il popolare difficile
Un
centro destra in caduta libera tenuto in vita artificialmente dalla
interlocuzione sulla nuova legge elettorale, un centro sinistra dalle
innumerevoli anime tutte in gran pena, una maggioranza di governo
anomala per una disomogenea struttura ideologica e tuttavia
durevolmente legittimata di diritto –come deve essere – dal
parlamento, e di fatto da un capo dello stato nel ruolo di
missionario intento a portare avanti un'impresa nel tentativo di
lasciare un -improbabile- indelebile ricordo di un ruolo che possa
essere considerato “prezioso” nel suo complesso.
Poi
l'epilogo – prevedibile, dannoso ed evitabile – di una storia di
azione sindacale che oggi mostra il suo aspetto peggiore, quello
esasperato della sua impropria rappresentazione attraverso individui
che nascondono il volto mentre lanciano bottiglie incendiarie,
generando reazioni che fungono da efficace strumento politico per
l'attacco, in termini di ossessiva personalizzazione e di facile e
populistica condanna, al capo del Viminale di turno.
Certo,
fa specie vedere all'opera un governo a guida PD attaccato da una non
indifferente, numerosa piazza. Ma fino a quanto la protesta della
“agorà” è veramente diretta verso l'esecutivo – nel classico
gioco delle parti – e fino a quanto è invece effetto contingente
di una crisi economica senza precedenti che oggi vede l'Italia con il
PIL più basso persino di quello della Grecia?
Invocando
una propria e non unanime prioritaria ragion di stato Renzi, forte di
una ritrovata consistenza del nostro paese nel consesso europeo, si
intesta l'audace e diplomatico – ma inefficace – rispetto delle
ragioni “popolari”,associandolo nel contempo al suo stesso
sostanziale disdegno che, in nome di un presunto ed inesorabile
mutamento epocale del rapporto tra politica e cittadini, delude ogni
espressione cosiddetta radicale ed identificabile con la
rappresentanza di un anacronistico“proletariato”.
Ma
se il nuovo preponderante corso della sinistra italiana si identifica
sempre di più con la componente cosiddetta “moderata” dello
scenario politico del nostro Paese, occorre prima di tutto, con
onestà intellettuale,negarne la originalità, in considerazione dei
già numerosi teorizzatori-precursori già attivi dagli anni
sessanta, quando si concretizzò definitivamente l'identità della
componente“socialista” ed il successivo sviluppo di una naturale
compatibilità con l'anima popolare più centrista, culminata
nell'area temporale dell'asse Craxi-De Mita.
E
neanche socialista, ma “popolare”sembra che, non senza
difficoltà, sia la strategia di matrice renziana, nella disperata
ricerca di un popolarismo centrista che confina ogni ideologia di
stampo “metalmeccanico” ai margini, ma che non può evolversi in
un trionfo scontato perché, economicamente argomentando, oggi
viviamo tutt'altro che gli anni sessanta.
Paolo
Speciale
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