza su posizioni di rendita.
La situazione nel meridione d'Italia, si era sempre presentata in modo opposto. L'agricoltura non aveva mai conosciuto alcuna trasformazione di tipo capitalistico, dominando un tipo di organizzazione e di gestione di chiara origine feudale.
Alla media e piccola proprietà diffusa nel nord Italia si era contrapposta al sud l'immensa distesa del latifondo, di proprietà di una borghesia assenteista. I vastissimi appezzamenti di terreno venivano concessi in affitto ai contadini o coltivati facendo ricorso alle masse di braccianti, seguendo tecniche in uso da secoli. La borghesia meridionale non è mai stata disposta a reinvestire i propri profitti nelle imprese agricole, che pertanto rimanevano in condizioni di arretratezza produttiva rispetto al nord Italia.
L'annessione piemontese non aveva infatti portato per loro nessun miglioramento della situazione, lasciando immutati i rapporti di forza tra popolo e i ricchi borghesi proprietari della terra: dall'unità anzi erano venuti per loro solo danni.
La crisi agricola e l'assenza pressoché totale di sviluppo industriale resero dunque evidente il deficit economico meridionale e indussero intellettuali e uomini politici ad interrogarsi sui motivi di questa persistente arretratezza che non accennava a diminuire ma anzi sembrava amplificarsi con il trascorrere degli anni.
Molti furono tra politici, imprenditori, e uomini di pensiero ad occuparsi nel tempo delle problematiche inerenti il mezzogiorno d’Italia : Sonnino, Fortunato, Demarco, Nitti, Salvemini, Sturzo.
Don Luigi Sturzo fu uno dei più lucidi interpreti di questa realtà nei primi anni del novecento. Il fondatore del Partito Popolare sostenne la necessità di difendere e rafforzare la piccola proprietà contadina meridionale, in cui vedeva l’unica forza capace di opporsi con successo ai latifondisti assenteisti.
Sturzo intendeva favorire la nascita e lo sviluppo “di quel ceto medio economico, che era molto limitato nel mezzogiorno, e che era uno dei nessi connettivi più saldi della società.” Con questa politica egli si opponeva sia al conservatorismo di destra che al rivoluzionarismo di sinistra.
Se Sturzo in perfetta sintonia con l’ispirazione cattolica del suo partito rifuggiva la conflittualità di classe come strumento di trasformazione del Mezzogiorno, Antonio Gramsci si muoveva in direzione esattamente opposta. Il fondatore del partito comunista italiano s’ispirava ai principi rivoluzionari leninisti e agli esiti della rivoluzione russa per proporre la rivolta delle classi contadine come unico strumento di emancipazione del meridione. Con le riflessioni di Gramsci finiva la prima parte del dibattito sulla questione meridionale, perché il fascismo, pur approntando misure speciali per cercare di risolvere la situazione, non fu mai disponibile ad una pubblica e sincera disamina della questione. Solo con la nascita della Repubblica, il dibattito riprenderà vigore.
Sembra comunque esservi sempre stata una necessità di combattere il diffuso razzismo verso i meridionali  accusati spesso di pigrizia e indolenza e di sfatare il mito del sud come terra opulenta. L’arretratezza del meridione era, in passato, in parte dovuta alle difficoltà ambientali e concrete che dovevano affrontare i suoi abitanti, come i terreni argillosi e cretosi, le lunghe siccità, la malaria e l’isolamento geografico. Ovviamente si era tuttavia consapevoli che, questi argomenti,  non erano sufficienti per rendersi conto delle difficoltà in cui versava il meridione.


        ANALISI ODIERNA


Queste premesse storiche, non a torto, hanno indicato la logica per la quale il Sud non è potuto crescere e la ragione per la quale sia sempre stata accusata una certa borghesia meridionale per una precisa mancanza d’intraprendenza economica. Oggi, con la evidente situazione economica mondiale e le problematiche  conseguenti l’unificazione europea, tutto ciò risalta maggiormente.. destando naturali preoccupazioni.

Dopo l’ingresso del nostro Paese in Europa, il problema del Mezzogiorno non può che essere affrontato nel contesto più ampio di un Parlamento ed di un Governo Internazionale. Un problema che avrebbe, già da tempo, dovuto impegnare meglio le forze politiche governative del nostro Paese col fine di riuscire a soddisfare un primario bisogno di occupazione.

I forti contrasti regionali del nostro variopinto Paese hanno sempre richiesto una distinta autonomia locale attraverso l’uso di un federalismo amministrativo suggerito da un pensiero politico. Questa è anche la ragione per la quale può sembrare anomalo impegnarsi oggi in un federalismo fiscale trascurando l’aspetto amministrativo e storico culturale  di un sistema regionalizzato come il nostro.
Alcune Regioni del sud del Paese si trovano oggi in netto svantaggio rispetto ad altre e questo divario si sarebbe dovuto ridurre, sicuramente prima dell’ingresso del nostro Paese in Europa, con un’azione politica nazionale logicamente coordinata con le amministrazioni locali.

La fase di costruzione per l’unificazione non sta certo dando i risultati sperati. E’ venuta a mancare  quella azione preventiva e di studio che doveva mirare a salvaguardare le culture e le ricchezze naturali delle comunità meno progredite che vedono oggi aumentare il divario con i Paesi più ricchi.
Tra accordi quadro, contratti d’area, prestiti d’onore, contratti di programma, patti territoriali e la lunga serie di proposte che gli ultimi governi hanno continuato a sfornare, si è finito col non risolvere alla base il vero problema. In verità, il nostro Mezzogiorno rimane ancora privo di interventi studiati con metodo, utili e tecnicamente elaborati in base alle esigenze primarie delle risorse del territorio e delle poche infrastrutture operanti. Appare inutile la lunga serie di agevolazioni finora impiegate se non si interviene alla base con l’impegno necessario per la creazione dei servizi adatti allo stesso tessuto territoriale ed imprenditoriale.
Assai poco potrà interessare l’enorme flusso di denaro che potrà essere impiegato per un’azione di sviluppo che non sembra mai coordinata col giusto metodo e la opportuna responsabile conoscenza. 

Certe strane ed illogiche metodologie, a volte anche strumentali, sono esempi emblematici del cattivo funzionamento del nostro sistema a beneficio di un migliore sviluppo delle Regioni del Sud.
I Governi sembrano aver proceduto solo verso un “fine” ben preciso che apparendo sempre più un miraggio, è stato determinato unicamente  dal numero di posti per l’occupazione: Sarebbe illogico arrivare ad un “fine” considerato solo occupazione senza una specifica realtà produttiva che ne rappresenta il vero “mezzo” Risulta invece abbastanza logico che il giusto intervento, attraverso una chiara realtà economica, comporti una conseguente solida occupazione.

Tuttavia, nella fattispecie, si continuano a percorrere strade senza l’importante premessa di una specifica attività che miri ad una realtà produttiva più adatta al luogo e più ricettiva al particolare indotto. Nel passato di una prima repubblica, attraverso l’istituzione della Legge n°64, si è provato a fornire apposite strutture pubbliche, ma anche aiuti finanziari per tutti coloro che avessero voluto apportare nuove attività e lavoro nelle Regioni del meridione. Se le conseguenze da un lato sono state quelle di cercare di fornire infrastrutture poco adatte e non complete rispetto al resto del territorio nazionale, dall’altro lato, non avendo ben pianificato uno specifico studio preventivo, si è finito col dare spazio ad investimenti spesso insensati o non giustamente appropriati alle risorse del territorio.

L’apposita Cassa del Mezzogiorno che fu creata per una migliore progettazione e una spesa controllata, avrebbe potuto avere un ruolo importantissimo ancora oggi. La sua improvvisa scomparsa ha finito con arrecare maggior danno all’economia del Sud del Paese. Essa andava sicuramente ridisegnata per una migliore efficienza ed una minor presenza politica che ha finito, nel tempo, col crearvi un forte centro di potere.
Per il Sud abbiamo già assistito ad un falso e non appropriato sviluppo nel settore petrolchimico, oggi assistiamo ad uno sviluppo  supportato da una new economy spesso instabile dove sarebbero dovute servire strutture e conoscenze più adatte. Oggi si sfruttano spesso agevolazioni senza un vero arricchimento per il territorio. Agevolazioni che si prestano spesso a pura speculazione.

Bisognerebbe operare una volta per tutte scelte decisionali che appariranno certamente traumatiche ma indispensabili e comunque necessarie per un indirizzo che dovrà guardare ad un nuovo futuro. Un futuro che ha bisogno di idee e procedure appropriate. 
Si dovrebbero poter attuare procedure più costruttive anche se più lunghe, al fine di creare una economia valida senza inventarsi realtà occupazionali prive di qualunque realtà produttiva!-“Dalla efficacia delle azioni suggerite da idee adatte e scelte concrete, dipenderà l’efficienza qualitativa delle stesse imprese locali che rappresentano il vero avvenire di questa parte della Nazione”

Sarebbe doveroso, da parte di tutte le nostre forze politiche, esaminare con molta più attenzione l’insieme di queste problematiche, prima di proiettarsi in azioni che finirebbero col sortire i soliti effetti di tamponamento o che potrebbero suscitare  ulteriori reazioni sfruttate in seguito nelle campagne elettorali nel gioco esasperato di una bassa furbizia politica.
Il nostro Mezzogiorno dovrebbe richiamare l’attenzione di tutti ma potrà veramente sensibilizzare le forze politiche solo quando la stessa politica riuscirà a liberarsi dal profondo cinismo e dalla staticità nella quale si è assopita. Attraverso la dovuta attenzione ed un senso più etico di una politica libera dai vincoli, ci si potrà impegnare positivamente in un problema che non potrebbe mai esser risolto senza una equilibrata conoscenza delle risorse, della cultura e delle idee.


      

    UN METODO FUNZIONALE

       idee e valori territoriali

Le idee in proposito non vogliono apparire presuntuose, ma supportate da esperienze dirette di chi vive e lavora in questa parte del Paese
Non si può non manifestare una forte perplessità di fronte ad un delicatissimo problema che si continua ad affrontare con tale ostinata disinvoltura e che finisce come al solito col far illudere chi di lavoro ha veramente bisogno.

Sembra improponibile il continuo uso delle inutili metodologie che fin oggi non ha fatto che allontanare di più il Sud dalla forte e distinta realtà del nord. Metodologie che hanno sempre considerato il fine come “posti di lavoro”: Se il “fine” deve essere identificato nel numero dei posti di lavoro, non potrà che esservi in seguito una maggiore conseguente disoccupazione. 
Malgrado appaia tardivo oltre che aggravato da  infelici interventi del passato, si può provare ad operare in favore di uno sviluppo del meridione solo attraverso una procedura che comporta una serie di fasi indispensabili ma costruttive. Non si potrebbe perciò, affrontare un simile problema senza far uso del metodo, dei valori e di un preciso impegno.

Si sa bene che per far ciò occorrono delle idee, ma queste non possono non avere un riscontro con la realtà e dovranno perciò mirare alla creazione di una economia più attinente: ”lo sviluppo migliore di ogni Paese passa necessariamente attraverso il riscontro con le proprie naturali risorse, esse sono la base principale di un futuro processo economico proseguito dalla fattiva opera di chi poi vi lavora”.

Partendo da questa importante considerazione, dobbiamo tenere nel giusto conto che la prevalenza del territorio del Sud della nostra Nazione è naturalmente portato per ricevere turismo, per esportare prodotto agricolo ed ittico. Queste voci assieme ad alcuni prodotti tipici artigianali, dovrebbero rappresentare i settori principali da tenere in considerazione e potranno essere gli importanti indirizzi attorno ai quali sarà consequenziale costruire una serie di servizi a supporto che offriranno all’indotto altre occasioni per le più giuste attività. Considerata però l’eterna mancanza delle adeguate infrastrutture di base adatte a qualsiasi sviluppo, sarebbe obbligo del nostro Governo favorirne la realizzazione attraverso un immediato efficiente piano d’investimenti poiché qualunque incentivo non sarà mai in grado di compensarne la mancanza.

La ricetta migliore quindi non sembra quella di una legge che permette finanziamenti privati diretti verso l’illogica nascita di realtà produttive inutili, ma un intervento pubblico studiato al fine di realizzare infrastrutture adatte e più utili.

 “Il territorio è uno dei fattori su cui maggiormente si misura la competitività di un’area, ed il Sud non avendo adeguate infrastrutture, non potrà mai avere opportunità di sviluppo”: Grandi bacini - opere portuali ed aeroportuali - strade di collegamento - ferrovie - autostrade - opere di rimboschimento - depuratori – infrastrutture da diporto - impianti appositi ecc., sono le immediate opere in mancanza delle quali il nostro Mezzogiorno, non potrà mai vedere sbloccato il proprio avvenire. Queste opere di primaria importanza dovrebbero essere opportunamente studiate attraverso un coordinamento tra le Regioni pertinenti e la Presidenza del Consiglio ma anche con il controllo della Comunità Europea.
Si dovrebbero stabilire le scelte necessarie evitando spese superflue e per alcune di queste infrastrutture e per la loro gestione, si potrà fare uso di capitali privati attraverso la costituzione di società miste con le amministrazioni pubbliche.

Un intervento necessario dovrebbe anche essere quello dello smantellamento di alcuni squallidi impianti che non potranno più avere un futuro in questi Paesi dove il naturale clima ed il paesaggio spingono in direzione di ben altre attività. Se un primo intervento dovrà spingersi verso una ricerca per il riscontro più appropriato alle risorse delle singole Regioni del Sud e nel contempo verso l’individuazione e la realizzazione delle necessarie infrastrutture, il secondo potrebbe essere quello di spingere determinate aziende a credere di più nella propria attività con i necessari incentivi e non più con l’uso di contributi o finanziamenti agevolati.
Sarebbe opportuno riflettere su come abbia potuto incidere nelle abitudini del tessuto imprenditoriale di tutto il meridione, l’assurda procedura che ha offerto possibilità e grandi aiuti anche a chi non ha mai avuto una realtà produttiva o commerciale valida.

A chi volutamente ha usato la 488 per la nascita di realtà produttive improprie per il tessuto locale. Il tutto con l’aiuto di leggi operate dai governi succeduti che non si sono mai immedesimati in profondità nel problema, né nel merito, né nel metodo. Forme assistenziali e di sostentamento che dovrebbero essere portate ad esempio per l’inutile risultato prodotto all’economia di tutto il meridione ma anche per l’errata abitudine a cui sono stati educati molti cittadini.

Si dovrebbe per sempre sradicare l’assurda piaga culturale che ha mirato a garantire delle attività improduttive solo per il mantenimento di chi vi lavorava o per l’arricchimento di chi ne poteva approfittare. La nuova procedura  dovrebbe essere legata ad un dovuto intervento per l’organizzazione di conferenze, riunioni e dibattiti che possano meglio informare sia le forze imprenditoriali, sia i cittadini sul particolare studio e sulle preferenze in direzione del migliore sviluppo: Andrebbe incrementata con forza la cultura d'impresa, eliminando ogni tipo di intervento assistenziale perché ciò ha contribuito a diseducare giovani e meno giovani all'idea che il lavoro deve essere produttivo e che il prodotto deve essere competitivo sul mercato.

Non si dovrebbero più sostenere attività improduttive solo per garantire livelli occupazionali!
La nuova fase procedurale dovrebbe invogliare le utili e produttive attività ma anche individuare incentivi adatti, veloci, più efficienti ed un costo del denaro più consono al tessuto imprenditoriale di chi opererà nel Mezzogiorno. Mezzogiorno che, se pur attivato dalle indispensabili infrastrutture, necessiterà solo di una decisa spinta iniziale, come per un’auto che avendo ormai un buon motore ed una solida strada davanti a se, potrà continuare a correre con propria inarrestabile autonomia.

Si avrà forse uno sviluppo più lento ma decisamente più stabile e solido determinato all’inizio dal forte incremento di lavoro portato dalla miriade di cantieri operanti ai fini della realizzazione delle infrastrutture a carico dello Stato ed ove occorresse, con l’apporto del capitale privato. In questa fase saranno automaticamente coinvolte le forze lavorative dell’indotto facenti capo alle imprese locali mentre in una fase successiva, le stesse imprese, usufruendo delle nuove infrastrutture e dei necessari incentivi, cominceranno a marciare da sole senza più alcun aiuto da parte di uno Stato che non avrà ormai nessun obbligo a carico delle Regioni del Mezzogiorno.

Una procedura che troverebbe davanti diversi ostacoli e non ben vista nell’era del terzo millennio, un’era che ci vede ormai in una realtà economica mondializzata che, come tutti temiamo, difficilmente vorrà dare ulteriori opportunità alle regioni svantaggiate del Sud.
vincenzo Cacopardo