di domenico Cacopardo
L’ineluttabile successo del luogo comune,
della retorica italiota e della peggiore routine
burocratica lo si constata da tempo.
Facciamo qualche esempio.
Nei giorni scorsi la graziosa pregnant Marianna Madia ha partorito
l’idea di vietare ai pensionati attività retribuite. A parte ogni
considerazione di tipo umanitario e sociale (l’impegno degli anziani ritarda il
loro decadimento fisico e mentale), la giovane marmotta incaricata della
riforma della pubblica amministrazione rivela la mentalità illiberale e
proibizionista che tanti irreparabili danni ha già prodotto.
Altro esempio interessante, testimonianza
di approssimazione nella spesa dei fondi dello Stato, si può trovare nella
piazza Tienanmen di Pechino.
Nel luogo più frequentato della Cina, c’è
il Museo nazionale, e l’Italia, dopo 12 anni di trattativa, ha ottenuto uno
spazio interessante (500 mq). In cambio, abbiamo concesso al governo cinese una
analoga disponibilità nel palazzo Venezia di Roma.
A Tienanmen, inaugurata dal ministro dei
beni culturali Ornaghi, è andata in scena,il 6 luglio 2012, la mostra dedicata
al Rinascimento a Firenze: purtroppo era la terza mostra sul Rinascimento realizzata
in quel Paese e l’affluenza ne ha risentito. Secondo l’ormai larga colonia
italiana, si sarebbe trattato di un mezzo flop, visto che la stampa locale non
le ha dato l’importanza che meritava e che il botteghino non è stato pari alle
attese né ai normali flussi cinesi.
Sarebbe un’importante innovazione (il
ministro Franceschini potrebbe deciderlo) che i Beni culturali, alla fine di
questo genere di esibizioni, comunicassero costi,
contributi degli sponsor e risultati di
botteghino, in modo che si possa valutare l’efficacia e l’utilità
della spesa.
L’ultima idea, per
Pechino, è di presentare il Barocco romano: un evento a impatto zero, che può
far felice qualche mercante, non di certo la curiosità che da quelle parti ci
viene riservata.
Domanda: ma perché il ministero dei beni
culturali non approfondisce il tema per capire quali siano le iniziative che
possano mobilitare, in Cina, il più vasto pubblico, facendo da traino al
prodotto italiano?
Per renderci conto di questo perché,
abbiamo preso in esame il sito del ministero, scoprendo che c’è una specifica
direzione per la valorizzazione del patrimonio culturale. Alla sua testa la
dottoressa Anna Maria Buzzi. Spulciato il suo curriculum (ministeriale),
abbiamo scoperto che la signora dichiara di parlare in modo fluente il
francese. Per l’inglese ha una conoscenza scolastica (che, data la qualità
dell’insegnamento italiano, significa zero o quasi). Già questa constatazione,
unitamente al fatto che la signora non si sia sentita in obbligo di imparare bene
la lingua globale, ci ha fatto venire i brividi. Poi, è venuto fuori che la
dottoressa Buzzi è laureata in pedagogia e che, tra i corsi di specializzazione
vantati, non ce n’è uno che riguardi la valorizzazione del patrimonio culturale
né il management di settore. A questo
punto ci siamo fermati, per non accentuare i motivi di depressione.
Insomma, al di là dei propositi roboanti,
nella pubblica amministrazione, come sappiamo, ci sarebbe molto da fare (eh?
Marianna Madia!).
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