24 set 2012

Le ragioni della crisi economica



premessa

L’attuale crisi economica è il risultato di un sistema finanziario e bancario mondiale che non può più funzionare. Molti hanno sempre dato la colpa di tutto ciò al capitalismo e ad un certo liberismo guidato da potenti uomini d'affari, i quali, non si sono mai curati delle possibili ripercussioni sull'economia reale e quindi delle crisi che si sarebbero riversate nei vari settori produttivi, dimostrando solo di voler giungere all'accumulazione di ricchezze personali, mediante operazioni speculative di alta finanza.

E’ a tutti noto l’esempio della recente crisi dei mutui: Le banche avevano fatto diventare una pratica comune la cessione di mutui per l'acquisto di immobili a persone che erano chiaramente impossibilitate ad estinguere il debito. Nel momento in cui, chi aveva contratto il debito, si è visto alzare i tassi di interesse, ha capito che non sarebbe stato più in grado di sostenere il pagamento delle rate e le banche hanno proceduto immediatamente alla confisca dei vari immobili.

Ma gli istituti bancari per evitare processi di svalutazione degli immobili si sono garantiti, cartolarizzando, detti crediti: Essi trasformarono i prestiti concessi in obbligazioni, vendute, a loro volta, ad altre banche o istituti, garantendosi nel futuro il pagamento degli interessi a garanzia. Nella realtà, poi, gli interessi non sono stati mai completamente pagati, per l’incapacità di poter estinguere il proprio mutuo. Le banche, al contrario, accumulando beni reali, come gli immobili confiscati, si sono rinforzate anche tramite una liquidità interna dovuta alla vendita delle obbligazioni, arricchendo gli influenti istituti bancari centrali.

Il problema principale sta nel fatto che la politica non si è mai veramente interessata a regolamentare questo sistema finanziario e bancario. In teoria si può  affermare che una delle principali cause della povertà sia dovuta alle banche, ma ciò non sempre rispecchia la realtà, anche perché le motivazioni dei fenomeni come la povertà sono molteplici e molto più legate a cattive scelte politiche. Tuttavia non v’è dubbio che l’azione degli istituti bancari continua ad influenzare notevolmente determinati processi come l’inflazione.


In ogni caso queste banche tramite quello che può essere definito il monopolio della massa monetaria, possiedono la capacità di indebitare interi Paesi sotto la morsa del debito pubblico. Se poi, i tassi sono troppo bassi, la quantità di moneta aumenta provocando l’inflazione. Ma anche nel caso contrario le banche riescono ad arricchirsi, in quanto, se la quantità di moneta è bassa, si ha la recessione e quindi la banca si appropria di beni reali confiscati, grazie alle ipoteche imposte come garanzie ai prestiti non estinti.
Nel sistema bancario europeo sembra essersi creato un grande conflitto di interessi: qualsiasi manovra finanziaria che favorisce l’euro, danneggia le altre monete ed allo stesso tempo l’indebolimento di dollaro e sterlina danneggia la maggior parte delle nostre banche che ultimamente hanno investito molto nei gruppi bancari anglo-sassoni.

Per superare questa situazione si dovrebbe rilanciare l’economia reale e di questo è proprio la politica che deve farsene responsabile.

Un meccanismo perverso si verifica anche quando le banche prestano denaro virtuale ai Paesi del Terzo Mondo chiedendo in cambio della cancellazione del debito, che il Paese non sarà mai in grado di estinguere, beni preziosi. Infatti non è un caso che la maggior parte delle miniere di diamanti africane appartengano alle banche europee. Molto di questo denaro che viene prestato si può dire che sia virtuale, in quanto il sistema monetario si valuta in base alla fiducia che in un dato momento il mondo accorda a quella data moneta.

Alla base della crisi c’è quindi un problema del sistema bancario, finanziario e monetario che sta ormai giungendo al collasso. Ma anche aiutare l’economia reale rappresenterebbe un limite se l’azione dei governi non andasse oltre. Per porre fine in maniera definitiva a tutto ciò e necessario partire dalla radice del problema, dalla sua causa primaria e cioè da un sistema bancario malato che deve essere assolutamente riformato.

"La crisi finanziaria si origina e si sviluppa per l'eccesso di indebitamento che per oltre due decenni è stato consentito a banche, imprese e famiglie: per evitare che l'eccesso di debito privato potesse avere effetti dirompenti sull'economia reale, si è dovuto far crescere il debito pubblico. Paradossalmente manovre nate per ridurre l'indebitamento ed il rapporto debito/PIL hanno sortito l'effetto opposto. Quando un paese entra in questo vortice, il pessimismo si autoalimenta, l'aumento degli spread comporta un aumento del costo del debito e di conseguenza del deficit.

Per scongiurare questo nuovo rischio occorreva già da tempo, a livello europeo, applicare una regolamentazione più rigida sulla speculazione finanziaria, invece, anche il nostro Paese, ha finito col seguire modelli esterofili come quello americano, che oggi rischiano la bancarotta. Il problema che stiamo vivendo e per il quale si potrebbero pagare le conseguenze nel prossimo futuro, è il rischio di una lunga recessione e quindi di una permanente diminuzione del livello di produttività del paese, senza crescita e con un conseguente calo del PIL.

Ma senza crescita vi è maggiore disoccupazione! E l’aumento dell’occupazione può portare conseguenze ben peggiori. Qualcuno  torna a parlare di nuova tassa patrimoniale da introdurre per scongiurare il peggio. Qualcun altro si dice contrario. In generale questi provvedimenti non garantiscono sempre giuste e fattive soluzioni. È sempre più frequente, in questi periodi di crisi economica e finanziaria, leggere di timori dovuti a possibili rischi di “fallimento” di uno Stato. Una preoccupazione forte in un’Unione dove diversi Paesi hanno deciso di unire le loro sorti all’Euro che rappresenta sicuramente una credibile difesa, ma anche un motivo di ansia, per i Governi e per la Banca Centrale Europea, per gli alti costi dei continui attacchi speculativi che cercano di trarre profitto dalle recenti difficoltà contingenti.

La reputazione dei Governi e la loro politica potrà influenzare l’economia. Un Governo che non è in grado di assumere impegni vincolanti relativi alla propria politica futura non sarà più credibile.
Nell’attuale situazione di crisi, è indispensabile poter anticipare gli scenari futuri e prevenire ulteriori perdite: In presenza di forti deficit fiscali che potrebbero rendere difficoltoso il rimborso del capitale costringendo a ricorrere a forti aumenti della tassazione, anche la continua emissione di titoli governativi potrebbe essere considerata a maggiore rischio di default. L’Italia, tra i primi emittenti al mondo di titoli di Stato, ha una pesante posizione debitoria interna rispetto al PIL che la espone in maniera particolare al rischio di credito.



        RIDIMENSIONAMENTO E        REGOLAMENTAZIONE


“Quando ci si appresta a fare una qualsiasi critica al pragmatico procedere di ogni percorso dell’economia, si rischia di essere male interpretati o addirittura essere presi per ignoranti e poco realisti. L’economia appare come una realtà legata ai numeri, una realtà della quale non si può non tener conto.



Queste parole scrissi nel mio breve libro “la politica ed il cambiamento” edito nel 99.


Aggiunsi: “Non dovremmo comunque mai dimenticare che essa è stata studiata dall’uomo, ma anche per l’uomo, per un benessere, ma soprattutto per il suo benessere.”

E poi: ”Vi è il bisogno di una regolamentazione e la necessità di un ridimensionamento come un vuoto da dover colmare da parte di una politica internazionale al fine di poter  guidare un processo evolutivo dell’economia con un’attenzione diretta ad un controllo generale per poter proteggere gli interessi di ogni cittadino.”
E ancora: A volte viene da domandarsi se non occorra fare un’analisi più severa e se non sia utile dare un giro di vite fornendo regole di contenimento ad un sistema che, per certi versi, sembra aver preso il sopravvento su tutto e che potrebbe incepparsi con rischi elevatissimi per tutta un’economia mondiale. 
"In un futuro non lontano potrebbe arrivare il momento di fornire nuove idee a supporto e dovrà essere proprio la classe politica ad indicare una diversa direzione al sistema. E’ proprio di idee e di regole chiare che si ha bisogno in questo difficile campo. Ma anche regole e nuova cultura suggerite da chi avrebbe un dovere di controllo su una economia che incide fin troppo sugli equilibri e sugli interessi degli stessi cittadini.”



Sono passati quindici anni da quando scrissi queste parole e, nonostante io non sia certamente un tecnico ed abbia una scarsa conoscenza della dottrina economica, mi accorgo che esse suggerivano, con una certa lungimiranza, possibili contenimenti ai vari pericoli incombenti.


Anche in questo caso, come in altri, la politica  del nostro Paese ha preso la strada più breve, comoda e meno impegnativa dell’esterofilia, agganciandosi ai sistemi finanziari Americani e dei paesi più ricchi, dimenticando l’approfondimento della problematica anche in relazione al tema sociale e culturale e dimenticando il pericolo imminente di un possibile default.  L’indirizzo politico degli istituti bancari del nostro Paese sembra non prendere alcuna strada: Mai una economia di sviluppo in linea con la realtà, nessun impegno  adeguato verso un intervento a favore dello sviluppo delle aziende.


Le banche dovrebbero tornare a fare le banche! Oggi potrebbero entrare in “equity”  investendo per e con le aziende, sposando, per un periodo di tempo la loro crescita e portandole verso un reale sviluppo.


Grandi esperti e luminari dell’economia mondiale continueranno a dare il loro indispensabile contributo, ma non potranno che essere le forze della politica di ogni Paese a fungere da guardiani e poiché il problema è  ed è sempre stato di carattere internazionale, toccherà ad una politica internazionale studiare, organizzare  e coordinare con l’obiettivo di assicurare stabilità economica e livelli occupazionali più corretti.


Vi sono grandi temi di politica che non possono che essere valutati, controllati e guidati a livello internazionale, se non mondiale, uno di questi è il tema dell’economia, altri sono: il fenomeno ecologico ambientale, l’immigrazione e la criminalità organizzata. Per questi temi, qualunque scelta operata da ogni singolo Paese, non potrà mai sortire un utile risultato senza l’apporto e la condivisione di tutti gli altri  Paesi dell’area internazionale.


La problematica dell’economia è globale e necessita di un impegno e di una immedesimazione di tutte le nazioni. Il compito di tutte le forze politiche mondiali rimane dunque fondamentale, in uno studio che potrà vedere, in ottica futura, un processo di una economia forse un pò meno globalizzata, ma con l’apporto di una indispensabile regolamentazione.
 

Restando poi nel campo, non possiamo nemmeno trascurare un accenno alle relative problematiche fiscali del nostro Paese. Anche qui il nostro sistema si muove non ponendosi di fronte al fatto che il metodo, ormai assunto, non potrà che spingere le diverse forze lavorative e gli stessi cittadini a non procedere più in direzione di nuove intraprese.

La mentalità di molti di questi cittadini si è ormai costruita in risposta ad uno Stato che fa uso di un sistema vecchio e che appare come l’oppressore che non tiene in nessuna considerazione né il territorio in cui fioriscono le attività di una società, né il bene stesso della sua collettività…Uno Stato che fa di tutta l’erba un fascio, non accorgendosi che, senza un vero metodo fiscale funzionale alla stessa società che intende governare, non potrebbe avanzare alcuna pretesa di esigere. Il risultato potrebbe essere quello di molti cittadini e diverse piccole imprese che, oppressi dal pesante sistema fiscale che li stritola, finirebbero col salvare la loro modesta situazione economica con l’uso sempre più frequente di espedienti illeciti.

Sarebbe più equo e costruttivo, ad esempio, aiutare la società attraverso un più corretto sistema che possa dare a tutti la possibilità di scaricare ogni spesa e, soprattutto alle imprese in via di partenza, precisi incentivi fiscali. In molti non capiscono ancora la ragione per la quale non si debba avere la possibilità di scaricarsi i costi che incidono notevolmente sulla spesa sociale del cittadino.
Con la ricerca di nuove metodologie fiscali, potremmo spingere a far pagare le giuste tasse a chiunque  contrastando o, almeno, frenando una mentalità di chi oggi ritiene di subire ingiuste e spropositate richieste di tributi da parte di uno Stato che non deve apparire più vessatore agli occhi del cittadino.

Una politica di Stato che  deve avere come scopo principale quello di aggregare in modo omogeneo la società che governa attraverso uno sguardo più attento verso le stesse comunità che amministra, (anche se a volte non direttamente) immedesimandosi con più attenzione nelle problematiche della loro crescita e creando, in tal modo, più equi rapporti e metodologie fiscali. 
vincenzo Cacopardo

 





 









19 set 2012

Lo Stato, gli effetti sociali della modernizzazione e la sicurezza




“premessa”
"Oggi non si può parlare di politica di Stato senza un accenno al sociale e senza  relazionarsi con la psicologia della popolazione, né si possono spiegare i fenomeni sociologici metropolitani senza fare riferimento a quanti studiarono ed approfondirono tali temi."

Georg Simmel, nella seconda metà dell'ottocento, fu il primo ad interessarsi dal punto di vista sociologico dei fenomeni legati ai grandi agglomerati metropolitani ed allo studio delle forme dell'interazione, analizzando con impegno gli effetti sociali del progresso e della modernizzazione. Riguardo ai condizionamenti culturali, fu il primo a sostenere la necessità del superamento della psicologia individuale in quanto l’uomo va compreso come essere sociale: gli individui con la loro attività comune creano la realtà oggettiva delle forme culturali, ma sono pure il prodotto di queste forme, nel senso che creano automaticamente uno spirito  “oggettivo”.
Per Simmel, la realtà sociale, non veniva intesa come realtà autonoma rispetto agli individui, né come somma di individui. Egli affermava che l’attenzione è sempre attratta, non tanto dalla società come situazione comune, quanto piuttosto da ciò che differenzia gli individui l’uno dall’altro. La solidarietà, la sottomissione, la superiorità, la concorrenza, sono tutte forme di sociazione che noi possiamo  riscontrare prescindendo dal loro realizzarsi in unità sociali concrete e specifiche. L'ambiente perfetto per questa società fu, per lui, la grande città: L'uomo diventa un piccolo ingranaggio rispetto all'enormità di tutto il sistema, ed è costretto ad aumentare la sua attività nervosa per adattarsi ai veloci cambiamenti tra sensazioni esterne ed interne.

Fu poi il giovane Weber a contribuire alla elaborazione di una nuova teoria sociologica, in grado di unire lo sviluppo sociale, con la teoria della conoscenza scientifica e la pratica politica. Un obiettivo culturale basato sulla conoscenza, per cui la volontà di una nazione, rappresenta la legge fondamentale del suo sviluppo sociale. 
Ricollegandosi a Simmel, Weber  riprendeva la discussione del metodo sociologico sulle scienze che si occupano di fatti concreti che possono avere una loro legittimità. Weber non credeva ai valori universali ed in tal senso, per lui, la sociologia deve circoscrivere il suo compito al rapporto tra valore ed azione che ne discende o azione che al valore si riferisce.
Le analisi metodologiche di Weber sfociarono nella costruzione della più nota tra le teorie sociologiche, la costruzione del "tipo ideale. Noi, ad esempio, definiamo una classe, il potere, la burocrazia, ma in realtà non esistono classi, potere, burocrazia: esistono singoli esseri umani, singoli e specifici poteri, singoli burocrati.

Con la teoria dell'azione sociale e della relazione, Max Weber introduce, con Simmel, uno spostamento della sociologia. Il soggetto diventa fondamentale e lo diventa in relazione all'altro uomo. La società non è un blocco in cui il singolo ha scarsa importanza: esiste essenzialmente nei rapporti tra i singoli.
In ciò si inquadra anche il particolare spirito che ogni attività politica deve avere verso il funzionamento di ogni società civile.



LA CULTURA DI STATO ED IL POTERE


“Si innesta automaticamente un dialogo sulla cultura di Stato e sul potere e la logica distribuzione dei valori.”

Oggi, sono considerate politiche tutte azioni di influenza delle grandi industrie, delle banche, dei sindacati e dei gruppi di pressione sull’andamento e sulla guida del governo. Si nega la visione tradizionale di un epoca secondo cui la scienza politica, fondandosi sul concetto di Stato, si occupava solo dei rapporti tra governo e società, sostenendo, invece l’attuale politica, su un preciso concetto di potere.
Gli individui che hanno una posizione alta nella distribuzione di ciascun valore, sono le èlites.  Le èlites conservano la propria posizione di valore anche esercitando una celata violenza, controllando i beni materiali, e manipolando i simboli. Si può sostenere che la distribuzione dei valori nella società sia rappresentabile con modelli a forma di piramide, per cui pochi dispongono di grandi quantità di valori e i molti, (la massa), non ne dispongono.

I molti che continuano a rivendicare la cosiddetta emancipazione degli oppressi o il riscatto del lavoro, sono spesso ostaggio dei tanti che dichiarano di volerla combattere. Oggi, lo spazio di manovra per chi critica la modernità e lo sviluppo delle odierne democrazie, è secondario ma sicuramente più diffuso.

Chi ricopre il ruolo imposto dai MEDIA del sistema politico culturale dominante, rimane come testimone di un immodificabile determinismo di tutti gli avvenimenti. Lo sviluppo e l’accrescimento nella complessità sociale degradano in modo irreversibile la qualità della vita, impattando con le contraddizioni create dalle stesse regole imposte. Ogni forma di individualismo si sublima e la sfiducia dell’uomo aumenta.  Un uomo che non è più tale, non è più naturale, ma preda della propria arroganza e del potere.
La politica deve muoversi quanto prima dando un segno indispensabile in tal senso. In questo pessimistico quadro che avanza, ogni problematica del sociale deve essere combattuta e vinta attraverso la cultura dell’equilibrio e del metodo di reciprocità. Il metodo della reciprocità implica in sé l'equità, così nella sfera economica come in quella dei costumi, così nel campo intellettuale e culturale.

Qualcuno precisava che «ricevere altrettanto di quanto si è dato non significa soltanto avere l'equivalente in peso, in misura, in qualità, in valore, di ciò che si è dato, ma significa anche e soprattutto essere soddisfatto del contratto fatto, significa aver piena coscienza che nell'"affare" trattato, sia intellettuale  che economico e persino sentimentale, non vi sia stato, da una parte come dall'altra, né ingannatore, né ingannato, né frodatore, né frodato” .
La cultura dei rapporti sociali deve quindi essere tenuta in alta considerazione da chi opera in politica, poiché sia le azioni che i comportamenti nei rapporti sociali restano i valori fondamentali su cui poggia il sostegno della collettività e la sua crescita. La cultura deve orientare  i comportamenti e le azioni nei rapporti sociali. Politica e sociale, in tal senso, non possono che vedersi unite nel rapporto per un sano sviluppo del Paese

LO STATO E LA SICUREZZA

Metodo e prevenzione

     

       Per quanto attiene la giustizia civile appare fondamentale un adeguato ripristino o, in determinati casi, una vera e propria soppressione di alcune artificiose procedure per indurre a far funzionare più speditamente in favore del cittadino. Un codice di procedure che sembra quasi costruito artatamente, solo per un esasperato garantismo e non certamente per l’efficienza di una vera spedita giustizia. 
Più profondo non può che essere il pensiero riguardo alla giustizia penale. Essa tocca molto da vicino il cittadino perché ne limita la libertà e ne preclude la sicurezza: Ogni cittadino chiede sicurezza nella giustizia e giustizia per la propria sicurezza, quindi, i problemi della giustizia e della sicurezza non dovrebbero mai vedersi disgiunti.

Uno sforzo fondamentale deve essere fatto dalla politica che dovrebbe guidare un processo evolutivo moderno più spedito, meno farraginoso anche verso un coordinamento più utile tra giustizia e sicurezza per meglio avvicinare lo Stato ai cittadini. Quando si parla di sicurezza, in un sistema come il nostro, non si può trascurare l’impegno degli organi dello Stato che, nell’attuare regole a protezione del cittadino, sono spesso costretti a barcamenarsi in un nugolo di cavilli burocratici costruiti proprio in difesa delle libertà. 


Magistrati, forze dell’ordine e quanti altri sono preposti alla garanzia della nostra sicurezza sembrano agire con l’uso di procedure ormai vecchie e con una metodologia poco risolutiva. Costoro, attraverso il ruolo di interpreti del sistema ed esecutori dell’ordine finiscono spesso col non operare coordinati ed in favore della giusta causa. Sembra quasi che per molte soluzioni, le istituzioni, adottino metodi dettati dall’impotenza o da una profonda rassegnazione di fronte ad ostacoli che non si riescono a preventivare.
Sono considerazioni che trovano un punto di convergenza nel metodo inefficace adottato da chi, incaricato della sicurezza, dovrebbe anche costruire le basi per la ricerca di una verità. Considerazioni che dovrebbero far riflettere sul rapporto ormai istaurato tra il cittadino e lo Stato. Non dobbiamo quindi stupirci del mancato funzionamento del nostro sistema giudiziario, poiché ciò che riguarda una buona amministrazione della giustizia non potrebbe mai essere separato da un giusto e volenteroso impegno funzionale alla base della nostra sicurezza.

Ci si dovrebbe adoprare affinché, nel nostro sistema democratico, si possa agire con migliore efficienza e tempestività per offrire maggiore sicurezza, salvaguardando il diritto di libertà. Un tema comunque strettamente legato al precedente tema della legalità e che costringe ad un compito difficile tutto il sistema e la stessa società per l’aspetto spesso contrastante tra libertà, regole ed odierno vivere sociale.

Occorrono senz’altro un grande impegno e posizioni politiche non estreme, ma certamente determinate, al fine di non spezzare quel filo sempre più sottile che lega la nostra società al vero significato della parola “democrazia”. Di sicuro si è arrivati ad un punto nel quale o si trova un rimedio immediato o si rischia di distruggere completamente l’ultima opportunità per un modello di moderna e democratica sicurezza. Un impegno comune che non può più attendere, un impegno che potrà metterci al riparo da ogni possibile alternativa non più democratica per la soluzione della nostra sicurezza …..
Si ritiene necessario, per offrire un costruttivo contributo al sistema della sicurezza  e della giustizia,   uno sguardo critico nei confronti delle attuali procedure. La repressione resta certamente utile come componente metodologica della struttura amministrativa dello Stato ma, non potrà mai essere ostentata come la sola alternativa risolutiva dei problemi di una società civile.
Sradicare alcune attività criminose, con l’uso della sola repressione affinché possa essere garantita al massimo la libertà di chiunque,  ci sembra un concetto azzardato e distorto della democrazia.

Dovrebbe essere snellita la pesante burocrazia che da anni avvolge i Tribunali ed i Commissariati,  e comunque tutti gli uffici legati allo svolgimento delle indagini poiché i cittadini vogliono sentirsi sicuri ma anche protetti da uno Stato che dovrebbe offrire loro  impegni più concreti e funzionali attraverso lo studio di azioni ponderate e preventivate in tempo.
Ma se si vuole davvero mettere mano ad una riforma della giustizia e della sicurezza, non si può non tener conto del sistema carcerario odierno. Le carceri sono poche, scoppiano per il sovrabbondante numero di reclusi e non sono certo un modello rieducativo per quei cittadini che vi fanno ingresso per determinati reati.
Un richiamo importante per ricordarci che il compito di una società non potrà mai essere solo quello di perseguire chi sbaglia ma, anche quello più difficile, di seguire costoro in una detenzione rieducativa utile al fine di poterli reinserire nella società. Di non abbandonarli ad un destino che li renderebbe inevitabilmente recidivi.

Non basterà quindi far pagare una pena nel merito, ma attivarsi meglio in un metodo costruttivo attraverso l’insegnamento in direzione di una cultura che si vuole democratica e più sicura. A tal proposito individuare e costruire alcune tipologie di carceri ed istituti rieducativi più idonei e divisi in base ai reati commessi. Determinante sarà l’uso delle risorse umane adatte: assistenti sociali, psicologi, insegnanti specializzati etc, accompagnati da un percorso rieducativo suggerito da nuove normative funzionali.
E’, quindi, fondamentale l’odierno compito della politica nazionale che, attraverso una programmata regolamentazione, riesca ad offrire modelli più funzionali per la sicurezza, proiettandoci, non soltanto verso l’Europa, ma in una casa comune dove possano sposarsi e convivere diverse culture. Persino riguardo all’economia avanzata ed alla inarrestabile recessione di questi ultimi tempi non si è voluto affrontare il problema in termini di prevenzione per porre in tempo le opportune regole al fine di promuovere azioni di contenimento.

Il processo di unificazione dell’Europa, ha finito col fare uso solo di principi regolati da una economia globale. Questi principi, basati su valori imposti da un mercato sempre più competitivo, sembrano gli unici a guidare una unificazione che si evidenzia abbastanza precaria per le logiche differenze etnico culturali delle diverse comunità. Un processo di unificazione forse non prematuro rispetto ai tempi, ma sicuramente anticipato nelle procedure che ha sottovalutato la sicurezza di alcune popolazioni.


Questa difficile realtà dovrebbe oggi spingere la nostra politica internazionale a modellare con più equilibrio questo processo in tema di sicurezza e di salute. Una giusta politica europea avrebbe dovuto tener conto dell’aspetto etnico culturale e delle diversità dei Paesi entrati in Comunità. Sembra scontato che solo in questi termini una vera Europa avrebbe potuto avere migliori opportunità di crescita più armonica e sicura.

Gli argomenti politici internazionali di grande attualità nel prossimo futuro saranno quelli legati all’ambiente ed al sovrabbondante numero di immigrati extracomunitari che tenderanno ad invadere con maggior forza i territori dei Paesi economicamente avanzati. Ovviamente i due problemi sono fortemente collegati tra di loro ed al tema di una sicurezza. Tutti sappiamo ormai che il nostro pianeta, oltre a subire un mutamento atmosferico condizionato dal progresso delle civiltà più evolute, deve affrontare questo forzato processo di coabitazione. 

Sono problemi ormai conosciuti dei quali si discute abbondantemente e che coinvolgono da vicino il nostro Paese, ma anche in questo caso, ogni soluzione rimarrà ancorata a scelte di natura politica. Non valutati con attenzione nel passato ed adesso moltiplicati e sempre più difficili da risolvere, questi problemi, oggi quasi insormontabili, vedranno un mondo politico doversi esprimere in termini sempre più severi.


Può, come già avvenuto, una singola comunità più dell’altra impegnarsi ad accogliere una moltitudine di immigrati per lo più clandestini, senza avere le capacità recettive ed una adeguata assistenza igienica sanitaria? Può, questo evento, coinvolgere una singola parte del nostro territorio e non impegnare globalmente la nostra politica internazionale?

In qualunque caso, al nostro Paese è venuta a mancare un’azione preventiva che avrebbe dovuto tenere in considerazione già da tempo questo fenomeno in espansione ponendovi rimedi  attraverso atti prodromici mirati, sia in direzione di una politica di sicurezza territoriale, coinvolgendo anche l’Europa, che in direzione di un’utile politica di assistenza sanitaria
Chiari esempi di come sia venuta a mancare un’azione preventiva di studio politico e di come si sono voluti chiudere gli occhi di fronte ai difficili problemi della sicurezza che ne sarebbero scaturiti. Queste enormi problematiche che investiranno il futuro dei nostri ragazzi sono il sicuro esempio di quanto determinante sia il ruolo preventivo di una politica per la collettività e quanto indispensabile sia la tutela di un interesse pubblico che solo le istituzioni possono salvaguardare attraverso giuste azioni preordinate.
vincenzo Cacopardo

17 set 2012

La componente pragmatica nella politica e nel sociale

l'analisi di vincenzo Cacopardo 

Oggi, l’azione del pragmatismo regna sovrana, tanto da non potere più essere considerata come espressione di un pensiero filosofico, ma un’effettiva patologia supportata da un sistema sociale ormai malato.  Un fenomeno sempre in aumento, probabilmente intensificato dall’evidente difficoltà della vita odierna che costringe ad una visione sempre più pratica e concreta. Un’ espressione che sembra non risparmiare nessun essere vivente, un modo di porsi con il quale l’uomo spera di proteggersi dagli odierni eventi sociali: Egli resta imprigionato da questa forma mentis di concretezza poiché pensa che non vi potrà mai essere alcuna alternativa per una propria difesa in seno al freddo incedere del vivere contemporaneo.

 Questo fenomeno, per via di paure ed incertezze definitesi nel tempo, sembra stia chiudendo l’uomo in se stesso, a tal punto, da costringerlo ad alienarsi dai suoi doni più preziosi:  ideali, creatività, idee e sogni… cioè, da quella parte del mondo fantastico così importante e determinante per la crescita dell’individuo nella stessa società.

Se è visibile che in alcune manifestazioni artistiche, teatrali, cinematografiche e letterarie odierne vengano rappresentati e posti i valori fantastici e creativi come fondamentali componenti dell’essere umano, è altrettanto vero che nella vita quotidiana di tutti i giorni, ci si imbatte in un mondo che materializza e razionalizza la qualunque imponendosi persino nelle fondamentali dottrine sociali.

Anche la politica sembra imbrigliata in questa mentalità, tanto condizionata da mettere in primo piano solo un nesso con la realtà e sminuendo ogni riferimento verso ideali ed inventiva. Ma la realtà non è forse una costruzione tangibile delle idee? La speranza di una crescita senza idee e creatività sembra essere seriamente compromessa dall’enorme ostacolo posto da una forma mentale proiettata in direzione di una visione forzatamente realistica delle cose che si riflette inevitabilmente sui rapporti reciproci, sul lavoro e di conseguenza anche su una cultura sociale. Potremmo, di conseguenza,  affermare che si è andata costruendo l’opinabile cultura di un pragmatismo forzato non esattamente in linea con lo spirito dell’essere umano, che per natura resta assai predisposto ad ogni potenziale creativo.

Quando si insiste in modo forzato e pedissequo nel ricercare le possibili soluzioni partendo dalla  logica realistica del sistema esistente, non si fa altro che rinviare ed aggravare la problematica di ogni crescita: bisognerebbe, invece, domandarsi  se questa stessa logica, costruita su un sistema ormai vecchio, potrà mai essere predisposta ad accettare possibili idee innovative. Se, altrimenti, un sistema non dovrebbe rinnovarsi e di conseguenza anche le sue logiche cambiare. Ma come si può cambiare se si è bloccati da una visione fin troppo pragmatica che frena inevitabilmente ogni possibilità di rinnovamento?

Ecco che allora potrebbe sorgere il ragionevole dubbio se, questa forma mentale, non potrebbe essere sostenuta da poteri forti che frenano lo sviluppo ed il cambiamento della società in direzione di vere e significative innovazioni, per la paura che lo stesso mutamento possa stravolgere ogni sicura stabilità.

Ma possiamo davvero dare un senso positivo a tale stabilità? possiamo davvero ritenerla democratica? 
Nel campo dell’economia, i grandi luminari non fanno che dettare il loro programma in una visione che non può che essere realistica e concreta, in quanto l’economia è una materia che guarda prettamente ai numeri ed al riscontro con una realtà precisa. A differenza di loro, la politica non può permettersi di sottostare a qualsiasi programma economico, ma deve invece analizzarlo ed indirizzarlo verso una società che reclama una più equa gestione economica al servizio della comunità. Poiché nella visione di una politica entra il sociale, il lavoro, lo sviluppo, il welfare etc., non può che essere l’economia al servizio dei principi di una politica di ogni Paese e non, viceversa. Se così non fosse, nella nostra Carta costituzionale vi sarebbe scritto di un ulteriore potere: quello dell’economia e della finanza!

In ogni campo del sociale ed a maggior ragione oggi, una visione troppo ostentata del pragmatismo, non può mai far sperare in una crescita, al contrario, trascinerà avanti un popolo al servizio di un sistema malato. Se, come oggi, ci si adatta lavorando nel proprio campo senza l’apporto di una vera e rivoluzionaria ricerca, si rimarrà sempre immobili in un sistema dal quale si attinge ma, al quale, non sarà mai reso un contributo per il giusto efficace cambiamentoCiò porta ad un inevitabile stallo dove lo stesso sistema si costringe in un percorso viziato che tenderà sempre a riparare falle senza innovare mai nulla. In seguito si continuerà ad adattarsi, come oggi si usa, ai cosiddetti modelli esterofili che nulla possono se non accentuare tali difficoltà, in quanto  non esattamente in linea con la cultura territoriale e la storia del nostro paese.
Persino un padre del pragmatismo, W. James, affermava che "vero è tutto quello che contribuisce ad arricchire la nostra potenzialità creativa".
Questo dovrebbe ispirarci a comprendere come, un forzato uso del pragmatismo, non potrà agevolare alcuna innovazione, ma potrebbe continuare a frenare lo sviluppo delle idee! La politica non può trascurare questo fondamentale aspetto: Se un politico ha una coscienza e sa dare un senso alle parole crescita ed innovazione, si può allora pensare che resti immobile spettatore solo per un proprio beneficio se, altrimenti, non percepisce il valore stesso delle idee, poiché non riesce a comprenderlo, la sua figura apparirà sempre più come quella di un parassita in un sistema sempre più malato.