Obbedienti
al principio che un papa si giudica da papa e non da cardinale, abbiamo dato
ampio credito a Enrico Letta e al suo governo. Possedeva l’imprinting di
Giorgio Napolitano -garanzia di probità e di efficienza- che, di fatto, aveva
scelto i componenti della compagine, anche i più sconosciuti.
Del
resto, c’era l’anomalia di un Parlamento senza maggioranza e, quindi, la
necessità di una coalizione tra avversari di sempre: destra e sinistra. Una
novità, coronata da successo in Germania, inedita da noi.
Letta
doveva tessere, con pazienza democristiana eintelligenza politica, una tela
efficace, conducendo una navigazione cauta verso le mete annunciate: riforme
(legge elettorale, interventi sul bicameralismo, finanziamento della politica)
prima di tutto; rilancio del lavoro; tagli non lineari delle uscite; legge di
stabilità rassicurante per gli italiani e per l’Unione europea. Capitolo
speciale l’abolizione dell’Imu, concessa a Berlusconi e al Pdl.
In
qualche modo, i primi mesi sono stati spesi in modo coerente con gli annunci
iniziali. È vero, l’unica cosa concreta è stata la sospensione del pagamento
della rata estiva dell’Imu, ma sul Paese s’era abbattuta, di nuovo, una
questione Berlusconi, condannato e interdetto dai pubblici uffici. Con abilità,
soprattutto smorzando, Letta aveva tenuto il governo al riparo dalle tensioni,
ed era anzi riuscito a conquistare la totale solidarietà dei ministri del
centro-destra capeggiati da Alfano, sino a convincerli ad abbandonare il cavaliere
e a costituire il Nuovo CentroDestra.
“Ecco”,
si diceva nei circoli ben informati della capitale, “Letta marcia verso la ricostituzione
di un grande raggruppamento centrale, una specie di Democrazia Cristiana anni
2000 che isolerà le fazioni estreme e ci restituirà la governabilità perduta.”
Poi,
nell’autunno, si sono manifestati i primi cicloni: la legge di stabilità e
l’arrivo sul proscenio di Matteo Renzi. Ma ciò che ha compromesso la fiducia
sul governo, togliendogli credibilità, è stato il percorso parlamentare della
legge fondamentale dello Stato, detta, appunto, di stabilità.
Sono
emerse le insufficienze di un ministro dell’economia inadatto a qualsiasi ruolo
di governo (era stato già scartato quando fu in ballo per la nomina del
governatore della Banca d’Italia)e l’assenza di ogni regia della presidenza del
consiglio e di chi aveva la responsabilità dei rapporti con il Parlamento, il
ministro Franceschini.
Cercando
una spiegazione della pessima performance, siamo riandati al passato: così è tornata
all’attenzione l’imbarazzante prova del governo Prodi 2 del 2006-2008. Basta
sfogliare i giornali del tempo per avere la rappresentazione di gestione
sconsiderata, per molti versi simile all’attuale. E, il regista di quel
governo, nella posizione di sottosegretario alla presidenza e segretario del
consiglio dei ministri, era proprio Enrico Letta. Un ruolo, efficacemente
ricoperto in passato da personalità spiccate come Bisaglia, Compagna
(Francesco), Amato, Maccanico.
La
conclusione è facile: il premier possiede non comuni capacità politiche, ma cade
dal punto di vista della pratica di governo, nella quale non esprime una vera
leadership.
Il
continuo avanti-indietro su tutti i temi dell’agenda parlamentare dimostra,
infatti, l’assenza di una direzione sicura e, in particolare, un’incertezza
organica che finisce per compromettere ciò che di buono è stato fatto e che è
testimoniato dal crollo dello spread sui titoli di Stato.
Il
progetto neodemocristiano è morto e Alfano sarà costretto a tornare sotto l’ala
di Berlusconi.
E
qui viene in ballo il capo del Pd, cui è passata la palla. Anche se
sopravviverà ancora per alcuni mesi (superando il difficile scoglio del
rimpasto), il governo ha il destino segnato: andrà avanti sino a quando vorrà Renzi
che ne definirà l’agenda. Anche se sembra non accorgersene, Letta è
commissariato.
Difficile aspettarsi sorprese! Qualunque manovra voglia mettersi in atto: Vi siano scarse capacità da parte di un ministro dell’economia…o incapacità di comunicazione da parte di un governo…o mancanze da parte di Letta di esprimere una lederschip…. sia che Alfano ritorni sotto l’ala di Berlusconi e Renzi definisca o no una possibile agenda, ….difficilmente si potrà riuscire a trovare un percorso istituzionale funzionante se, come risulta ogni giorno più che evidente, non si dividono meglio i ruoli per regole e competenze.
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