di domenico Cacopardo
Che, a questo punto, sia emerso in tutta la sua gravità, anche per noi italiani, il pericolo Isis, appare evidente, vista la crescente presenza dello Stato islamico terrorista nell’exLibia, quasi del tutto conquistata. Ci manca poco infatti che Tobruk e Tripoli siano sommerse dalla moltitudine di tagliagole che ha infestato il mondo arabo. Anche se Tobruk e Tripoli non sono ancora cadute, i militanti della Jihad sono presenti in forze nel Sud della Tunisia e dell’Algeria, in Ciad e in Mali, a testimonianza di una manovra che non si arresta e si avvia a coinvolgere tutto il mondo islamico (basta pensare, oltre che alla Siria e all’Iraq, anche alla Nigeria, all’Afghanistan e al Pakistan, sempre sull’orlo, quest’ultimo, di finire nelle mani dei taliban).
Un pericolo, questo dell’Isis, che riguarda certo le nazioni musulmane laiche e moderate, ma anche noi, poiché è nella natura di questo ormai non più sedicente Califfato di riproporre lo schema che, nella Storia, s’è conosciuto varie volte, concludendosi sempre nello scontro frontale tra Oriente e Occidente e nella vittoria finale di quest’ultimo (Poitiers, Vienna, Budapest, Kosovopolie, Lepanto).
Che ormai i margini di attesa si siano esauriti, l’ha testimoniato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, un uomo sempre cauto, e l’ha confermato il presidente del consiglio, ribadendo la necessità di un’operazione Onu e non Nato. Il senso della dichiarazione di Renzi fa pensare a un intervento di «peace keeping», cioè di promozione della pace tra le fazioni in campo.
Qui, un osservatore senza pregiudizi può rilevare che il «peace keeping» non c’entra nulla. La questione è ben diversa, al minimo si tratta di «peace enforcing», cioè di imporre con le armi la pace.
Oggettivamente, il governo italiano non poteva dire di più. Per esempio che l’Isis e i suoi militanti sono una forza eversiva dell’ordine internazionale che va combattuta e abbattuta, strada questa che non è nelle corde dell’Onu, ma appartiene tutta alla Nato.
5000 uomini italiani sarebbero pronti (Roberta Pinotti, ministro della difesa) a sbarcare in Libia, assumendo la responsabilità di una missione militare di cui farebbero parte truppe francesi e del Regno Unito. Altre forze potrebbero-dovrebbero essere mobilitate, per esempio quelle tedesche.
Dobbiamo dire che, per fortuna e per volontà precisa dell’ammiraglio Gianpaolo Di Paola, già capo di stato maggiore della difesa e poi ministro, ci ritroviamo con due portaerei, la Cavour e la Garibaldi, e possiamo garantire un qualificato supporto alla missione.
C’è un problema di costi che, sperabilmente, l’Unione europea affronterà direttamente.
E, infine, c’è un'altra questione. Vitale.
Nel 2015, il 1° marzo, si compiono 119 anni dal disastro di Adua. Le recenti guerre dell’Iraq e dell’Afghanistan sono costate decine di migliaia di caduti occidentali, ma hanno lasciato sul terreno una situazione politico-militare peggiore rispetto al loro inizio.
Questa che si ha in mente, non sarà un’operazione incruenta. Sarà guerra vera e propria guerra dura e sanguinosa al di là del nome che le sarà dato. Dobbiamo saperlo.
E dobbiamo sapere che, se si scende in campo, bisognerà farlo per vincere: in palio c’è la sopravvivenza dell’Occidente e dell’Islam moderato.
«Tertium non datur», non c’è alternativa.
Circa tre anni fa fa, Francia, UK e Usa, decisero una guerra contro la Libia. Una guerra che l'Occidente ha combattuto contro Gheddafi e quattro milioni di beduini...in poche parole: Una guerra tra un gigante ed un nanerrottolo.
Il risultato di ciò fu l'autentica destabilizzazione di un paese composto da tribù governate con forza da un leader sgradevole fin che si vuole, ma che risultava efficace per la stabilità del territorio. Oggi pensiamo con terrore a questo paese a un tiro di schioppo dalle nostre coste.. poiché in quel territorio tutto è cambiato ed è cambiato anche il processo mentale degli stessi beduini libici.
Si poteva comprendere che si sarebbe arrivati a questo punto e che il Califfato si sarebbe imposto in un territorio divenuto terra di nessuno. Dopo la caduta di Gheddafi..nessuno ha pensato di riunirsi attorno ad un tavolo diplomatico per comprendere e risolvere le problematiche che nascono dopo un conflitto che destabilizza un potere, tendendo a comprimere derive di tipo terroristiche .
La Libia oggi “è caduta nell’anarchia e nel caos e non possiamo oggi meravigliarci di un simile risvolto. Sappiamo anche che dietro ad uno scopo di ristabilimento dei diritti umani da parte dei francesi, vi erano anche interessi di tipo economico. L’Italia sembra aver già pagato per una guerra contro i propri interessi... facendosi trascinare dalla stessa Francia.
Quello che desta inquietudine... oltre alla mancanza di una qualsiasi veduta più attenta su queste azioni non studiate preventivamente, è il fatto di affrontare con impeto e poca attenzione guerre senza pensare seriamente alle conseguenze che potrebbero scatenarsi. Si spera almeno che non siano nel metodo solo distruttive..ma in buona parte costruttive.
Vincenzo cacopardo
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