Nei giorni
delle prime rivelazioni, tuttavia, sembrano assodate alcune cose. La
prima, per il combinato delle ispezioni prefettizie e delle
valutazioni del procuratore Pignatone, riguarda la macchina
municipale, fortemente compromessa e inquinata. Con l’arrivo di
Ignazio Marino alla testa del Campidoglio, la situazione non è
migliorata, visto che non si è posto mano al profondo, totale
rinnovamento ch’era necessario.
L’imponente
relazione che il prefetto Gabrielli ha consegnato mercoledì al
ministro Alfano, spiega, infatti, come la burocrazia romana debba
subire una profonda operazione di pulizia, con la rimozione di molti
dirigenti apicali, a partire da Liborio Iudicello, il vertice del
sistema amministrativo romano, già segretario generale della
provincia di Firenze ai tempi di Matteo Renzi.
Certo, né
Gabrielli né Pignatone si sbilanciano nel sostenere l’opportunità
di rimuovere Marino e di commissariare il comune, ma in sostanza di
questo si tratta. Se il sindaco s’è rivelato incapace di incidere
sulla struttura (marcia) comunale ed è stato necessario che un terzo
(Gabrielli) stabilisca chi rimuovere, è evidente che l’operazione
avviata dalla relazione prefettizia consiste proprio in questo:
sostituirsi a Marino e indicare dove intervenire e chi allontanare. A
questo punto, è anche possibile (sarebbe estremamente utile) che
coloro che sostituiranno i burocrati rimossi sia scelti «d’accordo»
con la prefettura.
Certo,
Gabrielli smentirà, ma è nell’ordine delle cose e dell’emergenza
Giubileo che il ricambio dei dirigenti avvenga prestissimo e sia
concordato in modo da evitare che un politico non romano come Marino
commetta altri errori di persona.
La
situazione, comunque, è paradossale.
Pignatone
vara l’operazione «Mafia capitale» che viene presentata
dall’informazione come la testimonianza di una capitale mafiosa, in
mano a un clan criminale che ne controlla la macchina amministrativa.
Solo
Giuliano Ferrara si dissocia dal coro, per sostenere che Roma non è
mafia e che il fenomeno messo in luce dalla procura riguarda un
gruppetto di persone con la vocazione dell’imbroglio organizzato.
Manca, tra l’altro, l’elemento che più caratterizza la presenza
mafiosa: la capacità-volontà di imporsi anche con la violenza,
utilizzata per punire e per minacciare.
Di recente,
anche Pignatone ha chiarito che Roma è una realtà troppo complessa
e diversa per potere essere definita mafiosa.
Tuttavia,
quella che si sta vivendo nella capitale è una specie di sagra delle
indecisioni e degli errori marchiani.
Sullo
sfondo avanza la paradossale candidatura di Roma a ospitare le
Olimpiadi del 2024: un’ennesima occasione per alimentare il lucro
privato a scapito della comunità. La memoria di Italia ’90
dovrebbe insegnare qualcosa.
Con il
senso politico che lo contraddistingue, Matteo Renzi, quasi subito,
ha dichiarato insostenibile la posizione di Marino. Aveva però,
nominato commissario del Pd romano, Matteo Orfini, presidente del suo
partito e romano di nascita e carriera. Un errore sostanziale,
questo, visti anche i successivi sviluppi.
Subito dopo
l’esternazione del presidente del consiglio, Orfini era uscito allo
scoperto per opporsi all’idea della rimozione di Marino e del
commissariamento del comune.
Su questo
dissenso si è andati avanti sino a ieri. E si è dimostrato –per
chi non lo avesse già capito- che Renzi è una tigre di carta, forte
coi deboli, debole coi forti, e che i suoi diktat possono essere
tranquillamente contestati e lasciati cadere nel nulla.
Oggi, con
la relazione Gabrielli sul tappeto, la situazione sembra più chiara.
Lo stesso Orfini sembra avere perduto le sue granitiche convinzioni,
anche perché 8 romani su 10 considerano fallimentare l’esperienza
di questo sindaco.
La
rimozione di Marino, per il momento, non avrà luogo. Il suo
commissariamento sì.
Riguarderà
la macchina comunale e il Giubileo, troppo difficile e importante sul
piano interno e su quello internazionale per essere lasciato nelle
sue mani.
Insomma,
si procederà così (l’esempio è ospedaliero): nella clinica
chirurgica della capitale sarà rimosso il personale subordinato al
primario che rimarrà in carica; poiché prossimamente dovrà essere
effettuato un intervento chirurgico particolarmente impegnativo (il
Giubileo) esso non sarà eseguito dal primario, ma da un terzo
soggetto, considerato più abile e preparato.
Se Marino
ha un briciolo di amor proprio, deve abbandonare.
Altrimenti,
rimarrà al suo posto, esibendosi in rutilanti dichiarazioni cui non
conseguirà alcun effetto pratico.
La vicenda
non è all’epilogo, solo al terzo atto.
Domenico
Cacopardo
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