I primi sei mesi di governo hanno conferito un’aura di invincibilità al nostro premier, paragonato spesso, per l’avvio folgorante, e noi per primi, al Napoleone degli esordi, della Convenzione e della Campagna d’Italia. Sono molti i meriti che Renzi ha acquisito dal giorno in cui ha conquistato il Pd, l’8 dicembre del 2013.
Il primo è di avere rimesso al centro la politica, riesumando, anche qui, la tecnica bonapartista della conquista della posizione centrale. Dopo la vittoria nel partito, ha rovesciato il tavolo stringendo un patto (che oggi possiamo dire di ferro) con l’odiato (e invidiato) nemico del popolo, Silvio Berlusconi. Si è costruito così due maggioranze intercambiabili e prone ai suoi desideri: quella della coalizione al governo e quella delle riforme istituzionali, più ampia.
Ha avuto fortuna. È stato aiutato dagli sciocchi errori di Grillo e della sua improbabile armata: il comico genovese, che dall’entrata in politica lucra i dividendi di un blog largamente usato dai pubblicitari, aveva avuto in mano per qualche settimana il Paese. Il segretario del Pd, Bersani, gli aveva porto in un piatto d’argento e in diretta streaming l’azione governativa, secondo le sue contraddittorie, inconsistenti e spesso sciocche proposte.
Ebro dell’inaspettato successo elettorale, Grillo aveva rifiutato, ridicolizzando l’interlocutore (Bersani stesso).
Gli autobus, nella storia, passano una sola volta e lui l’aveva perduto.
Ed è stato aiutato dall’algida signorilità di Enrico Letta, rimosso come un qualunque impiegato del comune di Firenze.
Dunque, occorre riconoscergli anche l’archiviazione degli eredi del Pci e l’avvio di una stagione di trasformazioni epocali. Per il Senato siamo agli sgoccioli ed è lecito immaginare che questa settimana la prima lettura di Palazzo Madama sarà compiuta.
Il resto, cioè le riforme annunciate e in via di approvazione, sono al 90% aria fritta, nel senso che la loro funzione non è quella di trasformare la burocrazia, la giustizia, il mercato del lavoro, le pensioni, ma solo quella di permettere al capo e ai suoi evanescenti collaboratori di annunciarle come compiute. Un’operazione immagine (un tempo si chiamava propaganda).
Nella cavalcata di questi mesi sono, però, già visibili i limiti della politica del premier e il suo orizzonte.
La trasformazione dell’Italia costituzionale in una Repubblica monocamerale con preponderanza dell’esecutivo e del suo presidente, si presenta come una serie di successive battaglie parlamentari, tutte da vincere. Siamo appena agli inizi e il percorso sarà accidentato.
Certo, come disse Mao Tse Dong, «La lunga marcia cominciò con un passo.» Nel caso di Renzi, tutto è legato al modello di governo, accentrato e ben lontano da quello definito dai padri costituenti proprio per evitare il pericolo rappresentato da gente come lui. L’altro elemento critico è e sarà l’economia, scienza che non si può addomesticare con le parole.
Infine, il giovanotto fiorentino ha accoppiato a rovinose cadute diplomatiche, alcune iniziative che ci fanno ritenere che possegga un buon intuito. La visita ad al-Sīsī, presidente egiziano, è un passo importante verso il fronte islamico moderato (l’unico che può determinare la pace in Medio Oriente) e per una politica attiva verso la Libia. E, a proposito di Libia, l’avere tenuto sino a ora le posizioni con il mantenimento in vita della nostra ambasciata (la sola tra quelle occidentali) ci può restituire il ruolo perduto per la sconsiderata iniziativa di Sarkozy e delle truppe francesi nel 2011.
Insomma, per tornare al confronto bonapartista, la campagna di Russia è ancora lontana e Renzi può felicemente godere della gloria che arride agli audaci, ai fortunati, ai furbi e, perché no, ai capaci.
Una critica equilibrata e ricca di argomenti che Domenico Cacopardo esprime al meglio e con chiara scrittura. Il paragone con la figura di Napoleone sembra opportuno...ed il patto con l'odiato nemico del popolo.. pare rinforzarsi.
Si..è vero!..il Premier è stato persino fortunato... aiutato dagli errori commessi da altri e messi in evidenza nella critica di Domenico, ma la sua sete di ambizione lo condannerà poiché appare totalmente privo di umiltà nell'affrontare le immense problematiche.
Tuttavia non è strano in un Paese come il nostro (dove tutto pare possibile) vedere insieme un pregiudicato ed uno spregiudicato (divisi da una sola s) dettare il programma e le regole della futura politica...ed è sempre il popolo, in parte ingannato ed in gran parte ignorante, a volere tutto ciò.
In quanto all'intuito, lo stesso cugino Domenico, potrebbe insegnarci che... se non posto per un buon fine e solo per usi fin troppo grandiosi e personali, non potrà mai ottenere i risultati che si vorrebbero. I gufi sembrano quasi scomparsi dall'immaginario del premier...ma penso che ben presto arriveranno le volpi.. (compagnie spesso presenti nella compagine del suo alleato per le riforme).
Il Paese sembra proiettato verso lo sconquasso economico...ed il popolo.. testardo quanto mai....invece di ponderare con equilibrio ed una maggiore conoscenza i programmi....continua a nutrire speranze verso queste figure comunicative capaci di incantare.
vincenzo cacopardo
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