30 ott 2014

un commento sull'analisi di D.Cacopardo su Italia Oggi



Non è detto che il presidente del consiglio ce la faccia. Non si tratta di essere gufi o pappagalli, si tratta d’essere consapevoli della complessità della situazione, prima di tutto europea, nella quale deve guidare l’Italia. 

Insieme ai problemi della crisi generale, ci sono le diseconomie interne, le posizioni parassitarie, la caduta della produttività, l’inefficienza del sistema giudiziario, una concezione dei rapporti sociali, ormai da anni ovunque abbandonata. Pensiamo ai lavoratori le cui aziende debbono chiudere o ridimensionarsi. Da noi è normale che blocchino ferrovie e autostrade, che occupino Roma, che, insomma, tentino di scaricare le loro drammatiche questioni sulla comunità nazionale. Lo schema aveva rilevanti possibilità di successo sino agli anni ’90: le partecipazioni statali consentivano allo Stato di assumersi l’onere di gestire aziende decotte o in difficoltà, riuscendo, in qualche caso a risanarle. Il più delle volte continuavano a essere idrovore che consumavano la ricchezza nazionale. Anche questo c’è nel conto dell’immenso debito pubblico italiano. 

Ora no. I vincoli comunitari impediscono operazioni di salvataggio a spese degli stati. Perciò, i lavoratori possono occupare quello che vogliono, ma la comunità nazionale e, quindi, il governo non possono intervenire nell’unico modo utile: mettendoci quattrini. Salvo quelli degli ammortizzatori. Il paradosso è che il sindacato non si assume la responsabilità di dire la verità, anzi specula sulle crisi, mettendosi alla testa delle inutili manifestazioni di piazza che le accompagnano.

Al divieto di aiuti di Stato, si sommano i vincoli allegramente accettati, gli errori del ’98, quando l’accoppiata Prodi&Ciampi definì le ragioni di cambio lira-euro, l’assenza di una seria politica riformista, che hanno aggravato il disastro sino alle dimensioni attuali. 

Ora, alle difficoltà di maneggiare i rapporti internazionali e la crisi interna, si aggiunge un serio nemico che si aggira a Roma, a Bruxelles e Firenze: si chiama Matteo Renzi.

L’approccio dell’exsindaco di Firenze ai problemi dell’Europa e del governo è stato, quantomeno, discutibile. 

I politici di livello gestiscono il piccolo o grande potere affidato loro in due modi: ci sono quelli sicuri di se stessi che si affidano a collaboratori esperti, per dirla in modo chiaro, di serie A; ci sono quelli insicuri che si affidano agli amici, senza guardare alla qualità professionale degli stessi.

Tra i primi ricordo, per personali esperienze, Fanfani, Moro, Craxi e D’Alema. Fra i secondi, il più significativo è stato Romano Prodi, sempre pronto a preferire l’amico del proprio cerchio magico (il caso Rovati è il più noto, ma ce ne sono tanti altri) al professionista capace.

Craxi, per esempio, aveva intorno una squadra di compagni di strada di tutto rispetto: da Amato a Martelli, da Formica a De Michelis. E l’ingresso dei socialisti al governo nell’80 si caratterizzò con iniziative di grande significato innovativo. Il giro di De Michelis per le fabbriche, nelle quali nel pieno di un’altra crisi si incontravano agguerrite cellule terroristiche, mostrò il volto di un governo coraggioso nell’affrontare i problemi a viso aperto. In qualche modo, una tecnica mutuata dall’attuale «premier» che non manca occasione per andare nelle scuole, nelle fabbriche, nei luoghi del disagio. 

Quanto all’Europa –e non poteva essere diversamente, vista la combinata inesperienza di Renzi e dell’ectoplasmatica ministra Mogherini (che continuerà a non esistere a Bruxelles, ragione questa della generale approvazione)- il semestre italiano è stato francamente sprecato. Aveva il potere, Renzi, di iniziarlo convocando una riunione non sulle difficoltà dei vari paesi, ma sull’Unione, sullo suo stato e sulle più urgenti esigenze per andare avanti nel processo di integrazione (unica vera risposta alla crisi) con, per esempio, l’armonizzazione fiscale (divieto di dumping), la creazione di una FBI e di una forza armata europee, una reale politica di sviluppo.

Non è stato così. L’unico incontro di qualità politica è stato quello della scorsa settimana. Ma i risultati sono stati modesti e di corto respiro.

Ecco, se Renzi non rinnoverà profondamente la sua squadra di governo, se insisterà nel preferire gli amici fidati ai professionisti di riconosciute qualità, potrà sempre scivolare nella trappola che gli faranno trovare i vecchi marpioni europei e italiani e/o nella grave intensità dei problemi.

È questa l’ombra che permane su un processo di rinnovamento della politica italiana che apprezziamo e di cui vorremmo il successo. 



Un processo di rinnovamento che si potrebbe apprezzare..se non fosse guidato da una figura fin troppo ipocrita, per nulla umile e spinta subdolamente verso un successo personale.

Ricordiamoci che l'attuale premier è stato suffragato da un 40.80% di consensi in un paese che votava per una politica europea (oggi ancora più mal vista di qualche mese addietro) e non per una governabilità nazionale. Inoltre non è per niente trascurabile il fatto che abbiano votato solo il 50% degli aventi diritto. 

Tralasciando questi dati che comunque hanno il loro valore...le analisi di Domenico Cacopardo... malgrado le sue posizioni incerte (ed a volte ambigue)... nei giudizi verso il nostro Premier, risultano esplicative...ma dimostrano anche che il problema non sembra essere solo di inesperienza. Credere di poter condurre il nostro Paese portandosi avanti con un incessante determinismo... mal si concilia con l'umiltà che si dovrebbe in questo momento storico; un periodo difficile di cui lo stesso Domenico.. ne sottolinea le problematiche costrette dai vincoli comunitari. 

Quindi, al di là di ogni esagerata spinta da parte dei sindacati, bisognerebbe mostrarsi politicamente meno irruenti, persuasi e rigidi nell’affrontare simili agitazioni proposte da chi difende i tanti che oggi sopravvivono privi di lavoro o contenuti in miseri stipendi e relativi condizionamenti. Se si può affermare che il sindacato non si assume la responsabilità di dire la verità, e che speculi sulle crisi, mettendosi alla testa delle inutili manifestazioni di piazza...si potrebbe anche asserire che il tono assoluto di un Permier che si pone provocando in modo inidoneo gli stessi, non pare per niente utile..nè consigliabile, in un momento storico così difficile.

Al di là di un rinnovamento della sua squadra, sembra davvero difficile poter fare affidamento in chi, come il sindaco d'Italia, talmente carico di ambizione verso un proprio successo, affronta i temi della politica e del sociale con tale assolutismo e forte enfasi iniziale. La politica non può rinnovarsi con l'atteggiamento monarchico e semplificativo di chi ama tanto se stesso e che si crogiola in una comunicazione piena di slogan, ma col contributo di tanti, attraverso un'azione che guardi con estrema modestia alla ricerca costante: la sua sincronica posizione di premier e capo di un Partito.. è il fondamentale errore di base per quella politica che spera in un significativo cambiamento. 

C'è cambiamento e cambiamento! 

Questo suo processo di rinnovamento della politica italiana, al contrario, non si dovrebbe per nulla apprezzare, ne desiderarne il successo..perchè rimane troppo assoluto.. obbligando ogni principio di vera democrazia a solo beneficio di una governabilità costringente. Naturalmente chi oggi è sistemico non può che apprezzarlo perchè teme di perdere ciò che ha..al contrario di chi non ha e che..per logica diviene asistemico. 

Per dirla in termini antropologici: Esiste un naturale realistico percorso la cui strada viene determinata dall'uomo e dal suo modo di procedere. Oggi, nella nostra società, la bilancia pesa appena per poco a beneficio del sistema...quando l'asse, dovuta dal peso del crescente numero di asistemici si sposterà...tutto potrà cambiare assumendo un tono più drastico... Un equilibrio risulta necessario!

I valori della democrazia restano necessari... e molto più importanti di qualsiasi slogan.

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