di domenico cacopardo
Lasciarsi andare all’entusiasmo per il
passo avanti compiuto sabato con l’incontro Renzi-Berlusconi è sbagliato.
Dopo avere tuonato contro D’Alema,
origine di tutti i mali del Pd, il neosegretario ne ripercorre la strada, tentando
di avviare una stagione di riforme istituzionali in partnership con colui che, dopo
la condanna, a Porta a Porta, bollò con un prematuro “Game
over”.
Vediamo brevemente qual è l’accordo sulla
legge elettorale: un sistema di base proporzionale, corretto da un premio di
maggioranza che scatta per chi supera il 35%, conferendogli il 55% dei seggi. Nelle
circoscrizioni elettorali, piccole (alla spagnola), saranno presentate liste
bloccate di pochi candidati. Gli sbarramenti per l’accesso al Parlamento sono
due: il 5% per chi fa parte di una coalizione (‘decesso’ di Sel) e dell’8% per
chi si presenta da solo (‘decesso’ del movimento di Monti&c).
Salvo le improbabili sorprese che
potrebbero emergere oggi nella direzione del Pd, il sistema immaginato presenta
due profili di incostituzionalità. Il primo è la soglia del 35%: è troppo bassa
per soddisfare i criteri stabiliti dalla Corte costituzionale. Il secondo è la
conferma dell’abolizione del voto di preferenza che espropria l’elettore del
diritto di scegliersi il proprio rappresentante.
Il Senato (secondo punto d’accordo) sarà
sottoposto a revisione costituzionale, diventando assemblea di rappresentanti
delle regioni senza particolari poteri. Non sarebbe meglio abolirlo del tutto,
dando dignità costituzionale alla Conferenza Stato-Regioni?
L’ultimo elemento dell’accordo è la
riforma del titolo V della Costituzione, quello malamente modificato da
Bassanini con pochissimi voti di maggioranza nello spirare della legislatura
1996-2001. Si andrà verso un serio ridimensionamento dei poteri regionali,
eliminando ogni potere di interdizione.
È anche continuato l’inutile e
controproducente maltrattamento di Enrico Letta, estromesso da ogni discorso
sulla trattativa e posposto ad Angelino Alfano, tenuto al corrente in tempo
reale.
Si tratti di arroganza e/o di progetto
politico, il comportamento di Matteo Renzi è comunque un gratuito schiaffo in
faccia al premier. Al momento giusto ne pagherà il prezzo.
Il primo ostacolo sulla sua strada è il
Pd. Oggi si verificherà in direzione (un organismo eletto a misura del nuovo
segretario) quanto vasto sarà il dissenso, prima di tutto politico, per il
recupero alla visibilità istituzionale di un Silvio Berlusconi non più senatore
e prossimo alla difficile esperienza dei servizi sociali. Sul merito, la
minoranza del suo partito insisterà sul doppio turno (sistema francese) che
sembra più lineare e meno incostituzionale del progetto Renzi/Berlusconi.
Per il momento -qualche mese-, non sembra
realistica la scissione. Tuttavia, il fronte di fuoco che Renzi intende aprire
potrà mettere insieme la massa critica di dissenso necessaria per un divorzio.
L’altra difficoltà è rappresentata da
Berlusconi e dal suo furbesco gestire il day by day. Non c’è nessuna garanzia
che, al momento opportuno, il cavaliere non si sfili, lasciando il giovane
fiorentino con un pugno di mosche in mano.
Infine, ma si tratta del primo dei
problemi, ci sono il governo ed Enrico Letta. Non c’è nessuna garanzia che il
giorno dopo l’approvazione della nuova legge elettorale, Matteo Renzi & Silvio
Berlusconi non stacchino la spina per andare a un confronto elettorale. E ci
sono scarse probabilità che il patto di governo in via di gestazione contenga
tutte le riforme che Renzi pretende. Né, allo stato, sembra possibile il
rimpasto che rilancerebbe il ruolo del presidente del consiglio.
La furbizia di Matteo Renzi
(manifestatasi anche nella scelta del negoziatore Roberto D’Alimonte, un
costituzionalista molto accreditato al Quirinale) non è sufficiente a definire
una prospettiva attendibile. Anche se il passo di sabato è importante, le
incognite andranno dissipate una per una: non basterà la parlantina per farlo,
ci vorranno idee e intelligenza politica.
L’analisi di Domenico, giornalisticamente indirizzata verso le ipotetiche
visioni del futuro del Paese, coglie di
fatto le varie problematiche legate fra loro sui possibili futuri scenari
politici. Ma nella sostanza pratica … la domanda da porsi è una: Quanto può
pagare oggi questa furbizia in politica?
Oggi la politica non necessita di
furbizia, ma di veri politici capaci di saperla fare funzionare. Domenico mi solletica proprio sul commentare in proposito al
mancato funzionamento.
Io credo che il
problema non sia di natura elettoralistica e che non si fondi sul fatto che
possa essere meglio un semipresidenzialismo o un bicameralismo..o ancora..un
sistema francese..spagnolo o tedesco. Vi sono alcuni argomenti in politica che dovrebbero essere affrontati con
priorità… motivi che frenano nel Paese e l’evoluzione stessa di una moderna politica…
poiché non permettono di intraprendere un percorso più utile a beneficio
di una società che si vuole davvero democratica.
Per poterli risolvere, non
possiamo appellarci ai furbi e nemmeno
agli incompetenti che oggi sembrano infilarsi ovunque. Oggi.. nè Renzi ..nè
altre forze politiche riescono a percepire le indispensabili linee di indirizzo
di cui il Paese avrebbe bisogno, guardando esclusivamente ad impadronirsi di un
potere che in realtà risulterà sempre più effimero ed instabile. Se anche Letta
potesse procedere nel suo percorso governativo in questo stato precario, a volte sottomesso a quelli che il cugino Cacopardo definisce come schiaffi da parte
del giovane segretario, sarà pur sempre un percorso ostacolato da una naturale
instabilità… dovuta all’evidente mancato funzionamento delle logiche di base
che si devono alla politica.
vincenzo cacopardo
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