Scoppiettii d’inizio d’anno di domenico Cacopardo
Matteo Renzi è il nuovo che avanza. Per il Pd, un leader
giovanissimo, già celebrato dalla grande stampa internazionale, molto lontano
dalla storia e dalla cultura del partito, una specie di capitano di ventura
rinascimentale che ha appreso l’uso delle armi da un maestro quasi
ineguagliato, Silvio Berlusconi. Quando parla ha il diritto di essere ascoltato.
Quindi, occorre ragionare sul suo 2 gennaio, espresso da un vivace scoppiettio
di proposte: tutte contenute in un’intervista al Fatto quotidiano e in una
lettera ai partiti.
La lettera ai partiti prospetta –per la nuova legge elettorale- tre soluzioni
(che i Pd accettano in via preventiva). Ben diverse tra loro, vanno dal modello
spagnolo, al Mattarellum e al
modello doppio turno di coalizione in uso per i sindaci. L’ultima, buttata là
senza enfasi particolare, sembra la preferita. C’è un solo ma: essa postula un
cambiamento costituzionale. Il sindaco d’Italia, infatti, cosa sarà: presidente
della Repubblica o presidente del consiglio? Viene spontanea una domanda: se
n’è reso conto?
Segnala poi la riforma delle regioni con la necessaria attenuazione
dei loro poteri e la trasformazione del Senato in camera delle autonomie,
precisando che ai futuri senatori, scelti in ragione del ruolo che avranno
nelle regioni, non spetterà alcun compenso. Il nuovo Senato, quindi, non
avrebbe nemmeno il potere di stabilire un rimborso spese. A questo punto non
sarebbe meglio un’abolizione? E, poi, gli attuali senatori sono disposti a
votare il proprio suicidio?
A questa lettera, in un’intervista, il sindaco di Firenze aggiunge
un trattamento privilegiato per singoli
provvedimenti al Movimento
Cinque Stelle. Di per sé, un’idea del genere l’aveva avuta
Bersani: sappiamo com’è andata a finire. I 5Stelle sono un gruppo antisistema e
non collaboreranno mai a progetti di riforma che possano depotenziare le
contestazioni che percorrono il Paese. E, in effetti, la reazione di Grillo s’è
attenuta al noto copione.
Peraltro, il sindaco di Firenze non si pone il problema di quali
forze politiche può coagulare intorno al suo programma. Ed è facile immaginare
quanto le parole del segretario Pd siano state sgradite da Alfano, risospinto
verso Berlusconi, diventato cointerlocutore privilegiato.
Ci sono poi le unioni civili: esse possono fare saltare il banco,
cosa, oggi, irrealistica.
L’ultima idea dell’intervista è rivolta a Enrico Letta e consiste
nel suggerimento di ‘scartellare’ il limite del 3% di deficit ammesso
dall’Unione europea.
Questa storia del 3% metteil premier(che dissimula il proprio
dissenso con una dichiarazione positiva) in gravi difficoltà:egli sa bene che
una semplice, flebile decisione di superamento del 3% provocherebbe una
tempesta finanziaria nei confronti dei titoli di Stato italiani, allargando
lo spread e volatilizzandone i valori. Le banche italiane, che hanno nei caveau
montagne di titoli a valori di libro, registrerebbero imponenti minusvalenze,
tali da risospingerle in zona default.
Se Renzi è un giovane vivace, di sicuro non si presenta come persona
equilibrata e riflessiva. Sembra spesso un provinciale dalla parlantina
sciolta, senza visione dell’interesse nazionale e della delicatezza dei
rapporti istituzionali.
Anche il lasciare agli altri la scelta del sistema elettorale, appare
un escamotage propagandistico. Il Pd, partito di maggioranza molto relativa nel
Paese, e di maggioranza assoluta, per effetto del Porcellum, alla Camera,non
può comportarsi come il cliente di una mensa che accetta le pietanze che altri
gli cucineranno. Deve prendere in mano il menu e assumersi la responsabilità di
scegliere e di prospettare soluzioni.
Insomma, tutti gli scoppiettii del 2 gennaio sono bombette. Non appaiono il nuovo che avanza né la messa in moto della
politica e dei politici. Le linee sono confuse e difficilmente percorribili.
L’ex concorrente alla Ruota della fortuna deve rendersene conto: è
entrato in serie A, dove il gioco è difficile e oggi ha in palio il futuro
dell’Italia. Se nessuno dei suoi predecessori è riuscito a realizzare le
riforme che servono (osteggiate, peraltro, da un gruppo di vanitosi vegliardi)
una qualche ragione ci deve essere. Dall’esame di questa ragione, Renzi
dovrebbe cominciare.
Credo, come ho già avuto modo di
postare sul mio blog, che il personaggio sia troppo proiettato in avanti per
via di una ambizione che pare condizionarlo un po’ troppo.
L’analisi di
Domenico, come al solito.. sempre puntuale, pone le difficoltà che dovrà
affrontare il giovane sindaco di Firenze il cui primo impedimento sta proprio nella
sua raffigurazione assai leaderistica in seno al Partito e negli importanti temi che dovrebbero essere da lui gestiti e portati avanti con discrezione ed
altrettanta umiltà.
Se Renzi pensa di poter trovare le soluzioni della nostra
politica nella ristretta ottica di una legge elettorale, senza spingersi..nelcontempo...ad una vera riforma di ristrutturazione dei Partiti..compreso il suo,
non potrà mai riuscire in un risultato positivo di vero cambiamento. Il suo
compito principale dovrebbe essere quello di immedesimarsi in uno studio di ricerca
essenziale per trasformare gli attuali contenitori di consensi.. in contenitori
di idee: Un disegno difficile e non pertinente alla mire dell’ambizioso
rottamatore!
La battaglia odierna è quella con il popolo di Grillo che, (come
ben specifica Domenico in questo suo scritto) non potrà mai rendersi aderente
ai suoi progetti, in quanto il M5stelle.. guarda, in modo instabile, ad una rottura col sistema esistente..avendolo ampiamente dimostrato in
diverse occasioni.
Altri problemi per Letta ed il suo governo che avrebbero, forse, desiderato maggior attenzione sul modo di procedere del giovane segretario!
vincenzo cacopardo
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