Ormai lo scontro sembra certo...ma come avverrà..in che modo? Possiamo solo sperare in una «peace enforcing», per imporre la pace attraverso l’uso della forza con estrema precauzione.
Il nostro Paese come anche la Francia, è in difficoltà finanziarie e non v'è dubbio che una responsabilità collettiva dovrebbe essere presa dall'Unione europea. In qualunque modo si svolgerà un attacco da parte del nostro Paese esso comporterà dei pericolosissimi rischi anche per i militari stessi che... operanti in quel territori... ove fossero presi prigionieri... sarebbero di certo decapitati.
Ma non possiamo essere ipocriti nel sottovalutare il temibile Califfato, in un territorio con le coste così vicine alle nostre che, in vista della moltitudine di sbarchi prevista, rappresenta oggi un vero pericolo per tutto l'Occidente.
E' vero!..è inutile nascondere che nel passato furono fatti enormi errori con una guerra in Libia per togliere di mezzo la tirannia di un colonnello (che tutto sommato manteneva un certo ordine), lasciando, appresso, il territorio nelle mani di nessuno, ma è anche vero che in tutto ciò.. l'Italia ha avuto minori responsabilità rispetto ad altri Paesi che oggi dovrebbero intervenire.
Vi sono stati di certo motivi di carattere economico, ma, anche di questi, oggi, l'Italia ne paga più di tutti il prezzo..poichè lascia un mercato in essere con la Libia (si parla di circa due miliardi) e potrebbe perdere anche.. il già precario.. beneficio dell'energia che ci viene inviata.
Immaginiamo un aeroporto e un gasdotto nelle mani di un califfato disposto a tutto. Immaginiamo aerei civili pronti a partire verso le nostre capitali carichi di prigionieri e materiale esplosivo..L'intervento occorre...ed anche in fretta poichè gli errori si stanno pagando e potrebbero pagarsi più caramente...Speriamo che lo “sgangherato governo “ possa muoversi con una strategia accurata e non con il solito uso della semplificazione!
In ballo sembra esservi la sopravvivenza di un Occidente, ma sarà sicuramente il nostro Paese (tra l'altro il più vicino alle coste libiche), a pagarne le maggiori conseguenze. La via di una pace attraverso la forza appare quindi doversi studiare con l'Europa.. con fretta ed estrema precauzione.
vincenzo cacopardo
È difficile seguire gli irresponsabili, continui cambiamenti di linea del governo Renzi, che, spesso, sembra più una combriccola di buontemponi fiorentini alla «Amici miei», che l’esecutivo di un Paese importante come l’Italia. La politica estera è il terreno su cui si misura più propriamente la capacità di essere protagonisti autorevoli e ascoltati.
Già l’esperienza del semestre italiano di presidenza europea, con l’infelice esordio della candidatura di un’inesistente Federica Mogherini all’inesistente incarico di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, era stata indicativa. Ora, il pasticcio «immigrazione illegale e Libia» ha messo in luce un dilettantismo così spiccato da superare le più pessimistiche aspettative.
Mettiamo in fila l’accaduto. Paolo Gentiloni, ministro degli esteri, persona cauta e riflessiva (non dichiarerebbe se non avesse sentito il primo ministro), dichiara che occorre combattere il terrorismo, ormai sulla «Quarta sponda» mediterranea. Subito dopo, Roberta Pinotti, ministro della difesa, annuncia che ci sono 5000 militari italiani pronti a capeggiare un corpo d’intervento in Libia. Matteo Renzi, in modo equivoco, concorda, salvo poi, tra domenica e lunedì, chiamarsi fuori e riferirsi all’Onu come sede di una qualsiasi iniziativa per contrastare l’avanzata dei tagliagole dell’Isis. Una questione, l’Isis in Libia, che si intreccia, come avevamo scritto la settimana scorsa, con l’arrivo della massa di immigrati illegali, di cui fa parte una modesta percentuale di rifugiati politici.
In proposito, fonti dei nostri servizi (Aise) fanno filtrare la notizia di 600.000 persone in attesa d’imbarco verso l’Italia.
Naturalmente, s’è visto di tutto, in particolare il ritorno di tutti i pacifisti ch’erano, da qualche tempo, a riposo.
Partiamo dalla presenza degli jihadisti in Libia. Si ritiene che siano tra i 12000 e i 15000 e che siano in espansione numerica e territoriale. Poiché laggiù si combatte una guerra tribale da un lato e politico-religiosa (gli aderenti all’Isis) dall’altro, risulta evidente che c’è una sproporzione di motivazioni e che, fatalmente, i radicali islamici sono destinati a prevalere, consolidando una conquista che, come uno «Scacco matto» cambia la geografia del Nord-Africa.
Si dice: «Fatti loro».
Invece, sono anche fatti nostri e per due sostanziosi motivi: il primo riguarda le nostre necessità energetiche (olio e gas) fortemente legate alle risorse libiche, sostenute da contratti (Eni) a lungo termine; in secondo luogo le esigenze di sicurezza. La caduta della Libia renderebbe precaria la situazione in tutta la regione, investendo Tunisia, Algeria e il medesimo Egitto.
Se questo è il problema, dobbiamo ammettere che la sua soluzione è al di fuori della nostra portata. I 5000 uomini della Pinotti fanno ridere per la macroscopica sottovalutazione delle esigenze militari. Ce ne vorrebbero almeno 50000 per mettere in sicurezza alcune zone e città costiere, impedendo all’Isis di «prendere» in mano la nazione. Quindi, l’operazione è di scala militare e costi non sostenibili dalla sola Italia né, probabilmente, da una coalizione con la Francia e la Spagna.
Si dice: se la vedano gli arabi; costituiscano loro una forza di intervento e di «peace enforcing»; noi li aiuteremo. Com’è accaduto in passato, la forza degli estremisti religiosi islamici è tale da rendere probabile che qualsiasi formazione militare composta da musulmani, schierata contro di loro, sia destinata a squagliarsi per l’irresistibile attrazione del fondamentalismo.
Perciò, invocare l’Onu è manifestazione d’ignoranza del ruolo delle Nazioni Unite e delle loro capacità operative. L’unico corpo di Caschi blu operativo in questo momento è in Congo e registra il totale fallimento della propria missione.
Le sedi, pertanto, di qualsiasi iniziativa sono la Nato e l’Unione europea. Attualmente, non è prevedibile la definizione di una politica comune di contenimento e contrasto dell’jihadismo mediterraneo.
Cosa resta sulle nostre spalle? Resta l’immigrazione con le sue inattese dimensioni, prossime a diventare bibliche, se almeno metà di coloro che sarebbero pronti a imbarcarsi ci riuscisse nei prossimi mesi.
L’altro giorno una motovedetta della Guardia costiera (disarmata?), minacciata coi «Kalashnikov» dai trafficanti non ha reagito, restituendo loro i gommoni dell’orrore. In un Paese normale, il comandante dell’unità sarebbe stato sottoposto a procedimento disciplinare militare. In Italia invece, uno dei capi della Guardia costiera ha sostenuto che la motovedetta era armata e che non si è ritenuto di contrastare i banditi per il timore di conseguenze per i migranti raccolti dal natante italiano. Come se banditi in fuga con la cassaforte (e i gommoni sono la cassaforte dei trafficanti, visto l’uso che ne fanno) fossero stati intercettati dai Carabinieri, che avrebbero recuperato la cassaforte. Ma, vista la loro (dei furfanti) minaccia armata, i Carabinieri, impauriti delle possibili conseguenze sui passanti, gliel’avessero restituita. Nel caso motovedetta, i gommoni erano vuoti, visto che i migranti erano già stati raccolti.
Quindi rimane forte e pesante il pericolo di invasione di un numero enorme di clandestini e la necessità di impedirla. Un’ipotesi è la ripetizione dell’«Operazione Albania», quando la Marina militare (anni ’90) fu mandata a distruggere gli scafi nei porti albanesi per bloccare il tragico traffico di uomini. E, questa ipotesi, è al momento l’unica iniziativa fattibile, in attesa che l’aggravarsi della crisi spinga il «concerto» della Nazioni a scendere in campo.
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