31 mar 2015

Una nota al nuovo articolo di domenico Cacopardo

Ha ragione Domenico che con questo suo articolo su “Italia Oggi”..non fa che scoperchiare.. mettendo in evidenza l'inefficienza di una giustizia che oggi si intende riformare attraverso una assurda e prevelente logica della prescrizione.
Pur non avendo una chiarissima conoscenza degli atti relativi ai fascicoli sul caso Amanda Knox e Sollecito, risulta ben visibile l'inquietante metodo con il quale viene gestita la giustizia penale in questo Paese. Preoccupante in quanto il rinvio tra una Corte e l'altra, hanno finito col rendere il caso e le sue sentenze contraddittorie.
Rinvii con sentenze completamente sovvertite che non danno alcuna certezza sull'andamento del nostro sistema giustizia. Per non parlare di una certa approssimazione circa il metodo usato da una certa giustizia civile.
Domenico Cacopardo mette giustamente in evidenza i casi odierni più discussi ed esaltati.. costruiti con la complicità innata di una certa stampa sempre pronta ad esaltare o biasimare certi episodi. L'impressione che qualcuno voglia volutamente portare maggiore confusione.. potrebbe essere valida. Resta il fatto che la giustizia dovrebbe poter lavorare meglio e con maggiori risorse. “
vincenzo cacopardo


Certo, è un caso giudiziario come tanti altri, ma la notorietà della vicenda di Amanda Knox e di Raffeale Sollecito è tale da gettare la giustizia nazionale nel tritacarne critico dei giornali di tutto il mondo.
Solo i teppisti che circolano per le redazioni italiane (usando informazioni che provengono dagli uffici dei pubblici ministeri o che sono usati essi stessi dai medesimi operatori di giustizia per far conoscere al mondo le indiscrezioni che servono alle loro strategie processuali compreso lo sputtanamento preventivo del presunto imputato) non si scandalizzano e non si pongono domande su un metodo di lavoro che incide traumaticamente nella vita civile del Paese, non solo per le geometrie impazzite del «penale», ma anche per l’assenza vicina al totale del «civile».
Per capire cosa si pensi in giro dell’Italia e della sua giustizia, citerò le parole che, sul caso, ha speso Alexander Stille professore di giornalismo alla Columbia University e collaboratore di The New York Times e di The New Yorker, rispettivamente il più prestigioso quotidiano del globo e il più raffinato settimanale americano.
Scrive Stille, tra l’altro, che con 8 processi, Amanda e Raffaele sono stati espropriati di quasi dieci anni di vita, in parte trascorsi in carcere insieme alla disperata umanità che lo popola. E che non crede che la Knox sia colpevole in quanto il capo di accusa non presenta una ragionevole (oltre ogni dubbio) spiegazione del delitto. Una coppia in preda a una passione incipiente avrebbe definito con un vagabondo-truffatore (Rudy Guede) un piano per uccidere la coinquilina di Amanda. Non essendoci un motivo attendibile i pubblici ministeri ne hanno immaginato vari e bizzarri come l’appartenenza a una setta satanica o un gioco sessuale tragicamente conclusosi. E poi, la completa assenza di prove fisiche: il dna di Guede è in tutta la scena del crimine, ma nulla si trova dei due presunti assassini. Tutto è collegato alla confessione della Knox, estorta dopo una intollerabile pressione psicologica nei suoi confronti: la restrizione in carcere, il susseguirsi di interrogatori stringenti. La vittima, Amanda, non è italiana e ha una conoscenza sommaria della lingua e si trova in un girone infernale di cui non capisce il linguaggio e gli obiettivi.
Dopo giorni di martellamento, Amanda crolla e coinvolge il suo datore di lavoro Patrick. Ma questo ha un alibi di ferro e l’accusa cade. Tuttavia il resto della cosiddetta confessione viene considerato attendibile e usato in dibattimento.
Un metodo che ricorda l’uso delle cosiddette confessioni del figlio di Ciancimino (definito eroe dell’antimafia), spesso smentite dai fatti, ma ritenute per il resto pertinenti.
Non c’è dubbio che, con la più recente sentenza della Cassazione sul caso Knox-Sollecito si sia constatato come la giustizia penale italiana non vada bene e che debba essere riformata.
Se pensiamo alla corruzione (che è di moda in queste settimane, dopo tante lamentazioni dei procuratori della Repubblica e centinaia di articoli dei loro amici, con la recente ostensione della reliquia Antonio Di Pietro, mai come ora sugli schermi televisivi), e cerchiamo qualche statistica, scopriamo che oltre il 50% dei processi (pochi) imbastiti termina con l’assoluzione di tutti o di qualche imputato. E allora? È una questione di pene, di prescrizione o di capacità processuale di collegi e procure?
Purtroppo, dopo il trasferimento della titolarità delle investigazioni dagli organi di polizia ai pubblici ministeri, c’è stato un crollo di risultati. L’unico strumento canonico d’indagine è l’intercettazione telefonica, che viene usata a tappeto, sia quando c’è un elemento concreto su cui puntare, sia quando la notorietà della fattispecie o dei protagonisti induce una procura a metterli sotto esame.
Del resto, anche l’ultimo scandalo, quello di Incalza, viene fertilizzato sulla stampa da notizie piuttosto sconcertanti: il rinvenimento di piccole somme in euro (piccole rispetto alla mole dell’impianto accusatorio) o il trasporto di scatoloni dal ministero ad altra destinazione, le cui fotografie recano la suggerita didascalia che negli stessi potrebbero essere occultate somme di denaro. Ma se sono stati i Ros a fotografare e filmare i preziosi scatoloni, perché a un certo momento non sono intervenuti per sequestrarli, aprirli e conquistare la prova del passaggio di soldi (illeciti)? Una specie di nuovo caso Riina, con l’accusa (permanente) di non avere perquisito il suo covo?
E poi, a margine del caso Incalza, qualcuno apre una questione Guido Improta, assessore alla mobilità del comune di Roma, che sarebbe implicato in una discussa (e censurata?) decisione relativa alla metropolitana di Roma. Ma un avviso di garanzia non è mai arrivato. In compenso, il premio Nobel Marino, sindaco di Roma, insieme a Matteo Orfini ha stabilito una preliminare e pregiudiziale solidarietà con il nonimputato, compromettendosi e compromettendolo se ci fosse realmente un file giudiziario che lo riguardi.
In un paese così scombinato, sono molti quelli che fanno la loro parte per scombinarlo ancora di più.
Domenico Cacopardo


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