15 set 2012

Il tema della legalità e la comunicazione politica



“principi,valori e giusto posizionamento”


Questa analisi nasce dall’esigenza politica di una “comunicazione” in riferimento alla funzione dei due ruoli  (parlamentari ed esecutivi). Nella fattispecie, l’argomento è indirizzato a quella “comunicazione” di chi opera per una politica di dialogo con i cittadini: politica di base che potremmo definire di “ricerca” e che si differenzia in modo evidente da quella di chi opera in ruolo amministrativo per gli interessi e la difesa dei principi istituzionali.
Un buon approfondimento sul tema della comunicazione della politica ci spinge a porci la domanda logica di quanto questa possa essere importante per un’attività sociale. Essa rappresenta un importante mezzo che non potrebbe mai essere sottovalutato poiché, la politica, è anche “arte del comunicare nella società”
Chi opera nel campo della politica di ricerca e di dialogo deve saper comunicare e non potrà per questo bastare una profonda capacità dialettica se si finisce, poi, col non trasmettere una esatta realtà delle cose generando, successivamente, un ritorno negativo da parte di chi ascolta. Ma il modo di comunicare della politica, da un po’ di tempo, contribuisce a creare un profondo distacco con i cittadini, distacco ancor più accentuato dagli ultimi sistemi elettorali: Una politica che appare nella assurda posizione di chi intende comunicare quasi solo per pretendere.

Prendendo spunto dal tema della “legalità”(tema che appare sicuramente emblematico poichè viene oggi affrontato attraverso l’uso di una comunicazione non del tutto pertinente), ci si accorge di come vi sia spesso una continua imposizione di regole, senza mai porre la dovuta attenzione su alcune logiche del vivere comune che non tengono realmente conto di una base funzionale del sistema: La legalità è sicuramente un principio sul quale lavorare, ma è sopratutto un valore da ricercare. Poiché, se è vero che senza un principio di legalità non cresce sviluppo, è anche vero che senza un funzionale sviluppo non potrà mai affermarsi un giusto processo di legalità.

Per un vero politico, quindi, il funzionamento del sistema dovrebbe essere visto come un principio fondamentale anteposto a quello della legalità. Un pensiero che non può essere interpretato in modo diverso se non attraverso un’ottica che tende a porre la legalità come il fine costruttivo di un valore ed il funzionamento del sistema come mezzo per dare corpo allo stesso principio.
Il tema resta comunque difficile da affrontare soprattutto con chi, in questi anni, del termine legalità ne ha fatto abbondantemente uso al fine di costruirsi una propria immagine.

All’attualissimo problema della sicurezza e della giustizia, non si potrà mai dare una risposta precisa ed adeguata se alla base non vi è una logica procedura per l’efficienza di tutto il sistema, ma anche una giusta comunicazione in riferimento al tema stesso. Sappiamo bene che ogni bel concetto di “legalità” può e deve essere indirizzato nei riguardi della classe politica che amministra la cosa pubblica. E' un obiettivo fondamentale ma appare  persino retorico farne continuo uso da chi dovrebbe proporsi in politica con i pensieri, le idee e le soluzioni: Il vero politico dovrebbe salvaguardare il diritto alla “legalità”, attraverso una procedura più utile e costruttiva, impedendo che il “fine” del suo essenziale concetto possa confondersi con “legalismo”.

E’ fin troppo logico che, in linea di principio, tutti vorrebbero il rispetto per una legalità! Ma politicamente sarebbe più utile agire per il suo fine e quindi per un valore da ricercare attraverso un vero funzionamento delle regole. A volte, la strumentalizzazione continua del termine, rischia di mettere alla ribalta chiunque usi l'emblema della legalità, come l’unico onesto legittimato a giudicare chi non lo è. La paura è anche quella di non determinare più il giusto risultato costruttivo del termine.

Sarebbe più utile partire da un principio che pone la legalità come “il fine” di un obbiettivo della politica, invece che innalzarlo come l’importante vessillo di una battaglia o come mezzo per la conquista di un consenso. La pretesa di una “legalità”, per quanto giusta possa essere in linea di principio, non potrà che camminare di pari passo con il buon funzionamento di una società… …insomma: non si potrà mai pretendere dai cittadini il vero rispetto per un sistema quando lo stesso, mal funzionante, finisce col frustrare altri e più importanti principi come quelli della giustizia e di una vera democrazia: Spesso alcuni cittadini, non protetti nei loro diritti, sono costretti a difendersi con qualche piccolo atto illecito dalle indifferenti istituzioni che non lasciano loro alcuna alternativa.

  La politica odierna può solo illudersi di riuscire a costruire un valido sistema di legalità se non attraverso un’azione che comporti una efficienza dei servizi e una funzionalità della cosa pubblica.

Da tempo di pone forte il problema di attività illegali più pesanti come mafia, camorra e ndrangheta. E’ fondamentale andare a sradicare questi fenomeni criminosi non solo attraverso una buona azione repressiva, ma anteponendo un’azione preventiva accompagnata da una logica culturale e territoriale costruttiva. E’ indiscutibile la lotta contro questi fenomeni che rappresentano una sfida contro lo Stato, ma si riuscirebbe a farlo meglio se ci si dedicasse con più impegno a far funzionare preventivamente l’apparato organizzativo del nostro sistema con più metodoCon uno sforzo che deve essere prevalentemente affidato ad una produttiva politica di idee. Ma se lo sforzo di chi determina una politica di pensiero, di idee e di ricerca, resta concentrato sul tema della legalità come principio ed assai meno sullo studio del funzionamento e delle regole da attuare per la ricerca del valore da raggiungere, si continuerà a costruirvi attorno molta demagogia senza poter arrivare alla soluzione del vero problema.

Vorrei..in tal modo.. mettere in evidenza il logico e diverso  compito spettante ad un politico che amministra il quale, essendo legittimato a dirigere la cosa pubblica, deve prodigarsi per il rispetto delle regole attraverso un messaggio costruito sui principi di legalità e con l’uso della forza pubblica  o dei mezzi messi a sua disposizione. Compito repressivo assai diverso da quello preventivo spettante ad una differente classe politica di pensiero che, come già detto, deve promuoversi e comunicare attraverso le idee e le proposte. 
Una puntualizzazione forse coraggiosa, ma che ha il preciso scopo di spingere l’attenzione sul tema di una più chiara divisione di determinati ruoli e competenze della politica.

Questa importante premessa sul tema della legalità, ci spinge a chiederci quali possano essere le vere ragioni per le quali, questa politica, continua a comunicare spesso in termini di principio dando quasi una immagine di chi impone ed esige. Finendo persino col favorire un conseguente atteggiamento di disubbidienza da chi, da un altro lato, non si sente ovviamente protetto dalle istituzioni. Al di là del tema della legalità, la comunicazione investe indiscutibilmente tutti i campi in cui la politica dialoga e conversa: Una politica che rischia di esprimersi in modo poco chiaro e disordinato prescindendo da una visione più logica ed obiettiva. 

E’ ovvio quindi, che anche la comunicazione politica deve avere, per ogni suo argomento, un determinato segmento ed un conseguente posizionamento poiché, chi comunica per ricercare e costruire, non può esprimersi o posizionarsi similmente a chi opera per amministrare.


In questo suo modo di comunicare, la politica,  ha spesso reso il dialogo viziato in partenza con la naturale conseguenza di non avere trasmesso costruttivamente: Si è ormai determinato, un comune interesse nei confronti del politico capace di dialogare, restando sbalorditi dalle sue accattivanti capacità e non rendendosi conto che il suo dialogo viene spesso indirizzato prescindendo da una vera analisi obiettiva volta al preciso segmento ed ai relativi valori pertinenti... Analisi che non può non appartenere a chi deve, al contrario ricercare. Un fenomeno che, oggi, ha messo in discussione l'operato della politica screditandone in modo serio e determinante l'immagine.

Questo strano modo di comunicare, che si è pensato, adeguato e produttivo, viene continuamente smentito da una realtà la quale mette in evidenza un logico postulato: Senza un giusto dialogo di ricerca dei valori..non potranno mai imporsi dei principi.

L’importanza di un giusto posizionamento della comunicazione politica, rappresenta oggi la chiave  fondamentale per poter ottenere risultati positivi in termini di riscontro con i cittadini. Solo così si riuscirà a determinare quella differenza della politica che intende comunicare coerentemente per costruire, da quella politica “politicante” che si esprime ostentando ingannevoli  vessilli al solo fine di crearsi un consenso. 
vincenzo Cacopardo

14 set 2012

Riflessioni sul ruolo del CSM





Nella forma politica di organizzazione dei poteri del nostro Stato, quello “legislativo” ha una importanza fondamentale per la concreta realizzazione di uno “Stato di diritto” nel quale tutte le istituzioni sono sottoposte alla legge.
La realizzazione dello Stato di diritto comporta l’obbligo delle istituzioni statali a mantenersi entro i limiti della legge, ma questi limiti assumono un carattere di rilievo politico quando il cittadino, titolare delle sue libertà civili, vi si trovi in conflitto.
I regimi si chiamano democratici quando garantiscono ai cittadini oltre che una libertà di partecipazione al voto, anche una loro libertà personale, di movimento, di espressione, di inviolabilità di domicilio, etc.

Per difendere tale libertà occorre la mediazione di un organo indipendente e questa non può che essere per noi la parte essenziale della funzione del giudice in un regime democratico:
Una istituzione indipendente dagli altri poteri dello Stato per far sì che la libertà civile ottenga concreta realizzazione. Una libertà che non è quella politica, poichè non potrà mai essere un giudice ad impedire che si possano travolgere con la forza le istituzioni di uno Stato democratico.

Per questi motivi, ogni sentenza di condanna emessa da un giudice deve leggersi in senso negativo diretta allo Stato e non al condannato, cioè deve intendersi come un ordine al potere esecutivo. Se così non fosse , non si potrebbe spiegare la esistenza degli atti di clemenza da parte del Governo (grazia – amnistia – indulto).
Dopo la seconda guerra mondiale e a seguito della esperienza dei regimi dispotici, si sono manifestate diverse correnti per accentuare la indipendenza del Giudice, secondo una teoria classica. Nella nostra Costituzione del 47, con la introduzione del Consiglio superiore della Magistratura, si attua l’indipendenza totale dal potere esecutivo.
Questa forma di indipendenza però appare tanto radicale quanto errata, frutto di un primitivo concetto della divisione dei poteri. Un concetto estremo che come tutti gli estremismi, oggi, non può che produrre effetti contrari.

Non si è considerato che, il potere giudiziario è, nella sua struttura, radicalmente diverso dagli altri poteri. Un potere che non viene esercitato dal complesso dei giudici, ma da ciascuno di essi. I padri costituenti italiani, abituati a vedere i giudici sottoposti ad un governo ampio (ingresso, carriera, progressione, incarichi, attribuzione di funzioni etc) pensarono che il miglior modo per assicurare la indipendenza della magistratura, fosse quello di togliere questo governo al Potere esecutivo per affidarlo agli stessi giudici.
A tal fine crearono un organo : il Consiglio Superiore della Magistratura, composto in maggioranza da membri giudici eletti dagli stessi, con una minoranza di membri politici. Non considerarono, però, la particolare struttura del Potere giudiziario, né ebbero presente che questa struttura sarebbe stata essenziale per il vero bene che si voleva difendere, che è e sarà sempre  l’indipendenza del giudizio.

L’equivoco sta nel fatto che, il giudice, a causa della delicatezza del suo compito e per poterlo svolgere in modo realmente indipendente, ciò che rifiuta è proprio un governo senz’altro, tanto che sia in mano all’Esecutivo o in mano a qualsiasi altro organo. Pertanto forse la strada da seguire sarebbe dovuta essere, non quella di togliere il governo della Magistratura al Potere esecutivo, ma quella di ridurre al minimo la necessità di governo dei giudici e facendo il possibile per regolare a mezzo della legge la loro carriera.

Possiamo asserire che in questa strada, non si è tenuto  in considerazione  l’assioma politico che, creare un potere comporta, inevitabilmente, il sorgere di molti desideri per la sua conquista: Se questo potere si pone nelle mani degli stessi giudici, la conseguenza inevitabile sarà quella dello scatenarsi di una guerra interiore tra loro per la conquista di detto potere.
La lotta delle “correnti”  interne al CSM, rompe il suddetto “vantaggio”  che si voleva costituito da giudici in maggioranza. L’aspetto più grave resta quello che si è creato un organismo che non riesce a trovare una collocazione legittima in un regime politico fondato sulla divisione dei Poteri. Da tutto ciò, sono nate e continuano, le interminabili discussioni per stabilire fino a che punto il CSM possa definirsi un organo costituzionale sulla forma dei suoi atti amministrativi e sulla possibilità di ricorso contro gli stessi. Si è tuttavia ritenuto di superare questa difficoltà dicendo che il CSM è solo un organo sostanzialmente amministrativo collocato in seno all’ordine giudiziario con l’unica funzione di poter provvedere agli aspetti amministrativi di detto Ordine.

Ma si tratta solo di un argomento verbale privo di realtà in quanto, come è ampiamente dimostrato, ogni potere di un’alta amministrazione  assume conseguentemente un carattere politico. Quindi, anche in questo caso, l’amministrazione della giustizia assume un carattere politico..E’ possibile dirigere tutta la parte amministrativa dell’esercizio del Potere giudiziario senza fare politica della giurisdizione?

Quindi tutto il terreno politico occupato per necessità dal Consiglio Superiore della Magistratura sembra inevitabilmente sottratto a coloro che hanno la responsabilità del governo dello Stato, cioè il Potere esecutivo.
Il difetto sta nell’aver creato questo organismo, nel quale le dichiarazioni rese da un Ministro responsabile di una politica, possano essere messe in discussione da questo stesso organismo “politicamente irresponsabile”

Bisogna comprendere che il potere dei giudici è un potere di controllo. Si tratta essenzialmente di un potere di “veto” rispetto ad ogni agire ed operare che fuoriesce dai limiti della legge. Un giudice può impedire ogni azione che non rispetti i limiti della legge, ma non potrà mai porre questi limiti (compiti del Potere legislativo) né può mai suggerire i progetti che, entro questi limiti, il Governo appresta.
In una vera democrazia la forza effettiva sta nel convincimento di un popolo di darsi una forma di governo: la forza che poi distribuisce i poteri a mezzo dei quali lo Stato si organizza. Nella suddivisione dei poteri, il giudice è quello che ha meno potere effettivo. 

Nelle mani del Potere esecutivo si mette la forza materiale. Al giudice si da soltanto forza ed autorità morale. La forza di chi sa quanto sia essenziale la sua funzione in democrazia. Quanto più profondo è detto convincimento generale, tanto maggiore sarà la forza morale del giudice in quanto egli non ha una forza propria, ma una forza che gli viene attribuita.
Proprio per tali motivi il giudice non potrà mai pensare di poter confrontarsi con gli altri poteri dello Stato o di potere risolvere da solo il problema della sua indipendenza, poiché detta indipendenza rappresenta un bene prezioso per il cittadino, più che per il giudice stesso.
 

La giustizia, la magistratura e i giudici




desiderio di funzionamento

L’argomento della giustizia è attualmente uno dei più sentiti che dovrebbe poter camminare di pari passo con quello della sicurezza, proprio perché strettamente collegati tra loro in un unico problema che tocca da vicino la libertà del singolo cittadino. Un argomento delicato ed impegnativo che in questa sede si può affrontare solo in modo sintetico ma esplicativo in riferimento ai poteri dello Stato
I valori dell’equilibrio e della funzionalità richiamati nei precedenti argomenti risultano certamente essenziali per affrontare questo tema, ma non potranno essere risolutivi se non se ne aggiungono altri come  innovazione,  coordinamento e metodo.
Nel recente passato, i Partiti sembravano avere assunto posizioni poco decise, ma oggi  bisognerebbe rendersi garanti di un particolare equilibrio per la ricerca di un percorso sensato che riguarda il sacro diritto di tutti i cittadini.
Il Parlamento, al quale spetta il diritto-dovere di risolvere il difficile compito, per via di un impegno che coinvolge sempre più il ruolo dei poteri dello Stato,  appare in difficoltà e non sembra ancora essere riuscito a trovare un giusto percorso evolutivo.
L’amministrazione della giustizia civile sembra perdersi in un groviglio inestricabile di norme, non potendo più tenere il passo con la miriade di citazioni che giornalmente invadono i Tribunali. Continue ed artificiose procedure non fanno altro che far perdere la fiducia nel diritto creando vuoti ed incomprensioni tra il cittadino e chi deve giudicare.
Per quanto attiene la giustizia penale, non sembra esistere per niente un vero equilibrio tra il  trattamento usato a chi dovrebbe in realtà scontare una pena ed il diritto di giusta garanzia per un indagato. Quando si parla di giustizia penale non ci si può però esimere dalle critiche mosse in questo campo da alcuni politici, avvocati e giuristi che pongono già da tempo il tema di una “anomalia”
                                          -----------------------
Si vive già da tempo.. con forte rilievo ..quella che viene individuata come “un’"anomalia del sistema”, nella quale, si dice, i giudici avrebbero fin troppo invaso un campo di pertinenza dell’attività politica. Molti restano profondamente colpiti dai modi di agire e dalle affermazioni di alcuni componenti della magistratura, altri, approfondendo il tema, dichiarano che i magistrati…..non potendo essere investiti di funzioni riguardanti i problemi politici, sono solo chiamati ad assicurare la giustizia nel singolo caso…..
Secondo questa prassi, si dice, la magistratura che rappresenta il potere giudiziario, dovrebbe, attraverso le sue diverse articolazioni, provvedere alla applicazione della legge solo nei “singoli casi”, il che risulta un problema ben diverso da quello di una ostinata soluzione dei “fenomeni generali”.

Si parla, a proposito del potere giudiziario, come di un “potere diffuso”, di un potere che deve essere esercitato da ciascun organo con sovranità e perciò da ogni singolo Tribunale, da ogni singola Corte… -Il singolo giudice, per ogni caso di sua pertinenza è in posizione di sovrana indipendenza, mentre, la Magistratura, come organo, non dovrebbe mai operare come corpo unito.
Si vuole così sottolineare, la profonda differenza del concetto di “potere diffusoche si esplica con un controllo “capillare” di ogni fenomeno di vita sociale, escludendo il controllo che invece assume una “valenza politica”: Dovrebbe essere il popolo attraverso le elezioni ad investire coloro che devono dare risposte esaurienti a fenomeni di rilevanza sociale.
Si identificherebbe così la sostanziale differenza tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato ed in questa critica non si può che essere d’accordo. Oggi, proprio a causa delle esigenze di questa moderna società, si avverte molto il bisogno di delimitare con più evidenza questi poteri, perché in alcuni casi, si rischia di varcare in eccesso tale linea ed in altri, sembra la si voglia far diventare un vero muro di cnta per salvaguardare precisi interessi.



Indispensabile quindi una ricerca per il giusto posizionamento dell’ordine giudiziario in riferimento ai poteri dello Stato.
Ma a questo punto viene spontanea una domanda... frutto di una analisi profonda e necessaria.. in riferimento all’importanza che potrebbe avere anche il posizionamento del potere esecutivo in perenne compromesso o, persino in conflitto con quello parlamentare.
Al di là del fatto che si tratta di due specifici poteri, diversi dall’ordine autonomo giudiziario, si potrebbe azzardare che un conflitto permane costantemente allorquando, gli stessi, eletti in Parlamento, assurgono alla carica di ministri o sottosegretari, attribuendosi di fatto un ruolo esecutivo che influenza in modo definitivo il lavoro dello stesso gruppo parlamentare di loro riferimento. Anche qui, una certa consociazione trova forza e si alimenta giacché gli interessi sono estremamente forti ed i ruoli politici vengono espressi nella comune casa di un Partito.

Nella fattispecie il politico, in ruolo esecutivo, potrebbe esercitare un particolare potere agendo in modo dubbio sull’obiettivo pensiero del singolo parlamentare, nella identica maniera con cui il magistrato requirente potrebbe influenzare il pensiero del giudice (poichè riconosciuti in uno stesso schieramento).


Si potrebbe dunque azzardare che tale motivo è di per sè sufficiente ad individuare una ulteriore anomalia anche rispetto ad una Costituzione che, da un lato vorrebbe identificare due poteri con ruoli ben diversi (esecutivo e parlamentare) e dall’altro, non pone sufficienti e chiare limitazioni a questa separazione di compiti, destinando, in modo troppo sintetico, la guida e l’indirizzo della politica dello Stato all’esecutivo.

Come potrebbe oggi il politico stupirsi, anche se motivatamente, nei confronti della anomalia resa dai  ruoli dell’ordinamento giudiziario, quando nel contempo, si espone ad una altrettanto illogico conflitto, ponendo la stessa magistratura nel dubbio e nel sospetto dell’insorgenza di possibili compromessi in seno alle istituzioni?
Questa può essere la logica motivazione che la stessa magistratura replica alla classe politica che contesta in modo significativo i conflitti e gli interessi che potrebbero sorgere in seno ad un ordine giudiziario “politicizzato” dal CSM.  
Ma il cittadino comune, che poco può conoscere di normative e procedure, cerca ancora risposte precise dalla politica, che possano garantirlo nella propria libertà, nel rapporto con lo Stato e tutta la comunità.

LA MAGISTRATURA E I GIUDICI

 Equilibrio e giusto posizionamento






E’ sorprendente, constatare come in questi anni si sia formata una corrente di opinioni secondo la quale la magistratura rappresenta il “terzo potere”. La indipendenza o meglio, l’autonomia che si suole chiamare “organizzativa” della magistratura è sancita nell’art. 104 della Costituzione. Un’autonomia che ha un valore semplicemente strumentale rispetto alla indipendenza funzionale della magistratura.
Quando si parla di indipendenza della  magistratura non si può porre il dubbio che il valore vero che si mira a salvaguardare è la indipendenza del concreto esercizio della funzione giurisdizionale. Ed essa si esprime col principio secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge.
L’idea dell’autonomia organizzativa della magistratura ha trovato, nella nostra Costituzione, una ampia realizzazione. Si è stabilito anche il suo autogoverno. Un “organo” composto in prevalenza di magistrati che provvede ad assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari. Si è posto così il dubbio, se sia stato giusto che, dando maggiore indipendenza organizzativa alla magistratura, siano realmente aumentate le garanzie di indipendenza funzionale.
Sembra invece, al contrario, che la autonomia organizzativa concessa dall’autogoverno, possa addirittura essere risultata dannosa per la stessa indipendenza funzionale che è il vero bene da salvaguardare. Ecco perché l’autogoverno deve essere visto solo come il frutto di una concezione di puro “ meccanismo” del principio della suddivisione dei poteri.

E’ necessario partire dalla considerazione della stessa natura della struttura del tutto particolari in confronto agli altri poteri. -Un potere di controllo di legalità della vita pubblica e privata del Paese che presenta la caratteristica di essere suddiviso o meglio “diffuso”  nei suoi vari organi. Organi che possono correttamente chiamarsi in relazione allo Stato di cui fanno parte e non quindi in rapporto ad una “magistratura” che non ha, come tale, organi precisi

Un giusto potere giudiziario deve essere esercitato da ogni singolo conciliatore, ogni Tribunale, ogni Corte, al fine di respingere ogni vincolo di dipendenza dagli organi degli altri poteri dello Stato e di ogni altro organo in senso assoluto. Esso respinge ogni ingerenza “esterna” proprio perché, se “esterna” e quindi diversa dal Giudice, dalla Corte, dal Tribunale che deve giudicare, potrebbe appartenere ad altro potere.

Ciò spiega l’avversione da parte del costituente di averlo voluto definire “potere” e la ragione per la quale ha preferito il termine assai più pertinente di “ordine”  autonomo. Proprio in ragione della profonda diversità di struttura e di esercizio di potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato che intervengono in modo attivo nella vita del Paese e che constano di una serie di organi per lo più gerarchicamente collegati ed articolati fra di loro.
La mancanza di vincoli di ingerenza e subordinazione tra un giudice ed un altro nella loro funzione giurisdizionale fa si che la parola “ordine” si adatti meglio alla magistratura, la quale non opera mai come corpo unito e non costituisce il terzo potere: il singolo giudice è in posizione di sovrana indipendenza ed esercita un “terzo potere” limitatamente ai casi sottoposti alla sua giurisdizione.

Questa osservazione è la base di partenza essenziale per affrontare e salvaguardare il vero principio di un’equa giustizia. Una osservazione che dovrebbe di per sé dimostrare in senso assoluto che l’organo della magistratura non potrà mai esercitare un potere come quello “politico” appartenente agli altri due poteri.
Si ritiene che questo “ordine”, intento solo ad un armonico sviluppo della vita sociale, debba restare in posizione autonoma, ma di fondamentale collaborazione e non in contrasto o addirittura in ostilità con gli altri poteri.

E’ importante valutare il compito della magistratura in termini di “sicurezza”, non altrettanto sentire parlare di magistratura in termini di “potere” che potrebbe sicuramente apparire scorretto e destabilizzante. Una ragione in più e di primaria importanza, per dover garantire al massimo il cittadino anche attraverso una separazione delle carriere tra giudice inquirente e giudice ordinario.
Sostenendo questa separazione, si asserisce che ciò non ha nulla a che vedere con l’indipendenza, perché il vero valore da tutelare è proprio l’indipendenza del giudizio…E’ vero che il giudice è un tutore della libertà del cittadino ma solo entro il confine del sistema democratico e non quando il quadro viene sconvolto. Egli è l’elemento di equilibrio fra la libertà del cittadino e le autorità istituzionali democratiche, per il valore della stessa libertà. Egli può e deve garantire una libertà civica ma non quella politica.
Il magistrato non ha altra forza se non quella che gli viene dal consenso comune della necessità e l’importanza della sua funzione.

Sappiamo che il costituente, per il timore che la passione dei politici facesse degenerare l’esercizio dei compiti di organizzazione della magistratura in uno strumento politico di sopraffazione dei diritti individuali, preferì attribuirgli meno entità politica attraverso la costituzione dell’organo autonomo del Consiglio Superiore.
Si pensò, poi, anche alla difesa del ruolo del Parlamento attraverso la istituzione di una norma sulla immunità degli stessi parlamentari, norma oggi definitivamente annullata.
Il costituente, nella sua divisione dei poteri, con la istituzione della polizia giudiziaria,  alle dirette dipendenze della magistratura,  ha creato quasi una contrapposizione fra gli stessi poteri dello Stato, evidenziando in modo più netto il senso di questa divisione.

Un regime democratico ha la sua fonte di sovranità nel popolo e a tale fonte va riallacciato l’esercizio di ogni potere. Di conseguenza la più diretta espressione della volontà popolare risiede nel Parlamento. L’idea dell’autogoverno della magistratura con la conseguente creazione dell’organo apposito riduce i legami e la forza del Parlamento per via della nomina dei componenti nel Consiglio in minoranza rispetto ai magistrati.

Si è preclusa così, ogni possibilità di controllo del Parlamento sovrano su l’esercizio giurisdizionale, non solo dal punto di vista dei contenuti ma, anche dal punto di vista organizzativo, essendo innegabile che i poteri del Ministro, nello specifico settore, restano estremamente ristretti e limitati.

Bisognerebbe perciò studiare ed approfondire una nuova normativa costituzionale per cercare di porre rimedio all’ingerenza dell’organo giurisdizionale rispetto alle esigenze di un ordinamento politico democratico, er far sì che questo organo indipendente, possa reggersi soltanto in forza di una nobile tradizione alla difesa della legge e degli ideali della giustizia.




“IL LAVORO E LA PROFESSIONE



Fatta questa importante premessa bisogna anche tenere in considerazione il lavoro svolto dal singolo magistrato il quale, oggi, è sicuramente sottoposto ad un carico eccessivo per il moltiplicarsi delle cause e per gli affari di cui deve occuparsi.
Le ultime riforme in campo di giustizia sono caratterizzate  dalla generale riduzione dei termini lunghi per impugnazioni, riassunzioni etc. Nelle Corti principali, le cause vengono di continuo rinviate di parecchi anni. E’ anche noto che, per fissare un’udienza in Cassazione, possono passare non meno di cinque anni. Tutto ciò per l’immensa mole di lavoro del singolo magistrato, dovuta al moltiplicarsi delle cause e degli affari cui deve occuparsi. A ciò bisogna porre rimedio, anche a costo di dover rompere vecchi schemi che hanno indubbiamente reso cattivi risultati.

Qualcuno prende ad esempio la carriera di un primario ospedaliero e confrontarla col lavoro di un magistrato per rendersi conto della enorme e diversa differenza organizzativa. 
Nella funzione di un primario ospedaliero, consistente nell’esaminare e fornire indicazioni per varie decine di casi al giorno, lo stesso viene coadiuvato da una corte di ausiliari, aiuti, assistenti, persino studenti oltre che infermieri, che operano per lui una serie di indagini necessarie sul malato. Mediante questi dati e la osservazione del malato, tramite la sua indiscussa esperienza, egli può intervenire per una diagnosi e per una terapia. Infine, anche per la scrittura della diagnosi e per la terapia penseranno i suoi assistenti  e gli infermieri.

A paragone, il magistrato lavora in solitario. Riceve un aiuto dal cancelliere limitato a funzioni unicamente materiali come la formazione dei fascicoli, la redazione dei verbali, la pubblicazione delle sentenze etc. Inoltre il sostegno non è più intenso poiché il rapporto, negli anni, si è ormai reso malato tanto da scoraggiare lo stesso cancelliere.
Il magistrato non ha nulla che assomigli ad una squadra di aiuti e assistenti che lo possano assistere come nel caso di un primario.
Gli aiuti del primario sono medici con lo stesso titolo di studio che lo assistono con la sola differenza di una minore esperienza e minore capacità professionale rispetto alla sua. Assistenti che nel tempo si vanno formando mediante il lavoro quotidiano.

Il magistrato invece deve fare tutto da solo per il compito assegnatogli: deve assumere le prove, esaminare i documenti, ricercare i precedenti, scrivere le sentenze oltre naturalmente tutti i vari provvedimenti.
Costringere un magistrato ormai esperto a scrivere fatti puramente storici o a scrivere una motivazione che qualunque uditore potrebbe benissimo scrivere al suo posto, rappresenta un chiarissimo spreco delle risorse umane di quella che dovrebbe considerarsi “azienda giustizia”.
Lavoro che, come abbiamo già detto, equivale a quello che svolgerebbe un primario ospedaliero se gli si imponesse di far lui le analisi cliniche o le radiografie e persino praticare le iniezioni prescritte. Tutto ciò è un chiaro spreco di intollerabili proporzioni al quale bisognerebbe porre rimedio circondando il magistrato esperto, di un gruppo di ausiliari, magistrati come lui, anche se con minore esperienza, ai quali possa essere affidata la assunzione delle prove,la ricerca dei precedenti, lo studio giuridico pertinente ed in fine, la stesura delle sentenze.

In questo caso, il vantaggio che ne deriverebbe sarebbe principalmente di qualità, ma anche di maggiore velocità per la soluzione dei casi e con un incremento notevole della produzione complessiva. Un ulteriore vantaggio sarebbe quello di fornire una maggiore preparazione alla professione dei giovani magistrati in continuo esercizio sotto la guida professionale del magistrato anziano più ricco di esperienza.


 --------------------------------------------------------------------

Ci si rende chiaramente conto che proposte e ridorme simili potrebbero apparire miraggi, sebbene si deve essere consapevoli che la gravità della situazione è tale da indurci a formulare, anche se solo teoricamente, idee simili per spingere gli addetti ai lavori verso la ricerca di una migliore soluzione.
Se oggi rimane un dubbio circa quel "potere" dell'organo giurisdizionale...lo stesso dubbio potrebbe essere fugato dividendo meglio i ruoli degli altri due veri "poteri" che, pur lavorando per un unico fine, finiscono sempre col generare conflitti ed anomalie al sistema istituzionale: Questi due poteri confliggono costantemente mettendo in moto la costante reazione dell'ordine giudiziario che ha il dovere di intervenire ed all'interno del quale potrebbero persino nascere imprecise o poco chiare prese di posizioni. 
In questo campo solo la politica Parlamentare può muoversi in modo corretto mettendo fine attraverso primarie riforme che possano meglio differenziare i ruoli della politica limitando le anomalie e i dovuti sospetti.   
 
vincenzo Cacopardo