La nuova legge elettorale, come è noto, nasce dall’esigenza di conciliare due sistemi di scelta delle rappresentanze parlamentari già esperite negli anni della prima e della seconda repubblica e che non hanno suscitato particolari entusiasmi che ne potessero legittimare la continuità temporale. E tuttavia l’attuale formula, di fatto, ci porterà alla elezione di un Parlamento prevalentemente costituito secondo il sistema proporzionale e non maggioritario.
La fisiologica e prevedibile fine di un bipolarismo forzato ed abusato per un Paese come il nostro, ha segnato contestualmente una svolta epocale nel processo dialettico della lotta politico/democratica, che ne è rimasta fortemente lesa non solo relativamente alla qualità del confronto tra le forze in campo, ma anche e soprattutto per quanto attiene al deleterio transito in secondo piano delle ideologie ispiratrici di base di queste ultime, a loro volta linfa vitale delle peculiari e specifiche – ormai lontane – rivendicazioni di rappresentanza categoriale della nostra variegata collettività.
Si tratta del cosiddetto “centro” moderato, più volte definito “gravitazionale” per avere generato il neutro trat-d’union tra una destra ed una sinistra già provate da una severa crisi d’identità trasmessa anche alle forze sindacali ed alla loro rappresentatività; in gran parte costituito e fondato su base politica cristiano-cattolica, nato paradossalmente dalla necessità di assicurare stabilità agli Esecutivi, il “centro” nell’ultimo decennio è rimasto, suo malgrado, l’unico protagonista più o meno occulto – a seconda dei punti di vista – della scena pubblica istituzionale italiana; ha trovato la sua ragion d’essere nell’emergenza economica e nella connessa ritenuta priorità di allineamento europeo e comunitario, con l’adozione di politiche sociali conformi ma spesso anche solo ossequenti del vecchio continente di cui pure è parte integrante.
Ma questo processo è anche, d’altro canto, conseguenza di una diffusa ed inquietante povertà intellettuale di certa destra dotata di una invidiabile volontà di autoconservazione, staccatasi dal “berlusconesimo” e salita su un carro vincitore come quello di Pirro di certa sinistra già mortificata da un leaderismo anch’esso abusato e sconfinante in un evoluto populismo; un fenomeno che oggi vive la sua massima espressione in un movimento – privo di una effettiva democrazia interna - che confonde ed identifica il concetto di rappresentanza parlamentare con quello della presunta necessaria introduzione dell’incostituzionale vincolo di mandato.
Con queste tristi consapevolezze e con una “nuova” legge elettorale che non sarà certo l’uovo di colombo, il “centro”, gioia e tormento di questa fase storica del nostro Paese, continuerà – sic! – a garantire forse stabilità ai governi, ma ad un costo molto elevato: perché l’aggettivo più comune che gli si abbina, cioè “moderato”, ci condannerà ad osservare, inesorabilmente e con recidività, una azione di governo di modesta qualità sociale, che timidamente o per nulla manifesterà il proprio colore e la propria anima, chiusa in palazzi e sempre più lontana dal fervore che una volta animava le piazze italiane.
E’ uno dei prezzi da pagare, chissà poi perché visto che la soglia di sbarramento non è poi così alta ed il rispetto delle minoranze potrebbe fisiologicamente tradursi in una composizione parlamentare più che mai eterogenea.
Paolo Speciale