di domenico Cacopardo
Sembra che in Italia un destino segnato
porti al fallimento politici e proposte, leggi e riforme. E questa specie di
dannazione torna davanti agli occhi nel momento in cui il Pd cambia passo e
affida le proprie sorti a un trentanovenne, senza esperienze diverse da
presidente della provincia e da sindaco. Anche se i suoi esordi non sono
entusiasmanti, non vogliamo parlare di lui. Vogliamo occuparci delle
contraddizioni che la politica nuova e vecchia ignora.
C’è un dato di fatto che dovrebbe fare
riflettere: dopo l’ondata di allontanamenti di imprenditori del periodo Brigate
rosse/ rapimenti, un’altra ondata s’è verificata negli ultimi quindici anni.
Capire il perché sarebbe utile, mentre si discute di riforma del mercato del
lavoro e si annuncia un job act dai
contenuti ancora generici. E occorre
comprendere perché non si investe più nel nostro Paese. Se un’azienda deve
assumere si trova davanti a 11 diverse opzioni di contratto. Ognuna con le sue
controindicazioni per costi e conseguenze giudiziarie. Quanto pesano poi gli
orientamenti politici di gran parte dei magistrati del lavoro nello spingere
gli imprenditori italiani ad andarsene all’estero? È facile dipingerli come
‘nemici della patria’, mentre sarebbe più esatto definirli –come i giovani
ricercatori che raggiungono gli Stati Uniti o la Gran Bretagna- cacciatori di
opportunità. In Italia prosperano burocrazie e leggi punitive, tassazioni
esagerate, servizi insufficienti, inquisizione fiscale e sindacati reazionari. Insomma,
è l’ultimo stato sovietico in un mondo desovietizzato. E ci chiediamo perché
non si investe più?
C’è una constatazione che, in Italia,
viene rifiutata: il capitalismo, nonostante i non lievi difetti, ha vinto. Nel
mondo, Cina compresa. L’Europa ha una costituzione economica capitalistica. Il
paese capitalista per definizione, gli Stati Uniti, viaggia al ritmo di
sviluppo di oltre il 4%. Il numero degli occupati cresce nel mercato del lavoro
più libero che ci sia. Il segreto è che è il lavoratore che non accetta i
vincoli di una stabilizzazione. Insomma, il precariato è la norma. Una norma
non sconvolgente, visto che il legame tra lavoratore e impresa è il frutto
della capacità e dell’impegno professionale del prestatore d’opera. In natura,
non c’è imprenditore che voglia privarsi dei suoi
migliori lavoratori.
Allora, diciamolo senza paura: i
contratti a tempo indeterminato spingono verso il mantenimento
dell’inefficienza, della competitività, della
disoccupazione.
Vogliamo invertire la rotta? Liberalizziamo
i contratti e consentiamo all’impresa e al lavoratore di scegliere la formula
più conveniente.
La verità taciuta, però, è che il mancato
riconoscimento della vittoria globale del capitalismo genera permanenti sacche
di odio sociale, di ribellismo suicida e soprattutto l’immobilismo. In un
sistema nel quale prosperano privilegi ingiustificati, poteri non legittimati,
cordate improprie, spesso, criminali.
L’inerzia ha impedito che le dure riforme
cui si sono sottoposti i tedeschi, governati dalla socialdemocrazia, qui siano state
rifiutate. Un segretario della Cgil (Cofferati)nel 1998 impedì al governo di
procedere auna incisiva riforma del mercato del lavoro e delle pensioni. Per il
mercato del lavoro siamo ancora a quel punto.
C’è, oggi dunque, una ragione per non
revocare il credito conquistato a parole da Matteo Renzi e aspettare qualche
mese: capiremo allora se, dietro le parole, c’è qualcosa di percorribile e
utile o se, ancora una volta, abbiamo a che fare con un personaggio “tutto
chiacchiere e distintivo” (Robert de Niro, Gli intoccabili
Al di là della divertente comparazione
col personaggio impersonato da Robert de Niro, vorrei porre una piccola nota sui
termini usati dal giovane sindaco di Firenze che..ostentando quel tipico
esterofilismo di taglio superiore..finisce anche con l’apparire di difficile
interpretazione all’occhio del semplice cittadino, rischiando di farsi capire
sempre meno.
Il termine Job(s) Act sembrerebbe, infatti.. essere un anglicismo il cui esatto significato non
è del tutto chiaro, neppure per chi conosce bene l’inglese, addirittura non si
capisce neanche come vada scritto. Vengono usate varie combinazioni di minuscole
e maiuscole e job appare sia al singolare che al
plurale. Le incongruenze sono palesi, non solo nei media… ma
anche nel sito dello stesso Renzi. Vi si trovano solo riferimenti generici come piano, strumento, documento.
Ma andando oltre, pur condividendo..come sempre …le considerazioni del
cugino Domenico, rimango dubbioso sul tema del capitalismo… e non certo in
contrapposizione ad un modello sovietico, ma perché anche il capitalismo, se
non condotto con l’estremo equilibrio di una democrazia compiuta rischia..di
non riscontrarsi con quel principio di equità fondamentale per ogni società
civile...Oggi questo sembra essere dimostrato!
Certo …non credo possano esistere modelli migliori e più funzionali per
una economia che possa offrire crescita e sviluppo, ma se tale modello non viene
oggi supportato da regole e riforme che possano accompagnare un sistema di
democrazia efficiente, il risultato sarà sempre quello della vittoria delle lobby
e dei gruppi influenti: Il legame con la democrazia rimane un punto fermo!.. ed
un capitalismo moderno, attraverso regole più precise, dovrebbe trovare.. un funzionale equilibrio..tra la forza dei capitali umani..e la potenza delle risorse finanziarie…Un tema comunque complesso ed
impegnativo che non si può affrontare in questa ristretta sede con dei semplici
post..
vincenzo cacopardo
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