di domenico Cacopardo
I
brividi d’una nuova ossessione percorrono la schiena dei militanti puri e duri
del Pd: si chiama Matteo Renzi e porta con sé, molti degli incubi che ogni
notte Silvio Berlusconi scatenava nei loro sonni.
Non
c’è discussione: Renzi piace agli italiani. Parla bene e non dice nulla di
divisivo. Formula affermazioni ovvie e buoniste (“Più lavoro”) che tutti sono
pronti a sottoscrivere. Liquida l’Europa con molte battute che suscitano
applausi. E, messo (raramente) alle strette da qualche giornalista
impertinente, se ne esce con risposte d’ordine generale. È di sicuro il giovane
più attraente che ci sia nel mercato politico e ha eccellenti possibilità di
vincere le elezioni.
Domenica
sarà eletto segretario del partito: da quel momento iniziano dure tappe di
montagna. Nella prima affronterà la questione del controllo del partito. Un
cimento difficile, visto che il Pd è un compromessino storico tra exDc ed exPci
tenuti insieme dalla necessità di difendere il potere (tanto) rimasto dopo lo
scaravoltone del ’92.
Renzi
vuole smantellare l’attuale organizzazione a favore del cosiddetto partito
liquido. Cosa abbia in mente è chiaro: azzerare il corpo dei gerarchetti e
rimanere sul terreno solo lui, con i suoi fiduciari.
Gli
apparatikni resisteranno sino a quando non risulterà, per loro, più utile
abbandonare la presa e trincerarsi nella ridotta preparata da Ugo Sposetti,
l’ultimo amministratore dei Ds. E da qui si divideranno ulteriormente: alcuni
con Vendola; altri tenteranno di rifare in Italia un partito socialdemocratico
come c’è negli altri paesi europei.
Superate,
se le supererà, le difficoltà domestiche, Renzi dovrà affrontare quelle
esterne: Letta e Napolitano. Infatti, essenziale per la riuscita del suo piano
è che si arrivi al più presto alle elezioni, in modo che Letta non si consolidi
tanto da diventare così forte da tagliargli tra un anno e mezzo la via del
governo. L’attesa, le beghe e le risse, infatti, logorerebbero il giovane
leader e complicherebbero il suo percorso. Le più recenti notizie su un’intesa
Renzi-Letta sembrano più legate alle imminenti primarie che sostanziali. Anche
se le aperture sulla legge elettorale potrebbero essere la svolta tanto attesa.
Il
vero ostacolo, però, è il presidente della Repubblica.
Dal
1946 a oggi, nessun presidente ha mai esercitato tanto potere –incontrollato-
come Giorgio Napolitano. Neanche Gronchi che, nell’impossibilità di formare una
maggioranza, nominò Fernando Tambroni primo ministro, affrontando, per il voto
favorevole dei fascisti, la piazza.
Il
potere assoluto è un onere che porta a commettere errori rilevanti, come, è accaduto a Napolitano.
Esposto
patologicamente con il governo attuale (e col precedente) non può cedere agli
ultimatum di Renzi e dargli le elezioni (che vogliono anche Berlusconi e
Grillo).
Indicare
il vincitore nella possibile contesa tra presidente e leader del Pd, è, oggi,
impossibile. Certo, se Renzi ce la facesse, saremmo alla tappa conclusiva (poi
inizierebbe un’altra ‘corsa’). Per sdrammatizzare, ma non tanto, una leggenda
siciliana: quando morì Gelone, sanguinario tiranno di Siracusa, la gente,
festante, si riversò nelle vie. In un angolo, però, una vecchina piangeva in
modo irrefrenabile. Le domandarono: «Non sei felice della morte di Gelone?»
«Sì.
Lo sono, ma penso a chi verrà dopo di lui.»
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