Se vogliamo davvero essere pragmatici e
realisti, non possiamo nascondere le enormi difficoltà di voler
risolvere questo problema di ordine mondiale senza l'impegno comune e
senza un preciso intervento nei luoghi in cui vivono tutti coloro che
affrontano questa migrazione ..ormai un vero esodo.
Siamo già da tempo sommersi da questa
problematica enorme e pericolosa.. in gran parte voluta per responsabilità
diretta di Cameron e Sarkozy circa la loro personale guerra per
interessi voluta in Libia. Due leader politici europei che oggi
tendono a sottovalutare il dramma non muovendosi
col dovuto impegno. Ma sembra inutile (se non per puro
contenimento) voler cercare soluzioni ottimali per bloccare
l'attraversamento in mare dei barconi dove ormai una esperta
manovalanza...quasi leggittimata in un paese africano assai poco
legalizzato, la fa da padrona: La vera soluzione rimane quella di
bloccare questo afflusso rendendo fruttuosi e più umani gli stessi
territori dai quali gli indigeni scappano.
L'agenzia
europea Frontex (per la gestione della cooperazione internazionale
alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea) è
un'istituzione che ha lo scopo di coordinare il pattugliamento delle
frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati della UE.
Un'agenzia che non può mai operare preventivamente per risolvere il
vero problema...quando questo alla radice è proprio quello di
bloccare sul nascere queste partenze. In
ciò non ci si è voluto impegnare con efficacia sul piano
internazionale attraverso un coordinamento strategico che potesse
mirare ad un'azione politica in complicità con tutti i paesi
limitrofi comprese le super potenze degli Stati uniti e della Russia.
Al
di là di ogni critica...solo la nostra Nazione si è mossa, spinta
da un particolare senso umano, a protezione delle vite dei tanti
emigranti (clandestini o no)...esortata da uno spirito umano innato
che da sempre l'accompagna. La politica internazionale, rimane al
contrario ancora assente, ricercando l'unica abituale via
dell'accompagnamento nei centri d'accoglienza con rischi e pericoli..
oggi.. sempre più evidenti soprattuto per il nostro Paese.
vincenzo cacopardo
Il cielo si è
fatto più scuro e minaccia tempesta. Benché Federica Mogherini
sprizzi soddisfazione da tutti i pori, la strada nella quale ci
stiamo incamminando con il consenso di Unione Europea e delle Nazioni
Unite (mezzi consensi, rispetto ai quali le inespresse riserva
mentali pesano come macigni) è disseminata di trappole mortali e di
rischi per la Nazione e quel poco di prestigio internazionale che le
è rimasto. Nonostante le ultime decisioni (?) dei ministri degli
esteri.
L’Unione sta
definendo una politica fondata su quattro punti: ridurre gli
incentivi alla migrazione irregolare; sicurizzazione delle frontiere
esterne; protezione dei richiedenti asilo; nuova politica della
migrazione legale.
Già con i quattro
punti si aprono questioni delicate per il governo italiano. Il primo
affronta la riduzione degli incentivi, affermando in modo indiretto
ciò che noi andiamo scrivendo da novembre 2013. «Mare nostrum»
(sarebbe meglio dire «monstrum» per l’orrenda mostruosità delle
stragi) e, in misura minore, «Triton» sono stati e sono supporto in
mare alle bande che gestiscono il traffico umano.
La riduzione degli
incentivi alla migrazione irregolare, va letta insieme al chapter 7
della Carta delle Nazioni Unite che consente «ogni azione necessaria
per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale».
In sostanza una missione militare europea volta a prevenire il
traffico di migranti a partire dalle acque territoriali e alle coste
libiche. Si dice in giro che, la missione si fonderebbe su attività
«mirate» di «commandos» nei confronti delle basi dei trafficanti
e dei loro natanti, su un certo numero di navi da guerra idoneo a
sostenere lo sforzo.
È facile
immaginare le situazioni: natanti difesi da miserevoli scudi umani.
Ritorsioni nei confronti degli immigranti che non riuscirebbe a
partire. Reazioni da parte della popolazione e delle milizie libiche,
nei confronti dell’unica merce abbondante, ma deperibile di cui
dispongono: le vite dei migranti.
Sarà una sciagura
se le operazioni militari saranno sotto comando italiano: assumersi
la responsabilità di ogni vittima civile (e saranno tutte vittime
civili, perché lo status di trafficante di uomini non è iscritto in
nessun registro) porterà il governo italiano confrontarsi con una
opinione pubblica incline a sottovalutare il problema immigrazione
per elevati sentimenti umanitari, ben promossi da chi ha interessi
concreti nel soccorso e nell’assistenza.
Certo, il comando
italiano consentirebbe agli alti gradi della Marina –gli unici a
possedere doti manageriali- di fregiarsi dei nastrini della campagna
con benefici economici e di carriera. Ma su queste esigenze della
grande corporazione autoreferenziale che si chiama «Forze armate»
non si può piegare (come accaduto molte volte nella Storia
dell’Italia unita) una Nazione, mettendo a rischio la sua immagine,
il suo ruolo, la sua dignità internazionale.
Il meno peggio
sarebbe un comando a rotazione, con uno Stato maggiore
internazionale, capace di attutire le pressioni degli ambienti più
esagitati.
La protezione dei
richiedenti asilo (punto 2 dell’Europa) nasconde spiacevoli verità.
La prima riguarda i tempi che si prendono le autorità italiane per
definire lo status di un immigrato. Passano mesi prima della
decisione: migrante illegale o profugo politico. E poi, altri mesi
per decidere sull’immancabile ricorso dell’escluso. La seconda è
che consentiamo a questa umanità dolente di andarsene indisturbata
in giro per l’Italia e, un po’ meno, per l’Europa. Domani,
sotto controllo internazionale (europeo) sarà impossibile alle
nostre autorità chiudere gli occhi di fronte alle pressioni del
buonismo politico e religioso, entrambi fertilizzati dalle risorse
che lo Stato getta in questa fornace senza fondo.
Su questo
inimmaginabile inefficienza dell’Amministrazione, si appunta
l’attenzione di Francia e Spagna, parimenti esposte nei confronti
di flussi, ma ben più seriamente operative, mercé sistematici
respingimenti: due nazioni che lunedì, a Bruxelles, si sono
rifiutate di partecipare alla spartizione dei migranti cui sarà
riconosciuto lo «status» di profugo. Vedremo che l’unico modo per
ottenere il loro vitale consenso –senza il quale l’azione
italiana e quella, modesta, molto modesta, di Federica Mogherini-
sarà rafforzare il ruolo delle commissioni internazionali. Il vero e
proprio commissariamento dei burocrati del ministero dell’interno.
Il quarto punto,
una nuova politica della migrazione legale, è puro buonsenso da
confrontare con le reali possibilità di concretizzarlo sul terreno.
Si dice di un
ufficio sperimentale in Guinea (equatoriale) con il compito di
effettuare lo «screening» degli aspiranti all’Europa. Ma resta da
capire cosa succede dopo. Con quali mezzi e quali tutele si
muoveranno le imbarcazioni governative che condurranno i «legali»
nel continente?
Insomma, il
problema «migrazione» è grave ed è stato aggravato dalla politica
di questi ultimi anni, della quale, incredibilmente, si vantano
Enrico Letta e Angelino Alfano. Dovrebbero esercitare, invece, il
dovere dell’autocritica, soprattutto per le condizioni in cui è
stata lasciata degradare (non solo da loro) l’amministrazione
dell’interno, un tempo fiore all’occhiello (con la Ragioneria
generale e il Corpo diplomatico) dell’organizzazione dello Stato
con i prefetti realmente ufficiali di governo, capace di coordinare
le attività territoriali d’ogni ministero. Non ancora trasformati
in operatori di pubblica sicurezza (dal che deriva l’anomalo
travaso di funzionari della carriera di Polizia e ufficiali dei
Carabinieri. Un poliziotto, De Gennaro, fu, per non dichiarati
meriti, addirittura posto da Giuliano Amato nel posto di capo di
gabinetto –mai affidato a un funzionario non proveniente dalla
carriera prefettizia- sin lì ricoperto con onore da uno stimato
prefetto, il dottor Carlo Mosca) i prefetti sono senza poteri, senza
vocazione specifica, senza autonomia rispetto alla catena di comando
costituita dalle Procure della Repubblica.
A giugno, quando i
capi degli esecutivi europei, sentita la decisione Onu, approveranno
un piano, capiremo il definitivo «che fare». Allo stato, i segnali
inducono al pessimismo.
Domenico Cacopardo
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