di domenico Cacopardo
Sembra la demagogia la cifra più
significativa di questo governo e del suo premier Matteo Renzi. La demagogia
degli annunci, del fare, della velocità, della rottamazione e del cambiamento.
Nessuna valutazione pratica dei tempi
reali, delle conseguenze di promesse e di minacce, in una specie di happening, dal quale si salvano i
ministri Padoan e Poletti e gli altri, non del Pd, più avvezzi alle stanze di
governo e alle loro trappole.
Prendiamo la vexata quaestio delle retribuzioni dei dirigenti dello Stato e dei
manager delle imprese a partecipazione pubblica.
Non c’è dubbio che l’opera di
disinformazione in corso da anni e che coinvolge gran parte della carta
stampata e dei conduttori di talk show ha
fatto effetto. Poiché s’è sempre parlato di cifre tonde e lorde, ma mai di
risultati, s’è diffusa nella pubblica opinione l’idea che gli stipendi siano
parte cospicua della dissipazione dei quattrini dello Stato e che costituiscano
un vero e proprio scandalo.
Pensiamo alla pubblica Amministrazione: il
sindacato sostiene che il numero dei dipendenti è in linea con le altre nazioni
dell’Unione. Il che è vero, ma quello che viene celato è che in Italia
l’Amministrazione è fattore di freno per ogni attività produttiva o,
semplicemente, civile, mentre dai nostri vicini è elemento di certezza, rapidità
ed efficacia.
Da questo punto di vista anche il governo
e la ministra Madia ‘lasciano stare’, forse perché l’efficientamento degli
apparati dello Stato è molto più difficile di quanto sia parlare, solo parlare,
di stipendi troppo elevati.
Di questa natura è anche il caso dei
manager delle aziende a partecipazione pubblica. Emblematico, il caso Moretti.
Certo, il Ceo delle Ferrovie ci ha messo
del suo, dichiarando che, se gli tagliano lo stipendio, se ne va.
Cerchiamo di capire meglio, facendogli i
conti in tasca, con numeri arrotondati e approssimati, alla luce di un fisco
predatorio: 800.000 retribuzione annua; 43% Irpef 344.000 (rimangono 456.000);
5% addizionali regionale e comunale 40.000 (rimangono 416.000 euro); contributo
del 3% per coloro che superano i 300.000, 15.000 (rimangono 401.000); ritenute
previdenziali 12%, euro 96.000 (rimangono 305.000 euro). Insomma gli 800.000
sono una cifra virtuale.
Nessuno si è occupato dei risultati di
bilancio e di miglioramento del servizio, ottenuti da Moretti, il primo dopo
una serie di Ceo sui quali c’è molto da dire e criticare sia per le
retribuzioni sia per i risultati.
Nessuno che abbia approfondito il
cambiamento del Paese per l’attivazione dell’Alta velocità, nessuno degli
economisti da talk showche abbia
avuto voglia di calcolare il contributo al Pil.
È comprensibile che il neofita Renzi rimanga impressionato dai numeri bruti e se ne esca
con sciocchezze sulle retribuzioni. Ma non è accettabile che su un problema di
questo genere non si voglia ragionare seriamente, lasciandosi portare dalla
corrente del populismo dilagante.
Il discorso giusto è questo:
giudichiamoli dai risultati. Se non ci sono cacciamoli. Se ci sono paghiamoli
bene come si fa in un mercato aperto.
Non è vero che gli italiani sono come i
‘figli’ del reverendo Moon: a parte Grillo e i suoi seguaci, distinguono tra
propaganda e informazione.
Se si dice la verità, anche drammatica,
sanno reagire nel modo giusto, com’è accaduto tante volte in passato.
Sebbene assai d’accordo col cugino
Domenico circa il compenso che deve attribuirsi per merito, mi pongo alcuni
dubbi su un tema della correttezza morale che ci si ostina a non mettere in evidenza.
Pur riscontrando una chiara retorica
sulle comunicazione di Renzi e sui suoi continui annunci sul fare e sul
rottamare, penso che la delicata “questio” debba essere vista su piano
prettamente etico e cioè.. quello di poter individuare un tetto di queste cifre
in linea con la realtà di una crisi che colpisce in modo devastante tutte le classi
sociali tranne che straricchi e potenti.
D’altronde se per legge tra i lavoratori
esiste una soglia di reddito minimo…per quale ragione non deve esistere una
soglia di tetto massima?
Sembra opportuno che la prebenda di ogni
manager (per quanto possa essere il migliore), non può.. sul piano etico..
superare una certa soglia. Diverso è il diritto ad un premio extra in rapporto ai
risultati di bilancio..(anche sulla base della qualità e l’efficienza
dell’azienda).
Una remunerazione libera (ma con un
tetto) ed un premio in base ai risultati forniti…darebbero una visione meno
refrattaria all’occhio del comune cittadino, motivando.. di logica.. la capacità di un manager.
L'emblematico caso Moretti non è per niente
eclatante visto e considerato i numeri posti con precisione da Domenico, ma non
possiamo considerarli senza metterli in rapporto con quelli di un operaio che
in sé potrebbe anche avere diritto a premi per i propri meriti. Se consideriamo.. ad esempio.. i 96.000 euro di contributi previdenziali, non possiamo sottacere che tale
somma contributiva andrà al fondo pensione dello stesso Manager…una cifra che
gli renderà una pensione cospicua e per la quale un qualunque operaio dovrà
lavorare tra i dieci ed i dodici anni per poter versare tale somma.
In conclusione possiamo affermare che il
merito va sempre tenuto in alta considerazione… sia per il manager che per lo
stesso operaio, attraverso un premio per la produzione e l'efficienza, ma la
remunerazione andrebbe controllata attraverso soglie da definire al fine di non
mettere in evidenza queste macroscopiche anacronistiche differenze.. se pur valutando le cifre a lordo.
Al di là di ogni demagogia e sostanza…la
teoria del libero mercato non può più funzionare in rapporto al carico notevole
che essa impone ad una società che si vorrebbe più equa! Il mercato oggi..per quanto
lo si voglia aperto, come scrive Domenico…deve imporsi delle regole.
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