15 giu 2015

"Roma come Calcutta"... di Domenico Cacopardo



È condannato a governare, Matteo Renzi, nonostante i pasticci quotidiani, le insufficienze di sempre, il sostanziale avventurismo delle sue iniziative, si tratti di scuola o di riforma del Senato. Tutto sull’onda, senza un momento di riflessione, come se il mondo fosse iniziato il giorno in cui lui è entrato a Palazzo Chigi e che, da allora, le sue personali esigenze fossero quelle del Paese.

Basta andare in giro, per rendersi conto che l’Italia è allo sbando e che quel poco di positivo che si vede è frutto del caso che ha inserito nel «job act» idee e proposte del professor Ichino, che ha spinto la Bce al «quantitative easing», che ha mandato Mattarella al Quirinale dopo un incontro segreto Renzi, Amato, Braj andato pessimamente per l’exdottor sottile, gravato dagli anni e da un galleggiamento immeritato.

La cronaca di una giornata romana e le riflessioni che induce può descrivere lo stato in cui ci troviamo.

Cominciamo da Fiumicino: i tassisti non hanno la macchinetta per la carta di credito. Occorre aspettare mezz’ora perché ne appaia uno dotato dell’elementare strumento, necessario per agevolare i 150.000 nuovi arrivati di ogni giorno di questa stagione. A Roma non c’è «Uber» e nemmeno a Milano, per effetto della decisione di un giudice che ha ritenuto «concorrenza sleale» il nuovo servizio, dimenticando gli interessi dei cittadini consumatori e le opportunità che la concorrenza avrebbe indotto nel settore (più occupazione e miglioramento del servizio, attualmente operato da auto vecchie e scassate dalle quali è un’impresa salire e scendere), e trascurando la necessità di assicurare agli stranieri (c’è un’Expo in corso!) un servizio pari a quello assicurato altrove, soprattutto in Usa e in Cina.

A Fiumicino, oggi chiude il Terminal 3. Avevo immaginato che la società Aeroporti di Roma annunciasse che, dopo l’incendio, le maestranze italiane erano state capaci di ricostruire il Terminal, più bello che pria, in quindici giorni. È invece passato più di un mese e, a seguito del sequestro dell’autorità giudiziaria, non è iniziato alcun lavoro. Per carità, la magistratura applica la legge, ma qualcuno si è posto il problema del danno che produce all’Italia la riduzione della capacità di Fiumicino al 60%? Ciò significa che 60.000 persone al giorno saranno dirottate altrove e che imprecando contro l’Italia, difficilmente affronteranno di nuovo il Calvario ch’essa rappresenta. 

Roma è la capitale d’Italia. Mezza giornata in giro per il centro mostra: Piazza Navona in mano a accattoni di tutti i generi, venditori d’ogni cosa, pagliacci, musicanti (dalle facce patibolari) e presunti pittori, tutti arroganti e insultanti coloro che non offrono l’obolo dovuto. Dalle 18 alle 19,30 non un poliziotto, non un carabiniere, non un finanziere. Di vigili urbani manco a parlarne, non esistono. Poco più in là, via della Maddalena, con rissa in corso tra extracomunitari presumibilmente africani per questioni di occupazione del suolo per vendere mercanzia illegale. Anche qui le forze dell’ordine non esistono. Siamo nel cuore della Roma istituzionale. E in via Vittoria Colonna, sulla direttrice di via Tomacelli, un mondezzaio a cielo aperto: tra il bordo del marciapiede e la strada la spazzatura non viene asportata, all’evidenza, da giorni.

Se l’aspetto della capitale è questo, accanto ai gravi problemi del Campidoglio, si pone quello della inefficienza di coloro che lo governano, da Marino ai suoi esimi assessori.

Passiamo da Roma Tiburtina, ormai la stazione principale. Qui, oltre alla solita umanità di zingari organizzati che, in quattro o cinque, assaltano i soggetti adatti, di «home-less», di disperati, vivono alcune centinaia di neoimmigrati illegali, quelli che vengono fatti scappare dai Centri di accoglienza, ancora in mano a chi li gestisce da tempo. Un poliziotto con mascherina sussurra che c’è di tutto: dalla scabbia alla tubercolosi (si vede dagli sputi sanguinolenti in terra), a ogni altra malattia immaginabile. A domanda, precisa: «Ma crede possibile che questi, anche gli ultimi, siano sottoposti ad accertamenti sanitari che durano qualche ora per ognuno?»

Uno spettacolo incivile, tossico, indecoroso offerto a tutte le migliaia di italiani e stranieri che transitano dalla stazione.

E poi, ci chiediamo perché l’Europa ci abbia abbandonati, lasciati soli di fronte alla biblica migrazione, stretti tra i buoni sentimenti di papa Francesco, i pessimi dei finti enti di beneficenza e l’impossibilità di una misura ragionevole, una reazione logica? In definitiva, una politica?

Anche a Milano la stazione centrale (e non da ieri, da mesi distratto sindaco Pisapia) è un accampamento a cielo aperto di un’umanità dolente, portatrice di malattie e di disordine.

Ci vorrebbe un cambio di passo, a Roma, a Milano, nel governo e, in particolare, al Viminale dove siede Angelino Alfano, soprannominato «massima allerta». Non ci sarà. Matteo Renzi continuerà a governare, trovando ogni volta una maggioranza d’accatto, visto che nessuno in Parlamento vuole andare a casa, per effetto di uno scioglimento anticipato.

Continueremo a sprofondare, sapendo ogni giorno di più che il giovane naif alla guida del governo è del tutto insufficiente per affrontare la situazione, che ha sbagliato ovunque, e soprattutto in Europa dove non ha saputo battere i pugni sul tavolo quand’era necessario, e con l’America: invece di affrontare Obama e le sue sciocchezze là dov’era necessario, al G7, gli ha solo tirato un calcio negli stinchi il giorno dopo, ricevendo Putin in Italia.

In altri tempi, ci sono stati presidenti del consiglio che non hanno avuto paura degli Stati Uniti e hanno deciso solo nell’interesse dell’Italia e della sua sovranità. 

Dovremmo rassegnarci. Sarebbe naturale.

Non lo faremo, anche se sappiamo che l’intelligenza politica e la conoscenza dei problemi non si comprano al supermercato, non smetteremo di criticare questo Renzi e il suo modo di governare, nella speranza che un giorno un barlume accenda la sua mente e gli suggerisca di inarcare la schiena e di fare ciò che deve.
Domenico Cacopardo

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