26 ott 2014

Nota recensiva sul nuovo articolo di Domenico Cacopardo



di domenico Cacopardo
Fa ridere l’indignazione Barroso, non di Katainen, il commissario competente per gli affari economici e monetari, per la pubblicazione, da parte del governo italiano, della lettera ricevuta giovedì con la richiesta di chiarimenti sulla legge di stabilità 2015.

Appartiene alla barocca e opaca liturgia inventata dai burocrati dell’Unione, questa specie di balletto di osservazioni e controsservazioni, da tenere riservato per non esporre i burocrati stessi al rischio di venire smentiti dai fatti e dalle decisioni della Commissione. Come del resto nelle previsioni, tutte sballate, relative alle loro controproducenti iniziative.

E ha fatto benissimo Matteo Renzi a pubblicare, dopo avere ottenuto il consenso di Katainen, la missiva. E farà ancora meglio a illustrare tutti gli sprechi di cui sono specialisti «lor signori» di Bruxelles.

La risposta del governo, anch’essa pubblica, sarà difficilmente contestabile, giacché sarà fondata sulla realtà dei fatti, che sono coerentemente volti a prendere atto della profonda recessione in corso, causata sì dalle leggerezze passate, ma più di recente da una politica europea disinteressata al benessere dei cittadini e alla salvaguardia dell’occupazione.

Una strada, quella imboccata dalla finalmente scaduta Commissione Barroso (che ha gettato la maschera dimostrandosi, per calcoli opportunistici, nemico dell’Italia), del tutto distruttiva del modello economico-sociale affermatosi nel secondo dopoguerra nel continente. Un collasso che ormai mette in discussione l’esistenza stessa di questa Unione europea, che guarda alle astratte «tavole» di una legge improvvida e sbagliata come il «Fiscal compact».

Ricordiamo tutti il presidente «ridens», Mario Monti, annunciare agli italiani la firma del relativo protocollo e i vincoli che avrebbe comportato.

Ma l’economia, come la vita e la società non rispondono agli astratti comandi degli economisti, dei sociologi, dei dittatori. Rispondono agli esseri viventi che sono capaci, anche senza rivoluzioni violente, di rovesciare gli astratti comandamenti per operare con più intelligenza e buon senso dei loro medesimi governanti.

«Dall’analisi preliminare … l’Italia programma una significativa deviazione dagli aggiustamenti richiesti per centrare l’obiettivi di medio termine nel 2015 … La Commissione intende continuare il dialogo costruttivo con l’Italia per arrivare alla valutazione finale … e gradirebbe il … (nostro, n.d.r) punto di vista non appena possibile e preferibilmente entro il 24 ottobre», questo il succo della nota dell’Unione, cui si vuol dare il significato (erroneo) di una reprimenda.

I punti più sensibili sono il mancato rispetto del patto di stabilità nel 2015, con uno scostamento del deficit consentito dal 2,3% al 2,9% e il rinvio del pareggio strutturale di bilancio.

Come se qualcuno rimproverasse un naufrago perché è tutto bagnato e non riesce ad asciugarsi nei tempi voluti.

È di tutta evidenza che si tratta di una posizione negoziale, espressa nell’ottuso linguaggio che domina i corridoi di Bruxelles, percorsi da centinaia di impiegati, lautamente retribuiti, che hanno costituito una casta autoreferenziale, indifferente rispetto alla vita pratica degli amministrati.

Spesso, grattando dietro le paludate posizioni, si scoprono interessi concreti, concretissimi, legati a realtà concorrenti dell’Italia, più capaci di «lobbying» di quanto siamo noi e le nostre aziende. 

In un tempo lontano, negoziando il piano siderurgico con Bruxelles, ci accorgemmo all’improvviso che le prescrizioni che uscivano dagli uffici erano tutte «favori» nei confronti della siderurgia belga, cui il visconte Etienne Davignon (nella Commissione Thorn, 1981-1985, vicepresidente e commissario per l'energia e gli affari industriali) era molto legato. Anche questo succede a Bruxelles e da sempre. 

Su quello che accade in queste ore, è lecito ogni sospetto, anticamera della verità (Ennio Pintacuda, gesuita).

A questo punto, occorre dire che, in sostanza, nulla che non fosse esplicito, alla luce del sole, c’era nelle intenzioni e nelle dichiarazioni pubbliche del governo italiano. E la risposta a Bruxelles si discosta dal passato perché non ha nulla del tremolante, tremebondo atteggiamento cui Monti e Letta avevano abituato gli eurocrati. La prospettiva di un accordo su un aggiustamento ragionevole indica la via di un’approvazione, magari condizionata al mantenimento delle promesse di riforma, ma pur sempre un approvazione, con buona pace del neorigorista Barroso (permissivista a suo tempo a casa sua, il Portogallo).

Ce la giochiamo serenamente a tutto campo la partita della legge di stabilità 2014. In attesa dell’insediamento della nuova Commissione, presieduta da Junker, con il suo programma di lotta alla recessione, rilancio economico e di finanziamento di 300 miliardi di infrastrutture, terreno duro. Alla fine anche se Barroso e la sua scaduta compagnia dovessero assumere l’atteggiamento inaccettabile che possiamo immaginare, è nella disponibilità del governo italiano fare l’uso migliore delle indicazioni comunitarie, accelerando il processo riformista, laddove è possibile farlo e continuando a perseguire una politica accettabile.

Un'altra «hora de la verdad» (il momento in cui il torero deve affondare la sua spada nell’attaccatura del collo dell’animale) per Renzi e il suo governo. 

Al di là dello stupido disfattismo di tanti osservatori invidiosi, siamo convinti che funzionerà.



di vincenzo cacopardo
Puntuale questa nota di Domenico Cacopardo che ci illustra gli ultimi avvenimenti di Bruxelles. La « barocca e opaca liturgia » inventata dai burocrati dell’Unione, si mette in evidenza in questi giorni in modo quasi ridicolo e non si può dire che Domenico non abbia reso con perfezione tutto ciò. Non v'è dubbio, tuttavia, che la prospettiva di un accordo su un aggiustamento ragionevole indica la via di un’approvazione, seppur...condizionata al mantenimento delle promesse di riforma.

Nulla da eccepire su questo, curioso..se non alquanto bizzarro, atteggiamento della Commissione definita tra le righe da Domenico come una «scaduta compagnia». Quello che è accaduto potrebbe ascriversi ad un' opera teatrale tragicomica...ma il problema nel merito delle riforme nel nostro Paese resta e permane immenso. 

Non volendo per nulla apparire come uno di quegli osservatori invidiosi che fomentano disfattismo ed allarmismo, da cittadino di questo Paese..posso permettermi di riflettere nel merito delle riforme, in quanto risulta essere il principale problema che mi stuzzica da attento speculatore del funzionamento della politica.. quale io sono. 

I principi di alcuni osservatori come me.. si basano, non tanto sull' atteggiamento poco chiaro di una Commissione Europea..nè sul metodo già di per sé poco ortodosso ed indisponente con il quale il Premier si muove e di cui tanto ho scritto, ma sul merito di ciò che propone e cioè: Riforme costituzionali che non predispongono ad un'apertura verso una democrazia moderna e che, al contrario chiudono con forza ogni partecipazione ad ogni dialogo.... Una riforma sul lavoro che restringe e non aiuta a crescere poiché limitata alle regole e non arricchita di nuove iniziative.... Una riforma sulla giustizia che prevede il percorso breve di una estrema semplificazione e che non porta in sé alcuna idea per un vero meccanismo della sua funzionalità. 

Non si capisce quindi perchè..quando si parla di riforme, si rimanga fermi sul fatto che si stiano facendo, sottovalutando..anzi quasi omettendo.. la logica di una loro peculiare qualità e prerogativa.

Se.. a questo.. aggiungiamo il metodo delle continue fiducie espresse su ogni proposta di legge e le inopportune, se non del tutto irregolari deleghe al governo, governo definito dallo stesso Domenico, come un esecutivo composto da una stra-maggioranza di incompetenti.. .mi permetto di sottolineare che, il ridicolo o curioso atteggiamento della Commissione, può solo rappresentare il male minore delle problematiche odierne della politica del nostro Paese.

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