22 giu 2012

Le vie del pensiero nella società che avanza



             
"libera interpretazione sul pensiero"
di vincenzo cacopardo

Il pensiero rende possibile fatti complessi attraverso un proprio modo di misurarne il peso e quindi di valutare..ma è anche presupposto di idee e concetti, riflessione e concentrazione della mente.
Nella filosofia più moderna è identificato come “processo conoscitivo”, mentre in quella classica si distingue in pensiero “discorsivo” (nel quale ogni coscienza procede per mezzo dei concetti) e “pensiero intuitivo” (momento in cui il soggetto ha una conoscenza immediata dell’oggetto). Nel senso più scolastico della società attuale, il pensiero viene associato a quello discorsivo, negando così, ogni comprensione immediata dell’oggetto.

Questa premessa ci spiega il perché, nella odierna società, con la forza di un pensiero recepito in modo prettamente discorsivo, si sia sempre di più limitata una visione immediata ed intuitiva tendente a sviluppare le idee e generare, di conseguenza, alcuni limiti all' innovazione.
Al contrario le potenzialità del nostro pensiero sembrano essere immense! Possono essere ridotte per cause naturali dovute al particolare DNA ma, anche per l'assenza di una dote innata capace di impegnare la mente in direzione di un mondo fantastico che spinge oltre il comune modo di vedere.

Quest’immensa potenzialità che valorizza l’uomo, sembra comunque essere vigilata da poteri forti costruiti nella storia che non sempre concedono di impegnare la mente al di là dello svolgersi della vita comune, poiché ciò potrebbe creare destabilizzazione e danneggiare notevoli interessi: Poteri occulti che tendono a distrarre la mente umana proiettandola in direzione di un futile mondo edonistico riuscendo in tal modo ad imporre un certo distacco dalla sua profondità. Se da un lato tutto ciò potrà sembrare logico proprio per la difesa dei valori e di una morale costruita nel tempo: famiglia, leggi, rispetto reciproco, giustizia, vita di società etc.., da un altro punto di vista non può che risultare una chiusura in direzione della crescita dell’essere umano predisposto ad un percorso esistenziale più definito nella propria vita…. ed ogni percorso della vita dell’uomo diviene sacro nel rispetto ad una società nel suo insieme..anche se questa appare sempre più devastata dalla stessa umanità.
L’uomo si è sempre posto una domanda sullo scopo della propria esistenza: Quale la ragione ..quale il compito..quale il fine di una vita che spesso inganna e spinge a tradire persino i buoni propositi ed i propri sentimenti. Se dovessimo non poter controllare per istinto ogni reazione, ci renderemmo violenti l’uno con l’altro.. Ecco la ragione per la quale, nel tempo la società si è istintivamente resa più consapevole ponendosi delle regole. Potremmo certamente asserire che questo è stato un meccanico processo di reazione, restando pur sempre “il pensiero” sul quale si muove l’essere umano, qualcosa di incontenibile che prende anche strade oscure nella eterna ricerca di una propria esistenza.
Questo dono della mente, anche se non può esservi certezza, sembra per l’uomo una sorta di contatto con un’entità superiore poiché appare come qualcosa di incontenibile..qualcosa che spesso sfugge al nostro umano controllo… può prendere vie paradisiache che portano a sensazioni elevate, come può far spaziare in riflessioni terrene più tangibili, emozionali e poetiche facendo, in tal modo, provare suggestioni continue che potrebbero avere poca o nessuna corrispondenza col mondo divino. Questa dualità sembra dunque inserita nel dono naturale di cui l’uomo è in possesso…. Tuttavia quando ci viene regalato un simile prezioso dono, non si può che accettarlo ed usarlo in profondità..in coscienza e con tutto il sentimento.

Il pensiero è un immenso regalo resoci da un’entità superiore che sembra muoversi libero poiché, pur compreso in noi stessi, resta incontrollabile. Ma questo immenso dono rimane sempre un mistero per noi piccoli esseri umani ed ogni mistero può essere un’arma anche pericolosa se non usata con equilibrio…E qui nasce una domanda più che legittima oltre che umana: - fino a che punto si può e si deve dominare il pensiero? ..Se è vero che il pensiero risponde a regole che noi non riusciamo ancora a percepire, è anche vero che risulta assai difficile dominarlo. Potrebbe sfuggire viaggiando nell’inconsapevolezza senza che si possa far nulla per contenerlo o…forse, dovremmo essere in grado di poterlo governare?…Ed allora... per quale ragione abbiamo ricevuto questo importante dono, costringendoci poi, a non farlo spaziare liberamente?
Sono domande logiche ma che non tutti si pongono in profondità…..Probabilmente molti non lo fanno perché fortemente dominati da un materialismo che li ha resi pragmatici riducendo irrimediabilmente la loro sfera immaginaria. Tuttavia non sappiamo veramente se tali individui possano essere svantaggiati rispetto ad altri nell'odierna società che parrebbe dare loro ragione per affrontare meglio un processo di modernizzazione che sempre più spesso non consente alcuna forma di pensiero: Sono ormai in tanti che vivono la loro esistenza in un percorso meccanico in direzione di una sopravvivenza sostenuta da una quotidiana..quasi asettica..realtà.
Ma l’uomo non è forse diverso dalle altre specie proprio per il suo pensiero? Se così è, la società dovrebbe essere strutturata a beneficio ed in favore di uno sviluppo della libera immaginazione! Con ciò, non si vuole sostenere a tutti i costi ogni illimitata e degenerata libertà ma, sottolineare l’importanza qualitativa che può avere uno sfogo del mondo immaginario nella costruzione personale e sociale del singolo individuo. Le domande sulle quali riflettere, quindi, restano sempre le stesse: Come si può controllare un pensiero facendo sì che esso non degeneri in dissolutezza, il vizio o la depravazione umana? Fino a che punto il pensiero, nella sua costruzione immaginaria può risultare utile e positivo?


Se un uomo, provvisto di un equilibrio, col proprio immaginario, riesce a toccare il massimo dell’edonismo, difficilmente non potrà percepire l’importanza di un pensiero rivolto verso un mondo spirituale divino ... più facilmente potrà distinguerne la differenza e trovarne quella simbiosi utile per la ricerca e l’individuazione della propria esistenza. Non si capisce, o forse si capisce fin troppo bene, la ragione per la quale la società sembra in assoluto sostenere l’importanza di un confine del pensiero umano, né..di contro.. la ragione per la quale l’umanità si rende sempre più ipocrita nel non riconoscere gli sconfinati spazi licenziosi del proprio immaginario..Una riflessione importante deve essere quella di capire fino a che punto il pensiero resta estraneo ad ogni controllo umano. Nella concezione umana più realistica sembrerebbe avere poche possibilità di controllo, benché l’uomo abbia possibilità di ispezione ed un libero arbitrio sulla sua finalità e su tutto ciò che esso può determinare rispetto ad un etica costruita sulla morale contemporanea.
Quando noi, nella nostra solitudine, senza essere condizionati dalla realtà e dal suo frenetico andamento, riusciamo ad immedesimarci in noi stessi rinchiudendoci nella cornice della nostra mente, possiamo provare strane sensazioni che esaltano lo spirito. In quel momento anche il processo fantastico può esaltarsi spingendoci nella direzione di inspiegabili percezioni dove la fantasia prende piede in base alla personale sensibilità dell’individuo.
E' tuttavia importante premettere che non tutti gli individui riescono ad avere le stesse percezioni ed immedesimazioni.. quindi, non potrà mai essere scontato che in ognuno possa esservi una visione fantastica profonda ed uguale. Così come nessuna fantastica visione potrà mai avere la stessa intensità di un'altra. Si può dire che il pensiero, per cause ancora sconosciute, ci guidi e sia in grado di condizionarci.. e quando sembra poterci spingere verso strade ambigue, si è in grado di arginarlo per via di una morale terrena che tende a dirigerlo verso altre direzioni.
La domanda da porsi adesso è quella di una convinzione che, la morale terrena odierna, possa essere in assoluto, il giusto guardiano del nostro pensiero... Se, quindi attraverso essa, può raggiungersi un equilibrio in grado di rendere tranquillità al nostro pensiero e fino a che punto la libertà resaci dal dono dell’immaginazione, debba essere frenata da una morale terrena.

Ed eccoci, quindi, arrivati alla domanda più importante e cioè: E’ giusto lasciare la massima libertà al nostro pensiero cercando di non frenare alcuna immaginazione seppur col pericolo che possa degenerare? Per poter rispondere meglio a questa domanda bisognerebbe analizzare anche quando il pensiero si immedesima nella fase opposta in cui, compenetrandosi in modo sublime in una ricerca di una entità superiore, si tende ad esplorare un mondo superiore..quello spirituale.. in cui l’animo si esalta ed il corpo diviene quasi del tutto inesistente: E’ la fase della sublimazione in cui l’essere umano tende a staccarsi da ogni forma di materialismo proiettandosi, senza alcuna percezione, in direzione di un mondo irrazionale di sublimazione. Una sublimazione inversa da quella che si determina quando il nostro pensiero si sofferma sul materialismo più sfrenato: Un pensiero più facilmente arricchito da visioni realistiche messe giornalmente in evidenza dallo sfrenato consumismo e l'eccessivo liberismo, che portano l’individuo in direzione di un immaginario smodato che può anche degenerare.
Ciò premesso si evidenzia come la sublimazione dello spirito non debba per forza vedersi opposta ad una sublimazione materialista del corpo: Si può esaltare lo spirito e contemporaneamente esaltare i piaceri del corpo. Si dovrebbero elevare ambedue i piaceri col dovuto equilibrio senza mai vederli antitetici.
Quindi a riguardo..si può lasciare il pensiero libero di spaziare per le vie celestiali della sublimazione divina dello spirito, come in quella del più crudo sentimento terreno, e dei piaceri del corpo: Se è vero che l’uomo è stato posto in questa terra per una sopravvivenza in vista di un fine spirituale, è anche vero che è stato provvisto di un corpo, delle sue sensazioni e di tutta la sua parte antropica per poterne godere a suo piacimento. Il confine rimane contenuto nel rispetto reciproco e quindi senza l'uso di alcuna violenza. Ed è proprio sull’ argomento della violenza che la morale cristiana dovrebbe incidere con più forza verbalmente e non, sulla libertà di dare sfogo ad un libero pensiero.
Nessuna azione può mai ritenersi libera se non tiene conto del rispetto che si deve al prossimo, quindi non può mai essere svincolata da ogni presupposto della non violenza. Nel nostro pensiero questo confine può però essere spezzato, in quanto, nel segreto di esso, si può superare qualunque ostacolo, paradossalmente anche quello del sopruso. Nel proprio pensiero qualunque azione sembra permessa poiché può non essere ostacolata restando imprigionata nel nostro immaginario.. ma nella realtà, la visione empirica ed il nostro stesso animo, possono e devono condizionarci.
Quando il pensiero, assai libero, confluisce nel massimo dell’immaginario può defluire nel massimo della dissolutezza. Il pensiero, buono o cattivo che sia, alimenta sempre un’immaginazione utile per la ricerca di noi stessi e fa sì che l’essere umano possa meglio identificare la propria esistenza in rapporto con un mondo superiore..L’importante è avere avuto il dono dell’equilibrio che consente di non mettere mai nella realtà ciò che consapevolmente può portare dolore a se stessi e violenza agli altri. Questo fa dell’uomo la differenza con la bestia. Se un uomo, provvisto di un equilibrio, col proprio immaginario, riesce a toccare il massimo dell’edonismo, difficilmente non potrà percepire l’importanza di un pensiero rivolto verso un mondo spirituale divino, più facilmente potrà distinguerne la differenza e trovarne quella simbiosi utile per la ricerca e l’individuazione della propria esistenza.
L’uomo è stato costruito con un corpo ed una mente ed ognuno ha un proprio pensiero ed un immaginario diverso dagli altri. Ciò impone un esame per individuare se esiste una ragione per la quale questa differenza, che può anche arrecare difficoltà nel comprendersi, sia stata posta per bisogno ad un principio di scambio necessario per la costruzione di una società più articolata o se invece sia frutto di un percorso naturale che non tiene conto di alcuna motivazione. Nella concezione cristiana vi è sempre una motivazione che offre una giustificazione alla immensa opera dell’entità superiore. Per un agnostico, non è dato sapere quale sia questa motivazione, ma sicuramente nella fattispecie, si potrebbe tradurre nel beneficio di una più ampia dialettica.. piena di scambi e idee diverse, tali da poter rendere il dialogo tra gli uomini più vivace ed attivo.

L’uomo ha bisogno di pensare in quanto, ogni suo gesto, viene suggerito proprio dalla mente ma, la riflessione ed il peso che si frappone in ogni sua azione, lo condizionano nel suo stesso agire. Eppure non tutti rispondono allo stesso modo…non tutti vengono condizionati alla stessa maniera…non tutti riflettono allo stesso modo..non tutti pensano alla medesima maniera… La diversità del pensiero riesce però a determinare una limitata e chiara differenza nei caratteri, nelle relazioni e nello sviluppo delle politiche sociali e questa diversità non può che arricchirci.





6 giu 2012

La politica e la sua funzione



PREMESSA

LO SPIRITO DELLE LEGGI E LA FUNZIONE DELLA POLITICA




Quando nel 700, Charles de Montescquieu con “lo spirito delle leggi”, uno dei capisaldi del liberalismo, attribuì alla separazione dei poteri il concetto di libertà precisando l’importanza del loro reciproco equilibrio, pose le basi di una politica che ebbe grande influenza sulla costituzione francese e americana. Egli fu magistrato, ma anche profondo e lungimirante studioso della politica e dei temi sociali affrontati con forte spirito analitico. Scrisse anche del rifiuto dei dogmatismi nel senso che i fatti umani devono spiegarsi e risolversi in modo umano.
Questa ricerca, che fa riferimento al suddetto personaggio, spinge ad analizzare con equilibrio ma anche in chiave più moderna i temi della politica.
Dalla sua considerazione che il "potere assoluto corrompe in senso assoluto”, la condizione essenziale ed oggettiva per l'esercizio della libertà del cittadino, era che i poteri restassero nettamente separati. Per lui le istituzioni e le leggi dei vari popoli non erano casuali ed arbitrarie, ma strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi, dalla loro religione e persino dal clima.  Montescquieu guardava in lungimiranza: Per lui l’uomo è sottoposto a regole fondamentali e queste regole non devono considerarsi assolute ed indipendenti dal tempo che trascorre, ma variare col mutare delle situazioni, come devono variare le tipologie di governo.
Ma, in proposito gli argomenti di questo ingegnoso e brillante autore vanno oltre, analizzando in profondità altri aspetti come La repubblica, la monarchia, i parlamenti, la magistratura, la libertà, etc.
L'argomento della libertà fu da lui sicuramente molto trattato. Secondo l’autore, questa parola viene spesso confusa con altri concetti relativi all’indipendenza: Nel sistema di una democrazia, il popolo non può fare quello che vuole, il potere del popolo è spesso confuso con la libertà del popolo;  libertà significa fare ciò che le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi proibiscono non ci sarebbe più libertà… E questo resta un fondamentale principio che regola ogni odierna democrazia.
Ma la cosa più interessante e sorprendente è quella nella quale questo personaggio fa notare  che il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accomunati sotto un’unica persona o corpo di magistratura,  e  neanche quello giudiziario può essere unito agli altri due poteri: i magistrati non possono essere contemporaneamente legislatori e coloro che applicano le leggi. Così, ovviamente i legislatori non possono essere contemporaneamente giudici.
Per lui, l'arte di creare una società e di organizzarla compiutamente, è  l’arte più alta e difficile, in quanto da essa dipende il benessere necessario allo sviluppo di tutte le altre arti.
Più tardi, tra il 1835 ed il 1840, Alexis de Tocqueville, francese, grande studioso della politica, magistrato e deputato, nel suo impegnativo scritto “la democrazia in America” ci informa di come quel giovane sistema,  costruito e fondato sulla libertà,  è sempre stato caratterizzato dall’uguaglianza.
Quest’uguaglianza ha fatto si che il sistema potesse crescere più forte in forza di normative e leggi che avrebbero potuto costruirlo ancora più solido godendo del plauso dei cittadini.
Benchè il nostro sistema sia venuto fuori da una storia ben diversa, più travagliata e complessa, bisognerebbe non dimenticare la forza che può rendere ad un Paese il concetto di uguaglianza unito a quello di libertà. Il nostro Paese non ha bisogno di seguire sistemi esterofili americani o francesi ma, deve sicuramente prendere spunto da alcune scelte operate da questi Paesi, solo per poter giungere alla determinazione di un cambiamento più utile e funzionale. Un cambiamento basato su idee proprie in relazione alla propria struttura storica, territoriale e culturale.



ruoli e capacità differenti
                        
Si dovrebbe poter trasmettere ai cittadini lo scopo ed il giusto fine costruttivo della “politica”. Un  preciso concetto che non può non essere legato alla sua funzione di base. Molti oggi determinano sinteticamente il suo scopo fornendone una ristretta interpretazione legata alla “funzione del governare”
La politica non può solo avere un sintetico senso del governare, in quanto essa racchiude in se i contenuti di teoria e pratica, di arte e scienza, di idea e funzionamento. La politica rimane arte nel principio consistente la ricerca delle idee, nel confronto con i cittadini, nella mediazione, diventa scienza nell’esercizio della sua funzione amministrativa legata allo sviluppo costruttivo della società.

In base a questo concetto, si pone anche quello che potrebbe oggi apparire come un paradosso e cioè: Chiunque, motivato da una capacità creativa, geniale ed intuitiva, potrebbe essere in grado di saper creare iniziative politiche idonee e funzionali alle esigenze,  anche se solo in termini teorici.
Le capacità di chi esercita questo ruolo appaiono  essere prevalentemente di inventiva il che comporta sicuramente quell’intuito e quella sensibilità per certi versi vicina alla capacità creativa di un artista in senso lato. Sebbene costoro, devono sempre avere una buona conoscenza dell’aspetto sociale ed istituzionale del paese in cui si vive.
Ben diversa rimane l’attività di chi deve predisporsi per una amministrazione in termini di conoscenza e quindi anche di esperienza per la soluzione di un processo costruttivo e di un buon funzionamento: Chi amministra deve avere un ruolo determinato e diretto verso la conoscenza scientifica di ciò che si deve con efficienza realizzare.

Ecco, perciò, la determinazione dei due ruoli che differentemente potremmo definire “induttivi” e  “deduttivi”. Ruoli che, per scopo ed esigenza, definiscono due strade diverse che dovrebbero raggiungere un unico percorso costruttivo in relazione alla definizione di una “politica” che si vorrebbe funzionale.
La speranza che in un politico possano coesistere ambedue le qualità appare molto difficile e, qualora potesse esservi, lascerebbe molti spazi aperti verso naturali compromessi: Generalmente chi ha una mentalità creativa non è portato ad accostarsi a chi si impegna mentalmente in direzione di una scienza e viceversa.


L’odierno sistema vede comunque il politico inserito contemporaneamente nei due ruoli come appartenenti ad un unico lavoro. Questo sistema ha fatto sì che oggi il politico venga considerato colui che crea e nel contempo esegue, nel contesto di un’unica linea politica. Linea politica che, nel tempo, viene condizionata da una vera e propria oligarchia dei Partiti.
Ci capita di vedere sempre più spesso ambedue i poteri, esecutivo e parlamentare, chiedere  più spazi a proprio vantaggio per via del differente ruolo a cui appartengono ed alle naturali esigenze : Chi siede in Parlamento reclama di poter legiferare e chi presiede un esecutivo esige di poter governare con procedure più svelte e funzionali.

L’utilizzo sempre più frequente dei decreti legge da parte dei governi pone il Parlamento in uno stato di degradamento rispetto al suo vero valore e l’uso esasperato degli emendamenti, da parte degli stessi parlamentari, rischia sempre di togliere efficienza alla importante azione funzionale del Governo. Una richiesta più che legittima e naturale da parte di ambedue i poteri, ma che, fino ad oggi, ha portato risultati poco incoraggianti.
Quell’accentramento che vedeva nel passato il raccordo dei due poteri Parlamento–Governo, affinché si potesse raggiungere un solido equilibrio, sembra oggi essere compromesso dall’evidente peso partitico che finisce col condizionare notevolmente ogni azione.

E’ chiaro che nel passato, per l’evidente differenza di un sistema che vedeva il formarsi di un Governo in seno e per volontà delle Camere, ci si poteva adoprare affinché questo raccordo potesse trovare un più utile risultato. L’attuale sistema, in direzione di  una costruzione bipolare della politica, fa si che il potere esecutivo, attraverso una elezione più diretta, determinata da una coalizione, pretenda di essere messo in grado di indicare una governabilità più snella e meno condizionata dalla logica parlamentare.
La evidente dicotomia che scaturisce in un sistema come il nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare, fa si che possano automaticamente sorgere contrasti i quali, non favoriscono lo sviluppo naturale di una vera politica costruttiva.
Quella simbiosi politica evidenziata nel Diritto Costituzionale, affinché ambedue i poteri potessero camminare in sinergia, per far sì che si costruissero assieme leggi, programmi e relative mansioni amministrative, si è persa.

Alcuni programmi esposti in sede di elezioni vengono esclusi o non inseriti nei tempi dovuti, altri, scaturiscono in un gioco di condizionamento in corso d’opera che ne cambia il senso e la volontà espressa in un primo momento. 
Il risultato di tutto ciò è sempre un brutto ed inaccettabile compromesso. Da qui l’esigenza di dover distinguere i ruoli persino in termini di carriere per due precise motivazioni:
    1) differenza in relazione alle capacità.  2) differenza in relazione al ruolo.
 


In base a questa premessa, quindi, sembra più che necessario dover guidare un processo di modernizzazione della politica che parta dai principi di una giusta funzione della dottrina. Un percorso più efficiente che possa esser costruito col dialogo con i cittadini, ma che possa anche definire un ruolo amministrativo più efficiente e concreto.

Le attuali forze politiche Nazionali appaiono non del tutto preparate ad affrontare una nuova era dove l’economia avanza ad alta velocità e dove la stessa “politica” sembra ancora alla ricerca di un vero “cambiamento”. Una politica che sembra arrancare in una strada vecchia priva di vere riforme innovative
In termini di vera “funzionalità” sembriamo assai indietro ed ogni problematica appare oggi condizionata da un iter processuale vecchio che subisce, fin troppo, chiari condizionamenti da parte delle odierne forti economie.

Una politica nazionale, dovrebbe tener conto dei bisogni del proprio Paese in un quadro più generale, attraverso una funzione di stimolo che possa avere un controllo solo politico sulle amministrazioni locali.
Questa funzione avrebbe il compito di spingere “la politica” verso un uso più corretto ed equilibrato per una evoluzione del Paese nel suo insieme, mentre ogni  “amministrazione locale” dovrebbe tener conto delle esigenze necessarie in base alla storia della singola Regione che si intende governare: Un’ amministrazione locale che dovrebbe seguire in larghe linee la strada di una politica nazionale di controllo, tenendo in considerazione il contesto sociale in cui opera e che perciò accresce, evolvendosi, un proprio patrimonio culturale ed imprenditoriale.

Nel nostro Paese, oggi, le conseguenze di un mancato ed equilibrato funzionamento della politica si evidenziano soprattutto: in una sostanziale mancanza di riforme, in un accresciuto divario con le Regioni del  Sud, in una giustizia assai poco credibile, in una chiara mancanza di sicurezza, in una fortissima e pesante burocrazia istituzionale, in un impellente bisogno di occupazione, in una sfiducia incalzante da parte dei cittadini…  ed altro ancora….

Le vecchie ideologie hanno forse contrastato e rallentato la marcia di innovazione dei grandi contenitori di consensi, ma oggi sembra che nessuno, abbia aperto la strada alle nuove idee per una vera politica di attualità. “Attuale” non può solo essere l’uso di un computer o dei servizi messi a disposizione dalla moderna rete internet, ma un’innovazione di tipo culturale profonda che solo i pensieri e le idee possono dettare.     
Una problematica che non può più essere posta sotto forma di una ideologica battaglia, poiché non si tratta solo di determinare una maggioranza, ma di lavorare insieme per diminuire quel macroscopico divario tra cultura e non cultura, tra grandi ricchezze e spaventose povertà, tra conoscenza ed ignoranza, tra sicurezza ed insicurezza e soprattutto tra il nord ed il sud del nostro Paese.

Non v’è dubbio che l’avvento frettoloso del bipolarismo, dopo cinquant’anni di politica centrista e moderata, ha generato gravi conseguenze in proposito. Un pensiero spaccato in due che ha creato una politica basata più sulle contraddizioni che sulle speranze di un vero cambiamento. Azioni e reazioni che hanno generato continui equilibri precari non rendendo alcun efficace funzionamento alla politica. Tutto ciò per dare forza ad un desiderio di “stabilità governativa” che, nel tempo, si è rivelata assai poco efficace poiché non costruita e ricercata attraverso un giusto “fine” deduttivo.

Non si può pretendere nessun risultato da qualunque posizione politica, se non si agisce  preventivamente al fine di far funzionare il sistema. Un atto sicuramente determinante e primario rispetto agli altri. Dobbiamo riconoscere il bisogno di una politica funzionante, indispensabile per non finire schiacciati da qualsiasi sistema economico che condizionerà in modo assoluto e pragmatico ogni logica del vivere comune.
La parola chiave, quindi, sembrerebbe essere “funzionamento”, come sinonimo di efficienza ed innovazione, ma intesa anche come teoria secondo la quale, nella logica, la funzione suddivisa dei singoli elementi culturali e formativi, ha un’importanza predominante sulla sua stessa evoluzione: Uno studio organizzativo che dovrebbe basarsi su un principio di specializzazione e di suddivisione del lavoro.

Il cittadino comincia a non fidarsi più di un’amministrazione pubblica e di un sistema che non garantisce più alcuna funzionalità alla politica. Non si tratta, quindi, soltanto di rimuovere i politici, ma di cambiare la stessa politica ed il sistema in cui essa naviga.
vincenzo Cacopardo

4 giu 2012

La politica... tra miti e democrazia



di vincenzo cacopardo
L’idealizzazione di un fatto o di un personaggio che presenta caratteristiche straordinarie viene definito “mito”, questi assume automaticamente un valore diventando una guida per la società ed anche motivo di stimolo per ogni popolazione. Il “mito” ha sempre esercitato una grande funzione per la civiltà ed ha contribuito a formare una cultura rivelatasi quasi essenziale per le esigenze psicologiche degli esseri umani: Ognuno sente come necessario legarsi ad un’immagine mitica per poter porre su di essa il sogno di una immaginaria realizzazione.

Ma tutto ciò rimane il prodotto di una mentalità arcaica dominata da un pensiero incantato che finisce col determinare l'irrazionale concetto che tutto possa essere possibile. 

A differenza delle favole, legate prevalentemente alla fantasia e quindi utili all'uomo, i miti assumono un carattere di sacralità poichè spesso legati a strutture religiose che  infondono un segno diverso (Eros e Agape, il mito di Perseo e della Gorgone, Ercole e Anteo, etc). Alcune forme di “mito” possono invece essere interpretate come semplici narrazioni modificate in senso razionalistico:  “la storia di Roma”, ad esempio, sembra essere stata raccontata attraverso riferimenti mitici. 

Esistono, quindi, le narrazioni mitiche che contribuiscono a descrivere più enfaticamente la storia dei popoli, al fine di renderla più interessante (il mito di Ulisse o quello di Enea). Difficile, in questi casi, distinguere il mito dalla leggenda. Nel passato, sia per Platone, come anche per Aristotele, il mito rappresentava l’antitesi della verità, più recentemente, secondo Jung, è stata l'espressione  di “un inconscio collettivo” capace di imporre simboli e particolare forza emotiva. 


Nel contesto odierno, che si muove in senso tanto pragmatico e realistico, la ricerca del mito sembra opporsi, trovando sfogo sulla forza emozionale dell’essere umano, in particolar modo, in uno stato collettivo che ne sublima il momento (uno stadio…una  piazza... un cinema).

Questa antitesi pare essere un effetto di reazione di fronte ad un mondo che cammina in direzione di una particolare logica razionale: l’uomo moderno sembra aver bisogno di idealizzare, sublimare e quindi mitizzare qualcuno o qualcosa..il suo è sicuramente un bisogno legato ad una insicurezza dei tempi che mette in seria discussione una società ormai disorientata anche da modelli sociali che non offrono più alcuna fiducia tangibile.

I modelli più fondati della politica, si basano oggi sul concetto di democrazia ed ogni forma di “mito” sembra non poter legare con questo paradigma...in quanto..proprio la esaltazione della figura, contraddice lo stesso presupposto etimologico della parola che indica "il governo del popolo": L'esaltazione del leader contribuisce, inevitabilmente, a sminuire ogni libero indirizzo popolare.  

In politica si tendono a costruire forme di mitizzazione sempre più anelate.. idealizzando in modo esasperato l’immagine, creando attorno a queste un alone di sublimazione che finisce col mettere in evidenza l’assolutismo del personaggio e dogmatizzare ogni suo pensiero: Una democrazia compiuta non può permettere alcun dogma, ma solo pensieri e idee che possano essere interpretate, discusse e dibattute..attraverso uno scambio dialettico.

I vecchi Partiti (che dovrebbero oggi essere le vere officine di idee in contatto con i cittadini) hanno sempre teso a costruire e mettere in evidenza solo un leader. Questo loro percorso ha fatto sì che non si prodigassero in azioni di contatto e di edificazione di strade più utili ma, prevalentemente, esaltazioni di una particolare figura che potesse rappresentare il "mito". Il frutto di tutto ciò è davanti ai nostri occhi: Partiti falliti nella loro opera di costruzione di una società sopraffatta da postulanti o assolutisti che non potranno mai definire una vera democrazia in favore dei cittadini: Difficile che un vero concetto di democrazia possa svilupparsi sposando l’assolutismo dei miti della politica odierna!