25 gen 2014

Interessante nota di Domenico Cacopardo sul giorno della memoria..

PUBBLICHIAMO QUESTO RICHIAMO AD UN TRAGICO PASSATO...ESPOSTO IN MODO ELOQUENTE DA DOMENICO CACOPARDO..AFFINCHE’, COLORO CHE L’HANNO VISSUTO, POSSANO MEGLIO SPIEGARLO AI NOSTRI GIOVANI.

Voi che vivete sicuri/Nelle vostre tiepide case,/Voi che trovate tornando a sera/Il cibo caldo e visi amici:/Considerate se questo è un uomo/Che lavora nel fango/Che non conosce pace/Che lotta per un pezzo di pane/Che muore per un sì o per un no./Considerate se questa è una donna,/Senza capelli e senza nome/Senza più forza di ricordare/Vuoti gli occhi e freddo il grembo/Come una rana d'inverno./Meditate che questo è stato:/Vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore/Stando in casa andando per via,/Coricandovi alzandovi;/Ripetetele ai vostri figli.
Con questi versi, Primo Levi (19191987),partigiano, chimico e scrittore arricchisce il proprio romanzo “Se questo è un uomo”, dedicato alle atrocità vissute durante il fascismo. Dal 1943 prigioniero dei nazifascisti e, nel febbraio del 1944, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreoScampato al lager e tornato in Italia, ha documentato le non immaginabili sofferenze sue e dei suoi compagni di prigionia a futura memoria.

Le generazioni che si sono succedute dal 1945, non hanno avuto conoscenza di ciò ch’erano stati il fascismo e il nazismo. Di quanto la dignità umana fosse calpestata ogni minuto di ogni giorno, di quanto dolore fosse dispensato a chi era contrario ai regimi o, semplicemente, ebreo, zingaro od omosessuale. A un livello poco meno infimo erano collocati gli slavi, usati come schiavi nelle officine e nelle fattorie della grande Germania.

L’Italia seguì l’esempio del regime tedesco e adottò, nel 1938, leggi razziali scritte sul criminale esempio d’Oltralpe e aggravate durante il periodo della Repubblica sociale.
La loro applicazione venne, in qualche caso, mitigata dalla popolazione, incapace delle crudeltà ch’esse comportavano.
Questo atteggiamento, però, non fu così generale e unanime come ci si sarebbe aspettato. Molti, per interesse, approfittarono della situazione, impadronendosi di aziende di proprietà ebraica. La casa editrice Treves, una delle più importanti della nazione, venne rilevata da Aldo Garzanti che ne assorbì il catalogo  e le diede il proprio nome.
Le confische di beni ebraici si susseguirono a ritmo serrato. Nulla venne risparmiato. E, nel ’43, iniziarono i rastrellamenti.

La più ampia comunità ebraica è quella di Roma: qui il destino si compie il 16 ottobre 1943. Raccontiamo brevemente la storia: qualche giorno prima, il 26 settembre, due esponenti dell'ebraismo sono convocati dal comandante della polizia tedesca, il maggiore delle SS Herbert Kappler, che chiede la consegna entro 36 ore di cinquanta chili d'oro, in cambio della vita di 200 ebrei romani.
L'oro viene trovato, i tedeschi sembrano placati, gli ebrei si tranquillizzano. Tra il 29 settembre e il 13 ottobre i tedeschi penetrano negli uffici della comunità e asportano documenti e libri antichi.
Poi, all'alba del 16 ottobre, circondano il Ghetto di Roma e irrompono nelle case strappando uomini, donne, anziani e bambini dalle loro abitazioni, caricandoli sui camion e portandoli a palazzo Braschi e in una caserma di via della Lungara. Dopo qualche giorno gli oltre mille ebrei catturati nella razzia vengono gettati su treni e avviati a Fossoli e da qui ad Auschwitz, dove, quasi tutti, vengonocondotti, appena scesi dai treni piombati, alle camere a gas e uccisi con lo Ziklon C. Alla fine, a Roma gli ebrei deportati saranno 2091, su una comunità molto più ampia, dispersasi nelle campagne, rifugiatasi nelle case di amici ‘gentili’ (cioè non ebrei), nascostasi in istituti religiosi, compreso il Vaticano. Qui, era l’Oratorio di San Pietro, in Largo del Sant’Uffizio (ora via Paolo VI), la porta d’ingresso nella salvezza. L’Oratorio era un luogo di raduno di giovani, ma soprattutto di assistenza agli indigenti: colonne di persone in attesa di un pasto si assiepavano sul marciapiedi sul quale si affaccia l’imponente portone della sacra temuta congregazione. Per ordine personale di papa Pio XII, alcuni prelati erano pronti ad accogliere i perseguitati razziali e politici che riuscivano a raggiungere quel luogo, superando la vigilanza delle polizie politiche che imperversavano nella capitale. Venivano in parte sistemati nel Vaticano medesimo o trasferiti, con mezzi dello Stato pontificio, in strutture religiose di Roma e del Lazio.
Circa 9000 furono gli ebrei italiani deportati in Germania. Di essi quasi 8000 non fecero ritorno.
Questa la macabra contabilità italiana d’una tragedia che attraversò l’Europa, dalla Francia alla Russia provocando tra i 5 e i 6 milioni di vittime. A esse vanno aggiunti i caduti in operazioni belliche (almeno 25 milioni), i prigionieri di guerra deceduti nei campi di concentramento, le vittime civili delle truppe tedesche e italiane nei Balcani, in Grecia e in Russia.

Perché la tragedia non venga dimenticata e perché sia comunicata alle generazioni post-belliche, è stata istituita la Giornata della memoria, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno, nell’anniversario della liberazione del campo di Auschwitz-Oświęcim da parte delle truppe sovietiche.
In tutto il mondo, questa memoria è tenuta viva, non tanto per se stessa, quanto perché, attraverso la conoscenza, si riscaldino le coscienze e si impedisca, così, il ripetersi del razzismo e delle sue feroci, inumane conseguenze.



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