10 gen 2014

Un commento al puntuale appunto di Domenico Cacopardo

L’Italia deve essere desovietizzata
di domenico Cacopardo 

Sembra che in Italia un destino segnato porti al fallimento politici e proposte, leggi e riforme. E questa specie di dannazione torna davanti agli occhi nel momento in cui il Pd cambia passo e affida le proprie sorti a un trentanovenne, senza esperienze diverse da presidente della provincia e da sindaco. Anche se i suoi esordi non sono entusiasmanti, non vogliamo parlare di lui. Vogliamo occuparci delle contraddizioni che la politica nuova e vecchia ignora.
C’è un dato di fatto che dovrebbe fare riflettere: dopo l’ondata di allontanamenti di imprenditori del periodo Brigate rosse/ rapimenti, un’altra ondata s’è verificata negli ultimi quindici anni. Capire il perché sarebbe utile, mentre si discute di riforma del mercato del lavoro e si annuncia un job act dai contenuti ancora generici.  E occorre comprendere perché non si investe più nel nostro Paese. Se un’azienda deve assumere si trova davanti a 11 diverse opzioni di contratto. Ognuna con le sue controindicazioni per costi e conseguenze giudiziarie. Quanto pesano poi gli orientamenti politici di gran parte dei magistrati del lavoro nello spingere gli imprenditori italiani ad andarsene all’estero? È facile dipingerli come ‘nemici della patria’, mentre sarebbe più esatto definirli –come i giovani ricercatori che raggiungono gli Stati Uniti o la Gran Bretagna- cacciatori di opportunità. In Italia prosperano burocrazie e leggi punitive, tassazioni esagerate, servizi insufficienti, inquisizione fiscale e sindacati reazionari. Insomma, è l’ultimo stato sovietico in un mondo desovietizzato. E ci chiediamo perché non si investe più?
C’è una constatazione che, in Italia, viene rifiutata: il capitalismo, nonostante i non lievi difetti, ha vinto. Nel mondo, Cina compresa. L’Europa ha una costituzione economica capitalistica. Il paese capitalista per definizione, gli Stati Uniti, viaggia al ritmo di sviluppo di oltre il 4%. Il numero degli occupati cresce nel mercato del lavoro più libero che ci sia. Il segreto è che è il lavoratore che non accetta i vincoli di una stabilizzazione. Insomma, il precariato è la norma. Una norma non sconvolgente, visto che il legame tra lavoratore e impresa è il frutto della capacità e dell’impegno professionale del prestatore d’opera. In natura, non c’è imprenditore che voglia privarsi dei suoi migliori lavoratori.
Allora, diciamolo senza paura: i contratti a tempo indeterminato spingono verso il mantenimento dell’inefficienza,  della competitività, della disoccupazione.
Vogliamo invertire la rotta? Liberalizziamo i contratti e consentiamo all’impresa e al lavoratore di scegliere la formula più conveniente.
La verità taciuta, però, è che il mancato riconoscimento della vittoria globale del capitalismo genera permanenti sacche di odio sociale, di ribellismo suicida e soprattutto l’immobilismo. In un sistema nel quale prosperano privilegi ingiustificati, poteri non legittimati, cordate improprie, spesso, criminali.
L’inerzia ha impedito che le dure riforme cui si sono sottoposti i tedeschi, governati dalla socialdemocrazia, qui siano state rifiutate. Un segretario della Cgil (Cofferati)nel 1998 impedì al governo di procedere auna incisiva riforma del mercato del lavoro e delle pensioni. Per il mercato del lavoro siamo ancora a quel punto.
C’è, oggi dunque, una ragione per non revocare il credito conquistato a parole da Matteo Renzi e aspettare qualche mese: capiremo allora se, dietro le parole, c’è qualcosa di percorribile e utile o se, ancora una volta, abbiamo a che fare con un personaggio “tutto chiacchiere e distintivo” (Robert de Niro, Gli intoccabili



Al di là della divertente comparazione col personaggio impersonato da Robert de Niro, vorrei porre una piccola nota sui termini usati dal giovane sindaco di Firenze che..ostentando quel tipico esterofilismo di taglio superiore..finisce anche con l’apparire di difficile interpretazione all’occhio del semplice cittadino, rischiando di farsi capire sempre meno.
Il termine Job(s) Act sembrerebbe, infatti.. essere un anglicismo il cui esatto significato non è del tutto chiaro, neppure per chi conosce bene l’inglese, addirittura non si capisce neanche come vada scritto. Vengono usate varie combinazioni di minuscole e maiuscole e job appare sia al singolare che al plurale. Le incongruenze sono palesi, non solo nei media… ma anche nel sito dello stesso Renzi. Vi si trovano solo riferimenti generici come piano, strumentodocumento.
Ma andando oltre, pur condividendo..come sempre …le considerazioni del cugino Domenico, rimango dubbioso sul tema del capitalismo… e non certo in contrapposizione ad un modello sovietico, ma perché anche il capitalismo, se non condotto con l’estremo equilibrio di una democrazia compiuta rischia..di non riscontrarsi con quel principio di equità fondamentale per ogni società civile...Oggi questo sembra essere dimostrato!
Certo …non credo possano esistere modelli migliori e più funzionali per una economia che possa offrire crescita e sviluppo, ma se tale modello non viene oggi supportato da regole e riforme che possano accompagnare un sistema di democrazia efficiente, il risultato sarà sempre quello della vittoria delle lobby e dei gruppi influenti: Il legame con la democrazia rimane un punto fermo!.. ed un capitalismo moderno, attraverso regole più precise, dovrebbe trovare.. un funzionale equilibrio..tra la forza dei capitali  umani..e la potenza delle risorse finanziarie…Un tema comunque complesso ed impegnativo che non si può affrontare in questa ristretta sede con dei semplici post..
vincenzo cacopardo


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