PREMESSA
LO SPIRITO DELLE LEGGI E LA FUNZIONE DELLA POLITICA
Quando nel 700, Charles de Montescquieu con “lo spirito
delle leggi”, uno dei capisaldi del liberalismo, attribuì alla separazione dei
poteri il concetto di libertà precisando l’importanza del loro reciproco
equilibrio, pose le basi di una politica che ebbe grande influenza sulla
costituzione francese e americana. Egli fu magistrato, ma anche profondo e
lungimirante studioso della politica e dei temi sociali affrontati con forte
spirito analitico. Scrisse anche del rifiuto dei dogmatismi nel senso che i
fatti umani devono spiegarsi e risolversi in modo umano.
Questa ricerca, che fa
riferimento al suddetto personaggio, spinge ad analizzare con equilibrio ma
anche in chiave più moderna i temi della politica.
Dalla sua considerazione che il "potere assoluto corrompe in
senso assoluto”, la condizione essenziale ed oggettiva per l'esercizio della
libertà del cittadino, era che i poteri restassero nettamente separati. Per lui
le istituzioni e le leggi dei vari popoli non erano casuali ed arbitrarie, ma
strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi,
dalla loro religione e persino dal clima.
Montescquieu guardava in lungimiranza: Per lui l’uomo è
sottoposto a regole fondamentali e queste regole non devono considerarsi
assolute ed indipendenti dal tempo che trascorre, ma variare col mutare delle
situazioni, come devono variare le tipologie di governo.
Ma, in proposito gli argomenti di questo ingegnoso e brillante
autore vanno oltre, analizzando in profondità altri aspetti come La repubblica,
la monarchia, i parlamenti, la magistratura, la libertà, etc.
L'argomento della libertà fu da lui sicuramente molto trattato.
Secondo l’autore, questa parola viene spesso confusa con altri concetti
relativi all’indipendenza: Nel sistema di una democrazia, il popolo non può
fare quello che vuole, il potere del popolo è spesso confuso con la libertà del
popolo; libertà significa fare ciò che
le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi proibiscono
non ci sarebbe più libertà… E questo resta un fondamentale principio che regola
ogni odierna democrazia.
Ma la cosa più interessante e sorprendente è quella nella quale
questo personaggio fa notare che il
potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accomunati sotto
un’unica persona o corpo di magistratura,
e neanche quello giudiziario può
essere unito agli altri due poteri: i magistrati non possono essere
contemporaneamente legislatori e coloro che applicano le leggi. Così,
ovviamente i legislatori non possono essere contemporaneamente giudici.
Per lui, l'arte di creare una società e di organizzarla
compiutamente, è l’arte più alta e
difficile, in quanto da essa dipende il benessere necessario allo sviluppo di
tutte le altre arti.
Più tardi, tra il 1835 ed il 1840, Alexis de Tocqueville, francese, grande studioso della politica,
magistrato e deputato, nel suo impegnativo scritto “la democrazia in America”
ci informa di come quel giovane sistema,
costruito e fondato sulla libertà, è sempre stato caratterizzato dall’uguaglianza.
Quest’uguaglianza ha fatto si che il sistema potesse crescere più
forte in forza di normative e leggi che avrebbero potuto costruirlo ancora più
solido godendo del plauso dei cittadini.
Benchè il
nostro sistema sia venuto fuori da una storia ben diversa, più travagliata e
complessa, bisognerebbe non dimenticare la forza che può rendere ad un Paese il
concetto di uguaglianza unito a quello di libertà. Il nostro Paese non ha
bisogno di seguire sistemi esterofili americani o francesi ma, deve sicuramente
prendere spunto da alcune scelte operate da questi Paesi, solo per poter
giungere alla determinazione di un cambiamento più utile e funzionale. Un
cambiamento basato su idee proprie in relazione alla propria struttura storica,
territoriale e culturale.
ruoli e capacità differenti
Si dovrebbe poter
trasmettere ai cittadini lo scopo ed il giusto fine costruttivo della “politica”. Un preciso concetto che non può non essere
legato alla sua funzione di base. Molti oggi determinano sinteticamente il suo scopo fornendone una ristretta
interpretazione legata alla “funzione
del governare”
La politica non può
solo avere un sintetico senso del governare, in quanto essa racchiude in se i
contenuti di teoria e pratica, di arte e scienza, di idea e funzionamento. La politica rimane arte nel principio
consistente la ricerca delle idee, nel confronto con i cittadini, nella
mediazione, diventa scienza nell’esercizio della sua funzione amministrativa
legata allo sviluppo costruttivo della società.
In base a questo concetto, si pone anche quello che potrebbe oggi
apparire come un paradosso e cioè: Chiunque, motivato da una capacità
creativa, geniale ed intuitiva, potrebbe essere in grado di saper creare
iniziative politiche idonee e funzionali alle esigenze, anche se solo in termini teorici.
Le capacità di chi esercita questo ruolo
appaiono essere prevalentemente di
inventiva il che comporta sicuramente quell’intuito e quella sensibilità per
certi versi vicina alla capacità creativa di un artista in senso lato. Sebbene costoro, devono sempre avere una buona
conoscenza dell’aspetto sociale ed istituzionale del paese in cui si vive.
Ben diversa rimane l’attività di chi deve predisporsi per una
amministrazione in termini di conoscenza e quindi anche di esperienza per la
soluzione di un processo costruttivo e di un buon funzionamento: Chi
amministra deve avere un ruolo determinato e diretto verso la conoscenza
scientifica di ciò che si deve con efficienza realizzare.
Ecco, perciò, la determinazione dei due ruoli che
differentemente potremmo definire “induttivi” e
“deduttivi”. Ruoli che,
per scopo ed esigenza, definiscono due strade diverse che dovrebbero
raggiungere un unico percorso costruttivo in relazione alla definizione di una
“politica” che si vorrebbe funzionale.
La speranza che in un
politico possano coesistere ambedue le qualità appare molto difficile e, qualora
potesse esservi, lascerebbe molti spazi aperti verso naturali compromessi: Generalmente
chi ha una mentalità creativa non è portato ad accostarsi a chi si impegna
mentalmente in direzione di una scienza e viceversa.
L’odierno sistema
vede comunque il politico inserito contemporaneamente nei due ruoli come appartenenti ad un unico lavoro. Questo sistema ha fatto sì che oggi il
politico venga considerato colui che crea e nel contempo esegue, nel contesto
di un’unica linea politica. Linea politica che, nel tempo, viene condizionata da una vera e propria
oligarchia dei Partiti.
Ci capita di vedere sempre più spesso ambedue i poteri, esecutivo e
parlamentare, chiedere più spazi a
proprio vantaggio per via del differente ruolo a cui appartengono ed alle
naturali esigenze : Chi siede in Parlamento reclama di poter legiferare e
chi presiede un esecutivo esige di poter governare con procedure più svelte e
funzionali.
L’utilizzo sempre più frequente dei decreti legge da parte dei governi
pone il Parlamento in uno stato di degradamento rispetto al suo vero valore e
l’uso esasperato degli emendamenti, da parte degli stessi parlamentari, rischia
sempre di togliere efficienza alla importante azione funzionale del Governo. Una
richiesta più che legittima e naturale da parte di ambedue i poteri, ma che, fino ad oggi, ha portato
risultati poco incoraggianti.
Quell’accentramento che vedeva nel passato il
raccordo dei due poteri Parlamento–Governo, affinché si potesse raggiungere un
solido equilibrio, sembra oggi essere compromesso dall’evidente peso partitico
che finisce col condizionare notevolmente ogni azione.
E’ chiaro che nel passato, per l’evidente differenza di un sistema che
vedeva il formarsi di un Governo in seno e per volontà delle Camere, ci si
poteva adoprare affinché questo raccordo potesse trovare un più
utile risultato. L’attuale sistema, in direzione di una costruzione bipolare della politica,
fa si che il potere esecutivo, attraverso una elezione più diretta, determinata
da una coalizione, pretenda di essere messo in grado di indicare una
governabilità più snella e meno condizionata dalla logica parlamentare.
La evidente dicotomia che scaturisce in un sistema
come il nostro, che per Costituzione rimane di principio Parlamentare, fa si
che possano automaticamente sorgere contrasti i quali, non favoriscono lo
sviluppo naturale di una vera politica costruttiva.
Quella
simbiosi politica evidenziata nel Diritto Costituzionale, affinché ambedue i
poteri potessero camminare in sinergia, per far sì che si costruissero assieme
leggi, programmi e relative mansioni amministrative, si è persa.
Alcuni programmi esposti in sede di elezioni vengono esclusi o non
inseriti nei tempi dovuti, altri, scaturiscono in un gioco di condizionamento
in corso d’opera che ne cambia il senso e la volontà espressa in un primo
momento.
Il risultato di tutto ciò è sempre un brutto ed inaccettabile compromesso. Da qui l’esigenza di dover distinguere i ruoli persino in termini di carriere per due precise motivazioni:
Il risultato di tutto ciò è sempre un brutto ed inaccettabile compromesso. Da qui l’esigenza di dover distinguere i ruoli persino in termini di carriere per due precise motivazioni:
1) differenza in relazione
alle capacità. 2) differenza in
relazione al ruolo.
In base a questa premessa, quindi, sembra più che necessario dover guidare un processo di modernizzazione della politica che parta dai principi di una giusta funzione della dottrina. Un percorso più efficiente che possa esser costruito col dialogo con i cittadini, ma che possa anche definire un ruolo amministrativo più efficiente e concreto.
Le attuali forze politiche Nazionali appaiono non del tutto preparate
ad affrontare una nuova era dove l’economia avanza ad alta velocità e dove la
stessa “politica” sembra ancora alla ricerca di un vero “cambiamento”. Una politica che sembra arrancare in una
strada vecchia priva di vere riforme innovative
In termini di vera “funzionalità” sembriamo assai indietro ed
ogni problematica appare oggi condizionata da un iter processuale vecchio che
subisce, fin troppo, chiari condizionamenti da parte delle odierne forti
economie.
Una politica
nazionale, dovrebbe tener conto dei bisogni del proprio Paese in un quadro più
generale, attraverso una funzione di stimolo che possa avere un controllo solo
politico sulle amministrazioni locali.
Questa funzione avrebbe il compito di
spingere “la politica” verso un uso più corretto ed equilibrato per una
evoluzione del Paese nel suo insieme, mentre ogni “amministrazione locale” dovrebbe tener conto
delle esigenze necessarie in base alla storia della singola Regione che si intende
governare: Un’ amministrazione locale che dovrebbe seguire in larghe linee la strada di
una politica nazionale di controllo, tenendo in considerazione il contesto
sociale in cui opera e che perciò accresce, evolvendosi, un proprio patrimonio
culturale ed imprenditoriale.
Nel nostro
Paese, oggi, le conseguenze di un mancato ed equilibrato funzionamento della
politica si evidenziano soprattutto: in una sostanziale mancanza di riforme,
in un accresciuto divario con le Regioni del
Sud, in una giustizia assai poco credibile, in una chiara mancanza di
sicurezza, in una fortissima e pesante burocrazia istituzionale, in un
impellente bisogno di occupazione, in una sfiducia incalzante da parte dei
cittadini… ed altro ancora….
Le vecchie
ideologie hanno forse contrastato e rallentato la marcia di innovazione dei
grandi contenitori di consensi, ma oggi sembra che nessuno, abbia aperto la
strada alle nuove idee per una vera politica di attualità. “Attuale” non può solo essere l’uso di un computer o dei servizi messi
a disposizione dalla moderna rete internet, ma un’innovazione di tipo culturale
profonda che solo i pensieri e le idee possono dettare.
Una problematica
che non può più essere posta sotto forma di una ideologica battaglia, poiché
non si tratta solo di determinare una maggioranza, ma di lavorare insieme
per diminuire quel macroscopico divario tra cultura e non cultura, tra grandi
ricchezze e spaventose povertà, tra conoscenza ed ignoranza, tra sicurezza ed
insicurezza e soprattutto tra il nord ed il sud del nostro Paese.
Non v’è dubbio che l’avvento frettoloso del bipolarismo, dopo
cinquant’anni di politica centrista e moderata, ha generato gravi conseguenze
in proposito. Un pensiero
spaccato in due che ha creato una politica basata più sulle contraddizioni che
sulle speranze di un vero cambiamento. Azioni e reazioni che hanno generato
continui equilibri precari non rendendo alcun efficace funzionamento alla
politica. Tutto ciò per dare forza ad un desiderio di “stabilità governativa”
che, nel tempo, si è rivelata assai poco efficace poiché non costruita e
ricercata attraverso un giusto “fine” deduttivo.
Non si può pretendere nessun risultato da
qualunque posizione politica, se non si agisce
preventivamente
al fine di far funzionare
il sistema. Un atto sicuramente determinante e primario rispetto agli altri. Dobbiamo riconoscere il bisogno di una politica funzionante,
indispensabile per non finire schiacciati da qualsiasi sistema economico che
condizionerà in modo assoluto e pragmatico ogni logica del vivere comune.
La parola
chiave, quindi, sembrerebbe essere “funzionamento”, come sinonimo di efficienza
ed innovazione, ma intesa anche come teoria secondo la quale, nella logica, la funzione suddivisa dei singoli elementi culturali e formativi, ha un’importanza predominante sulla sua stessa evoluzione: Uno studio organizzativo che dovrebbe basarsi su un principio di
specializzazione e di suddivisione del lavoro.
Il cittadino comincia a non fidarsi più di un’amministrazione pubblica e
di un sistema che non garantisce più alcuna funzionalità alla politica. Non
si tratta, quindi, soltanto di rimuovere i politici, ma di cambiare la stessa politica
ed il sistema in cui essa naviga.
vincenzo Cacopardo
vincenzo Cacopardo